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A proposito di “arte”: il Mulla Omar aveva ragione?

di Enrico Galoppini - 29/05/2013

Fonte: Europeanphoenix



Ormai è un bombardamento a senso unico. Guarda caso, il primo premio d’un celebre concorso cinematografico è andato ad una pellicola che presenta, con abbondanza di scene di sesso spinto, la storia di un “amore lesbo”. Gli addetti ai lavori e il pubblico degli appassionati plaudono soddisfatti: il Progresso è in marcia!

Detto questo, la faccio breve e vado dritto al problema, senza indugiare sui dettagli.

Al punto in cui siamo arrivati, sarebbe salutare una bella “resettata” a un po’ di cose, tipo cinema, musica, arti figurative eccetera: ne gioveremmo più di quanto ne soffriremmo.

Voglio essere davvero sintetico e quindi evito una carrellata di tutto ciò che, definito come “arte”, meriterebbe una puntuale disamina per decostruirne l’intrinseca perversione.

In mezzo a questo mare di mostruosità, rare isole felici emergono. Si tratta, ad esempio, di quei film con riferimenti “iniziatici” o di quelle canzoni con messaggi “spirituali”, che però sono di scarsissima diffusione. La massa viene lobotomizzata con pellicole sempre più subdole ed inquietanti al cui confronto il John Wayne del Settimo cavalleggeri è d'una ingenuità disarmante.

Altre opere, di segno opposto, quelle con riferimenti “contro-iniziatici” destano l’attenzione di un pubblico selezionato e che intende “elevarsi”. Eppure anche in questo caso starei discretamente all’erta, perché se da una parte esse destano la nostra comprensibile curiosità, dall'altro ci espongono comunque a delle influenze nefaste e distruttrici. E fatto un bilancio tra benefici e danni, alla fine sono più i danni, visto che non siamo in grado di sapere come agiscono in profondità.

A proposito della musica, poi, consideratane l'onnipervasività (si pensi ai supermercati, dove ha la funzione di eccitare e disinibire) e l'assoluta dissolutezza dei contenuti, forse è giunto il tempo di una drastica abolizione. Guardate tutti questi “X Factor” e simili quali abissi di lascivia e insulsaggine sono in grado di rappresentare. Tutti vogliono diventare “cantanti”, dai vecchi ai bambini, esibendosi buffonescamente in varie trasmissioni da ‘gran galà dei pezzenti’. Tutto in un certo senso ha subito un'accelerazione con l'introduzione del “karaoke”, che ha instillato in tutti quanti l'idea di poter cantare, ovviamente ragliando e scimmiottando presunti “modelli” canori e (purtroppo) di vita.

Cosa ci sarà mai da “cantare”, mi chiedo? Canzonette d'amore? E non parliamo dei “cantanti impegnati”, che mediamente hanno qualche idea appena sopra la media dei loro colleghi presentata come l’oracolo ad un pubblico quanto mai disposto a pendere dalle labbra di qualcuno…

Ma anche quando la canzone moderna vuole elevarsi oltre l'ordinaria passionalità o “l’impegno”, il risultato è praticamente fallimentare e foriero di equivoci, perché il riferimento non è quasi mai divino.

Per questo, l'unica musica, l'unica arte figurativa ecc. degne di esistere dovrebbero essere solo quelle sacre, che è cosa diversa da quelle “d'argomento sacro”, come s'è visto col Rinascimento, che ha introdotto una certa passionalità ancora assente nelle opere d'un Duccio o d'un Simone Martini[1].

Il modello, per tutto ciò che è “arte”, dovrebbero perciò essere quei popoli frettolosamente catalogati come “primitivi”, più o meno estinti e/o assediati, tipo i “Pellerossa”, i nativi dell'Oceania e anche quelli dell'Africa, o della steppa centrasiatica.

L'Islam, con le note limitazioni (nelle arti figurative, nella musica, e anche nell'architettura), ha posto senz'altro un argine provvidenziale, eppure anche quelle, considerato che nei paesi a maggioranza islamica si agitano “cantanti” e “artisti” col relativo pubblico pagante e adorante, sembrano ormai non bastare più.

Dicono che in Afghanistan, dopo la presa del potere da parte dei Talebani, vennero abolite la musica e la televisione. Che il Mulla Omar avesse ragione?



[1] Chi intendesse approfondire l’argomento “arte sacra” potrebbe leggere questi classici: F. Schuon, Caste e razze (seguito da Principi e criteri dell’arte universale), (trad. it.) Arché, Milano 1979; A.K. Coomaraswamy, La trasfigurazione della natura nell’arte, (trad. it.) Rusconi, Milano 1976; T. Burckhardt; L’arte sacra in Oriente e Occidente. L’estetica del sacro, (trad. it.) Rusconi 1976; T. Burckhardt, L’arte dell’Islam, (trad. it.) Abscondita, Milano 2002.