Il vento dell'Est temuto dagli Usa
di Manlio Dinucci - 05/06/2013
In Iraq, essa non solo compra circa la metà del petrolio prodotto, ma effettua attraverso compagnie statali grossi investimenti nell'industria petrolifera, per oltre 2 miliardi di dollari annui. Per il trasporto di personale tecnico cinese è stato costruito un apposito aeroporto nei pressi del confine iraniano. La carta vincente delle compagnie cinesi è che, a differenza della statunitense ExxonMobil e di altre compagnie occidentali, accettano contratti per lo sfruttamento dei giacimenti a condizioni molto più vantaggiose per lo stato iracheno, non puntando al profitto ma al fatto di poter avere petrolio, di cui la Cina è divenuta principale importatore mondiale. In Afghanistan, compagnie cinesi stanno investendo soprattutto nel settore minerario, dopo che geologi del Pentagono hanno scoperto ricchi giacimenti di litio, cobalto, oro e altri metalli. Sempre più in difficoltà nella competizione economica, gli Usa gettano la spada sul piatto della bilancia.
Alla vigilia del summit, il segretario alla difesa Hagel ha «riassicurato gli alleati asiatici di fronte alla crescita militare cinese», promettendo che, nonostante l'austerità, gli Usa schiereranno nella regione Asia/Pacifico forze dotate delle più avanzate tecnologie militari: unità navali con armi laser, navi da combattimento costiero, caccia F-35 e altre. Le navi da guerra dislocate nel Pacifico, che oggi costituiscono la metà delle cento dispiegate (su un totale di 283), saranno ulteriormente aumentate. Così, sottolinea Hagel, gli Stati uniti manterranno «un decisivo margine di superiorità militare». A cui si aggrappa, per contrastare il declino, l'impero americano d'Occidente.