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Siria, le verità nascoste

di Michele Paris - 04/09/2013


 
    


La frenata del presidente Obama sull’aggressione militare contro la Siria, in attesa dell’autorizzazione del Congresso americano, è la diretta conseguenza della totale illegalità della nuova guerra in Medio Oriente che si prospetta e del crollo repentino della credibilità delle accuse rivolte al regime di Assad circa l’attacco con armi chimiche avvenuto nei pressi di Damasco il 21 agosto scorso.

Se gli ostacoli incontrati dalla Casa Bianca nella programmazione dell’ennesima avventura bellica oltreoceano hanno ritardato l’inizio delle operazioni, la risolutezza di Washington nel colpire obiettivi in territorio siriano non sembra essere venuta meno, nonostante stia emergendo più di un indizio sulla possibile responsabilità degli stessi “ribelli” nei fatti di Ghouta che hanno causato centinaia di morti.

L’indagine giornalistica più circostanziata in questo senso è stata finora quella pubblicata dalla testata americana Mint Press News (MPN) con sede a Minneapolis, nel Minnesota, e condotta da Dale Gavlak - già corrispondente della Associated Press, ma anche di BBC e della National Public Radio americana - e Yahya Ababneh, un reporter giordano che ha raccolto interviste e testimonianze sul campo in Siria.

Secondo quanto riportato qualche giorno fa, alcuni gruppi “ribelli” avrebbero ricevuto le armi chimiche utilizzate il 21 agosto dai servizi segreti sauditi, guidati dal principe Bandar bin Sultan, per decenni ambasciatore di Riyadh negli Stati Uniti dove ha coltivato strettissimi rapporti con l’apparato militare e dell’intelligence americano. Bandar è uno più accesi sostenitori dell’opposizione anti-Assad in Siria e, recentemente, è stato protagonista di una visita a Mosca dove, tra l’altro, avrebbe prospettato alla Russia futuri attentati terroristici nel caso il Cremlino continuasse a rifiutare uno sganciamento dal regime di Damasco.

Tra le interviste pubblicate da MPN spicca quella con il padre di un “ribelle” siriano ucciso assieme ad altri 12 compagni all’interno di un “tunnel utilizzato per lo stoccaggio di armi fornite da un guerrigliero saudita a capo di un battaglione” anti-Assad. I decessi sarebbero avvenuti il giorno del presunto attacco a Ghouta in seguito all’impiego forse involontario di queste armi che i “ribelli” non sapevano fossero equipaggiate con sostanze chimiche. Secondo un anonimo “ribelle”, infatti, alcuni guerriglieri avrebbero “maneggiato impropriamente le armi, scatenando una serie di esplosioni”.

Se tale versione dovesse corrispondere al vero, sarebbe confermata l’ipotesi di molti - tra cui il governo russo - secondo la quale i “ribelli” appoggiati dall’Occidente e dalle dittature sunnite del Golfo Persico avrebbero inscenato un attacco con armi chimiche o, quanto meno, erano sul punto di mettere in atto un’azione di questo genere quando ha avuto luogo un’esplosione inavvertita, incolpando poi dell’accaduto il regime di Damasco.

Se il resoconto di MPN è stato messo in dubbio da qualche commentatore che ha sottolineato come il fondatore della testata di Minneapolis abbia “simpatie sciite”, questa ricostruzione proposta per i fatti di Ghouta appare del tutto plausibile visti i precedenti dei “ribelli” e la posta in gioco in Siria.

Non solo. Anche il giornale tedesco Die Tageszeitung ha collegato in qualche modo l’uso di armi chimiche ai “ribelli”, come dimostrerebbe una conversazione telefonica intercettata e postata su Facebook tra un membro del cosiddetto Fronte al-Nusra, affiliato ad Al-Qaeda, ed un suo finanziatore residente in Qatar. In essa, il militante integralista in questione cerca di dare rassicurazioni circa la capacità del suo gruppo di sferrare un attacco per riprendere la città di Homs, informando ad un certo punto il proprio interlocutore come i suoi uomini abbiano “usato armi chimiche”. Dopo una pausa, quest’ultimo afferma di essere già a conoscenza dei fatti e chiede le informazioni necessarie per effettuare un trasferimento di denaro all’organizzazione estremista.

Come facilmente prevedibile, nessun organo di stampa ufficiale ha provato a fare chiarezza su queste notizie, preferendo invece allinearsi alla tesi sostenuta dagli Stati Uniti e dai loro alleati in Occidente e nel mondo arabo, secondo la quale esisterebbe la certezza pressoché assoluta della responsabilità del regime di Assad o, per lo meno, di una fazione al suo interno. Secondo questa versione, inoltre, i “ribelli” non avrebbero le capacità o i mezzi per condurre un’operazione con armi chimiche, nonostante sia ben documentata l’assistenza fornita loro da esperti militari americani e gli armamenti sofisticati che provengono dai governi dei paesi mediorientali alleati di Washington.

La scorsa primavera, oltretutto, erano già stati segnalati alcuni episodi nei quali veniva ipotizzato l’uso di armi chimiche, soprattutto in un’occasione nei pressi di Aleppo in seguito alla quale lo stesso regime di Assad aveva chiesto alle Nazioni Unite di indagare. Una speciale commissione sulla Siria aveva successivamente lasciato intendere di avere individuato i responsabili proprio nei “ribelli” stessi e, in particolare, un suo autorevole membro - l’ex giudice del Tribunale Penale Internazionale Carla Del Ponte - aveva affermato in un’intervista che erano emerse prove “quasi certe” dell’uso di armi chimiche da parte dei gruppi armati dell’opposizione.

Queste dichiarazioni sarebbero state in grandissima parte occultate dalla stampa ufficiale, assieme ad un’altra notizia che contraddice coloro che sostengono come i “ribelli” non abbiano alcuna disponibilità di armi chimiche. Nel mese di maggio, infatti, la stampa turca aveva riportato dell’arresto di alcuni militanti del Fronte al-Nusra in una località di confine con la Siria nelle cui abitazioni era stata rinvenuta una certa quantità di gas sarin.

Ad alimentare i sospetti circa di fatti di Ghouta sono infine alcuni resoconti che in questi giorni descrivono come le forze dell’opposizione anti-Assad siano state informate nei giorni immediatamente precedenti al 21 agosto di una imminente escalation militare nei confronti del regime di Damasco in seguito a sviluppi che avrebbero determinato un cambiamento degli scenari del conflitto in corso da oltre due anni nel paese mediorientale.

L’intelligence di paesi come Turchia e Qatar avrebbe quindi assicurato ai comandanti delle brigate attive in Siria l’imminente arrivo di ingenti forniture di armi per mettere in atto un’offensiva contro le forze regolari. L’attacco con armi chimiche a Ghouta, dunque, potrebbe essere stata un’azione programmata tra i “ribelli” e i loro sponsor occidentali e arabi, da utilizzare poi come pretesto per giustificare un intervento militare contro Assad. Questo modus operandi volto a fuorviare l’opinione pubblica, d’altra parte, in passato è stato utilizzato dall’imperialismo a stelle e strisce in svariate occasione, dal Vietnam all’Iraq.

A fronte di tutti i dubbi sulle reali responsabilità dell’attacco con armi chimiche a Ghouta e dell’assenza di prove certe presentate da Washington a sostegno della propria tesi, il dibattito in corso sui media ufficiali continua ad essere incentrato su altre questioni, come l’efficacia di un’azione militare “limitata” in Siria oppure i rischi di natura politica a cui Obama andrebbe incontro con un intervento condotto senza la collaborazione dei tradizionali alleati o, addirittura, in assenza di un voto favorevole del Congresso di Washington.

Fuori dal dibattito rimangono invece regolarmente le vere motivazioni di natura strategica che stanno alla base dell’iniziativa americana, così come la totale mancanza di autorità morale degli Stati Uniti nel decidere di punire un paese che si sia reso eventualmente responsabile di un attacco con armi chimiche contro il proprio popolo.

Se anche ciò fosse accaduto in Siria - e i fatti emersi finora non sembrano confermarlo - gli USA si assumerebbero il compito di colpire i presunti responsabili pur essendo di fatto i principali trasgressori del diritto internazionale, essendo stati protagonisti solo nell’ultimo decennio dell’invasione illegale e della distruzione di un paese sovrano, dell’uso di fosforo bianco e uranio impoverito contro popolazioni civili, di torture e rendition su vastissima scala e, come è stato rivelato in questi mesi, della messa in atto di programmi di sorveglianza di massa per tenere sotto controllo ogni minaccia contro i propri interessi sia sul fronte domestico che su quello globale.