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Siria, ma i giochi sono proprio già tutti fatti?

di Franco Cardini - 06/09/2013



“…vogliamo un mondo di pace, vogliamo essere uomini e donne di pace, vogliamo che in questa nostra società, dilaniata da divisioni e da conflitti, scoppi la pace; mai più la guerra! Mai più la guerra! La pace è un dono troppo prezioso, che deve essere promosso e tutelato”.

Sono parole pronunziate da papa Francesco domenica scorsa 1° settembre, all’Angelus, davanti alla folla immensa raccolta come di consueto in Piazza San Pietro. In quell’occasione, il pontefice ha chiesto ai cattolici una giornata non solo di preghiera, ma anche di mobilitazione: sabato 7 prossimo egli domanda che i fedeli osservino il digiuno e, alla sera, si raccolgano in una grande veglia di preghiera. Teatro di essa a Roma sarà San Pietro: ma altre veglie si avranno altrove, dinanzi alle cattedrali e ai santuari o anche alle chiese parrocchiali. Il capo della Chiesa cattolica, a proposito della crisi siriana, non prende posizione, non attribuisce responsabilità: chiede solo che la guerra non scoppi e che si cerchi una soluzione negoziata, quindi pacifica.
Dal punto di vista propriamente politico-religioso, il messaggio è chiarissimo: le preghiere saranno anzitutto rivolte a Dio affinché illumini il Congresso degli Stati Uniti d’America, chiamato al presidente Obama – dopo il precedente della Camera die Comuni britannica – a pronunziarsi sulla questione siriana. E’ chiaro che da quel responso dipende largamente il futuro di quel paese, e chissà, di una buona porzione del già martoriato Vicino Oriente.
Eppure, c’è di più: sul piano liturgico, anzitutto. La sera del 7 settembre, con i Vespri della vigilia, secondo il calendario liturgico della Chiesa si entrerà nella festa della Natività della Vergine Maria, celebrata appunto l’8. E’ una grande solennità della Chiesa, negli ultimi tempi celebrata un po’ in sordina: il pontefice coglie l’occasione per rilanciarla insieme con un’altra pratica piuttosto desueta tra i cattolici: il digiuno. Una bella mossa tradizionalista-restauratrice, anche se non è stata notata.
Ma c’è un’altra cosa ancora: e qui il papa tradizionalista si dimostra innovatore audace, quasi spregiudicato. E verrebbe quasi da pensare che l’anziano uomo di Chiesa argentino sia ben memore della lezione appresa da adolescente quando, nella sua Argentina, era già abbastanza grande da seguire le vicende del suo paese e da osservare – se non addirittura dall’esservi coinvolto – uno dei più grande esperimenti di coinvolgimento politico della masse nella storia del XX secolo: quello peronista, specie attorno al 1952, l’anno della tragica morte di Evita e del culmine del suo culto civico-parareligioso.
In effetti, rileggiamo le poche parole dell’Angelus citate in apertura: sono senza dubbio espressioni di un capo religioso; ma anche di un grande leader carismatico laico, di un politico. Francesco fa appello diretto al popolo di Dio: fissa una data e un’ora, sabato prossimo, ai vespri. Chiede una prova corale d’impegno: esorta i fedeli a contarsi e a lasciarsi contare; a dare un segnale forte a chi auspica la guerra. Quasi un avvertimento. In un conflitto che divide i governi e le opinioni pubbliche occidentali, ma anche lo stesso Islam (turchi e qatarioti sono interventisti; i musulmani sunniti in genere non sono sfavorevoli all’uso della forza contro l’alawita Assad), il papa schiera con decisione la Chiesa sul principio che fu già di Pio XII nel ’39: con la pace tutto può essere salvato, le guerre le perdono tutti, vincitori compresi. Però, papa Pacelli non fece appello alle folle cattoliche, non chiese loro un gesto aperto e forte; e neppure Giovanni Paolo II, che pure era un carismatico con un grande senso mediatico, osò mai altrettanto.
Diciamolo con chiarezza: nonostante il dialogo tra i papi e le folle dei fedeli sia consueto e molto antico (pensiamo soltanto ai giubilei), un gesto come questo di papa Francesco è qualcosa di nuovo: anche perché interviene direttamente su un evento politico su molti milioni di fedeli sparsi per tutto il mondo.
Forse, con tutte le cautele del caso, un solo altro gesto gli è paragonabile. Quello di un altro papa riformatore, Urbano II, che nel novembre 1095 da Clermont in Alvernia chiamò i fedeli d’Occidente al soccorso dei fratelli cristiani d’Oriente minacciati dai turchi selgiuchidi. E fu quella che, a posteriori, è stata definita la prima crociata. Ma su quel lontano episodio siamo poco e mal informati. Papa Francesco, che sta fronteggiando una crisi senza precedenti nella Chiesa cattolica (la scristianizzazione dell’Occidente, la perdita dei fedeli a vantaggio delle sètte protestanti in Africa e in America latina), mentre procede a una forte revisione dei quadri dirigenti ecclesiali e vaticani, lancia anche un appello di mobilitazione alle forze cattoliche. Siate certi che non sarà l’ultimo.
Quindi, con la preghiera dell’Angelus di domenica 1° settembre, papa Bergoglio si è schierato decisamente contro qualunque ipotesi di guerra e non solo ha invitato i governi a percorrere con tutte le loro forze la via dei negoziati, ma ha impegnato i cattolici a una vera e propria mobilitazione in termini di preghiera e di digiuno. Tutto sembrerebbe normale: magari perfino scontato. Come volete che parli, che cosa volete che faccia un pontefice, se non parlare di pace e invitare alla pace? E poi uno che ha assunto il nome di Francesco, il santo del “Pace-e-Bene”, quello del dialogo con il sultano?
Invece no: sorpresa. Qui c’è qualcosa di nuovo: per due motivi. Il primo è che non è stato mai affatto detto, nella storia, che i pontefici abbiano sempre chiesto la pace; anzi, semmai si è trattato di un fenomeno recente, che non data da molto più di un secolo. Il secondo ve lo dico tra un po’ concludendo.
Il cristianesimo è una religione di pace: anche qui bisognerebbe far parecchi distinguo, ma ammettiamo pure che sia assolutamente così. La Chiesa cattolica, però, non è la religione, bensì l’istituzione che –almeno per chi la riconosce - la definisce, la regola, la gestisce. Un’istituzione che fino a tempi recentissimi ha avuto anche un aspetto e delle responsabilità molto forti sul piano civile. Fino al 1870 la Chiesa cattolica ha gestito uno stato, del quale il papa era sovrano: e aveva tanto d’esercito, perfino piuttosto efficiente. La dottrina cattolica – com’è testimoniato con chiarezza anche nel testo del più recente catechismo – non respinge affatto in blocco la guerra, si limita a distinguere i casi in cui essa è giusta dagli altri. In alcuni casi, i capi della Chiesa hanno sostenuto con forza un evento bellico: e non vi precipitate a esclamar in coro “Le crociate!”. Ce ne sono stati molti altri, fra il IV e il XIX secolo. Alcuni pontefici sono stati addirittura direttamente ottimi comandanti militari, come Giulio II.
I papi hanno cominciato a condannare sistematicamente la guerra solo dal periodo nel quale, in forse casuale ma comunque significativa concomitanza, si sono presentati due eventi. Primo, la fine del potere temporale pontificio, che spodestando il pontefice del titolo di sovrano temporale gli sottraeva anche la necessità, la legittimità e gli strumenti della forza militare. Secondo, il fatto che dalla metà circa dell’Ottocento il progresso tecnologico e la fatale alleanza tra industria, finanza ed eserciti avrebbero reso entro breve tempo la guerra uno strumento talmente micidiale da rendere almeno alla lunga impossibile una sua prospettiva di convivenza convivenza con un qualunque progetto di sopravvivenza del genere umano. La guerra è andata progressivamente perdendo sia il suo carattere di “continuazione della diplomazia con altri mezzi”, sia la sua funzione di mezzo sia pur micidiale, cinico e doloroso per ristabilire la pace. Nell’ultima fase della modernità, le guerre – moltiplicate, frammentate, endemicizzate – sono divenute solo strumenti per preparare nuove guerre: che si è rivelato sempre più anche un modo per aprire nuovi mercati.
Da allora in poi, i papi si sono dichiarati sempre, costantemente e risolutamente contro la guerra anche in modo pregiudiziale, cioè prima e al di là di qualunque altra considerazione. Non è detto che essi fossero neutrali ed equidistanti dalle due parti contrapposte: ma giudicavano comunque che, a dirla con Pio XII, “con la pace, tutto può essere salvato; mentre le guerre le perdono tutti, anche i vincitori”.
Ed ecco la drammatica, triste sequenza delle preghiere e delle insistenze tanto energiche ed accorate, quanto inutili. Benedetto XV chiese pace alle potenze europee nel 1914; Pio XII implorò che le armi tacessero nel 1939; Giovanni Paolo II impegnò tutto se stesso affinché fosse evitata l’aggressione all’Iraq nel 2002-2003. Tutti fallirono: anzi, furono oggetto per il loro atteggiamento anche d’insulti, di accuse, di sferzanti attacchi. E spesso gli stati “cattolici” non furono in ciò meno duri di quelli che tali non erano.
A favore delle prossima guerra, quella che il presidente Hollande vorrebbe camuffare da “campagna punitiva” contro la Siria (un linguaggio finora inaudito a livello diplomatico internazionale), militano molte e perentorie ragioni: la questione dei pipelines del metano, la “guerra civile” (fitna) tra sunniti e sciiti all’interno dell’Islam, la necessità di ridefinire concorrenzialmente i confini vicino-orientali nel contesto della “nuova guerra fredda” che si sta profilando tra blocco occidentale e blocco eurasiatico. Insomma, tutto farebbe prevedere che anche papa Francesco andrà incontro a uno smacco e a un’umiliazione pari a quella dei suoi predecessori. Poi ci sarà il conflitto: e, a pasticcio combinato, tutti proclameranno o mugugneranno fra i denti che il papa aveva ragione.
Già. Solo che qui c’è un imprevisto, un elemento nuovo. Il “secondo motivo” che avevo annunziato all’inizio di questo articolo. Tutti i papi precedenti si erano rivolti ai governanti: ed essi, si chiamassero Nicola II o Winston Churchill o George Bush, avevano risposto picche. Questo qui, diavolo di un Bergoglio, ora si rivolge alla gente. Al popolo cattolico anzitutto, certo: ma in prospettiva a tutti. E chiede di scendere in piazza, sia pur per pregare insieme. E’ questo che vedremo la sera del 7 settembre. E si vedrà allora quanto questo papa sia davvero riuscito, come sembrerebbe, a impressionare, a commuovere, a convincere. Da una parte, i chiusi e ferrigni interessi dei potenti. Dall’altra, il grido alto di un uomo che parla ai popoli nel nome del Cristo. Vi sareste mai aspettati uno scontro come questo, all’alba del Terzo Millennio, dopo tanta riflessione sulla crisi del Sacro, delle religioni storiche e via dicendo?
D’altronde, i nodi stanno venendo al pettine a San Pietroburgo, al summit del G20: significativamente, in quella Russia il leader della quale, negli ultimi gironi, ha taciuto su un argomenti a proposito del quale negli ultimi mesi aveva detto molte cose. E’ un fatto che, nonostante quel che Hollande finge di sapere per certo e prove inconfutabili alla mano e che Obama finge di essersi convinto a pensare, anche a proposito di Assad in questo 2013 – non meno che nel caso di Saddam dieci anni fa – la “pistola fumante” non è stata trovata; o, se lo è stata, magari è emerso che non è di Assad bensì del cosiddetto “fronte di liberazione”. Dopo la libecciata che il partito della guerra si è preso a Londra grazie alla Camera dei Comuni, il triste Monsieur Hollande continua a sfoggiare una sicurezza che non ha. Germania e – incredibile ma vero -, perfino Italia, pur ben consce entrambe della loro mancanza di sovranità (con le basi USA e NATO sul loro territorio e fuori dal loro controllo) , per il momento si sono defilate. Forse l’ultima parola, sul serio, spetterò al congresso degli Stati Uniti. Ma non è detto che i giochi siano proprio tutti già statti fatti.