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I cambiamenti climatici innescheranno una guerra infinita?

di Nafeez Ahmed - 12/09/2013

     
   

Probabilmente si, se non cambiamo le solite politiche economiche dominanti, ma possiamo ancora dire ‘no’ e volerlo davvero.

Un nuovo studio pubblicato sulla rivista “Science” (1) afferma che in tutto il mondo i cambiamenti climatici (2) sono strettamente legati ai casi di violenza (3). Basandosi su una quantità di dati mai studiata prima d’ora – e analizzando le maggiori regioni del pianeta, dagli USA alla Somalia – lo studio ha portato alla luce un campione di conflitti connessi a minime variazioni del clima, comprese siccità o temperature sopra la media.
Lo studio abbraccia tutte le principali tipologie di conflitto, dalle “faide tribali e instabilità politiche, come guerre civili, rivolte, pulizie etniche e invasioni” alle categorie delle “violenze private e crimini meno studiati come omicidio, aggressioni, stupro, e violenze domestiche” –prendendo in analisi anche: “Conflitti istituzionali, come cambiamenti improvvisi e grandi nelle istituzioni governative o il collasso di un’intera civiltà.”

Tutte e tre le tipologie mostrano “risposte sistematiche ed estese ai cambiamenti climatici, il cui effetto più riscontrabile è la violenza fra gruppi”. Nel caso specifico, lo studio ha rilevato una relazione decisiva tra alte temperature e casi più gravi di violenze.

Con lo scenario invariato delle emissioni di CO2 che porteranno a un aumento di minimo 3-4 ºC delle temperature medie globali entro la metà di questo secolo (4), le conclusioni dello studio suggeriscono che nell’immediato futuro i conflitti violenti s’inaspriranno se non facciamo niente per mitigare il cambiamento del clima e, citando lo studio:
“[…] un incremento del tasso di conflitti potrebbe rappresentare un impatto critico e pesante dei cambiamenti climatici dovuti alle attività umane”.
Ma il grande mistero è: perché?
“Possiamo dimostrare che particolari eventi climatici causano conflitti, ma non siamo ancora in grado di stabilire il perché”, come riferisce il principale autore dello studio Dott. Solomon Hsiang, professore associato alla Goldman School of Public Policy alla UC di Berkeley.
“Attualmente, ci sono diverse ipotesi che potrebbero spiegare perché il clima può influenzare la nascita di un conflitto. Per esempio, noi sappiamo che i cambiamenti del clima creano condizioni economiche preponderanti, particolarmente nell’agricoltura e alcuni studi suggeriscono che le popolazioni sono più invogliate a prendere le armi quando l’economia va in disfacimento, probabilmente per mantenere i loro mezzi di sostentamento”.
Tuttavia, quanto sono attendibili le conclusioni di questo studio? Uno studio del 2010 sulla rivista “Proceedings of National Academy of Science” (PNAS) (5), per esempio, contraddice precedenti studi che affermavano l’influenza dei cambiamenti climatici sulla determinazione dei conflitti. Piuttosto, sarebbero la povertà, le disuguaglianze economiche, le tensioni socio-politiche e l’etnicismo a base delle politiche identitarie che muoverebbero principalmente i conflitti.

Al momento, Il dott. Halvard Buhaug, autore dello studio su PNAS e ricercatore presso il Peace Research Institute di Oslo, afferma (6):
“Se fosse stabilito che il conflitto, definito secondo certi parametri, sembrerebbe essere determinato dal clima, nel caso in cui si applicasse un certo numero di misure complementari - le quali posso essere fatte per conferire attendibilità alla supposta connessione –allora si scoprirebbe, in quasi tutti i casi, che le due variabili, cioè il conflitto e il clima, non presentano una relazione diretta”.
Il dott. Buhaug è profondamente scettico sull’ultimo studio complessivo (7) – il quale si focalizza sull’analisi quantitativa, escludendo altri fattori sociali:
“Non sono assolutamente d’accordo con la conclusione spiazzante a cui sono giunti gli autori di questo studio e credo che la loro principale affermazione secondo la quale ci sarebbe un rapporto di causa fra il clima e i conflitti non è supportata dalle analisi empiriche che gli stessi forniscono. Sono rimasto sorpreso nel non aver visto un singolo riferimento a un reale conflitto nel mondo che non si sarebbe verificato in assenza degli estremi climatici osservati. Nel caso in cui gli autori volessero stabilire una relazione di causalità, sarebbe allora necessario indicare dei casi che potrebbero convalidarla”.
In realtà, entrambi gli approcci presentano difetti. Mentre lo studio pubblicato su “Science” si concentra sulle correlazioni fra i cambiamenti climatici e le diverse forme di violenza, senza analizzare il ruolo di altri fattori sociali, lo studio del PNAS del 2010 esclude troppo alla leggera il ruolo del cambiamento climatico come potenziale amplificatore di tali fattori.

Nel dimostrare forti correlazioni tra i cambiamenti climatici e i casi di violenza, lo studio di “Science” cita un caso convincente a favore del legame fra i due fattori. Ma il problema principale che gli autori ignorano [in Ing. “the elephant in the room”: l’elefante nella stanza, ovvero ignorare un problema palese, ndt] è l’impossibilità di spiegare coerentemente perché le due cause dovrebbero essere collegate, al di là di vaghi riferimenti alla “economia” e alla “fisiologia”.

Quel che manca all’analisi è la considerazione che i cambiamenti climatici si riflettono sempre sulle complesse relazioni socio-politiche, economiche e culturali delle differenti società. È proprio il modo in cui il cambiamento climatico può incidere in seguito su queste relazioni e il modo in cui le società decidono di rispondere a questi cambiamenti che determina la via che porta all’uso della violenza. Lo studio PNAS sui conflitti in Africa fornisce un antidoto significativo all’assunto secondo il quale i cambiamenti climatici garantiscono di per sé un incremento della violenza, evidenziando la complessità politica, economica e ideologica delle società africane.

Un punto fondamentale è “la nuova economia di guerra” nella quale l’impatto del capitalismo neoliberale e la ristrutturazione della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale hanno devastato società, accelerato il tasso di mortalità infantile, aumentato le disuguaglianze e rafforzato stati regionali con debiti insostenibili. Il risultato in molti casi è stato un incremento delle “politiche d’identità” – dove il disfacimento delle comunità di fronte alle crisi montanti è sfruttato da gruppi politici, i quali architettano la causa di questa disgregazione, ed utilizzato contro quello che è più facilmente identificabile come nemico – “gli altri”, siano essi caratterizzati dal gruppo etnico, tribù, affiliazione politica o semplicemente per mezzo della loro localizzazione. In questo modo, le dislocazioni sociali ed economiche (8)possono degenerare in guerra.

Quindi, concentrandosi unicamente sul cambiamento del clima, lo studio di “Science” sottovaluta le radicate disparità di potere nazionale e globale che giocano un ruolo fondamentale nel convertire i fattori stressogeni indotti dall’ambiente nella propensione alla violenza.

Quello che manca allo studio del PNAS, comunque, è il riconoscimento del fatto che gli effetti dei cambiamenti climatici giocano un ruolo chiave nell’esacerbare i fattori socio-politici che possono accelerare i processi di disgregazione sociale – sia generando nuovi contenziosi per le risorse che comprendono il cibo, l’acqua e l’energia, i cui sistemi esistenti sono mal equipaggiati per essere in grado di superarne le carenze, o inasprendo disastri naturali che distruggono tutti questi sistemi.

Ma di per sé questi processi non portano necessariamente ai conflitti. Il fatto che essi finiscano spesso e volentieri nell’uso della violenza dipende dalla natura del sistema politico ed economico in gioco e dalle scelte che questi attori politici ed economici fanno nel perseguire i propri interessi personali. (9)

Quindi, i cambiamenti climatici innescheranno una guerra senza fine? Mantenendo questa direzione, molto probabilmente si. Ma non necessariamente – possiamo sempre dire di “no”.

Il dott. Nafeez Ahmed è direttore esecutivo dell’Institute for Policy Research & Development e autore di “A User's Guide to the Crisis of Civilisation: And How to Save It” (trad. Guida all’uso della crisi di civiltà: e come salvarla) fra le sue opere maggiori. Seguilo su Twitter@nafeezahmed

Fonte: http://www.theguardian.com
Link: http://www.theguardian.com/environment/earth-insight/2013/aug/02/climate-change-endless-war-violence-conflict
 
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di GEMMITA

1) http://www.sciencemag.org/content/early/2013/07/31/science.1235367
2) http://www.theguardian.com/environment/climate-change
3) http://www.theguardian.com/environment/earth-insight/2013/jul/10/james-hansen-fossil-fuels-runaway-global-warming
4) http://www.pnas.org/content/early/2010/08/30/1005739107
5) http://www.bbc.co.uk/news/science-environment-11204686
6) http://www.bbc.co.uk/news/science-environment-23538771
7) http://www.academia.edu/2057051/Environmental_Geopolitics_in_the_21st_Century
8) http://www.academia.edu/1608069
9) http://www.academia.edu/1608097/The_Socio-Political_Relations_of_Climate_Catastrophe_Towards_Systemic_Transformation