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Si chiude la partita

di Gianfranco La Grassa - 18/09/2013

   

E si chiude vergognosamente: http://www.ilgiornale.it/news/interni/950192.html.

Tale partita, o almeno la fase di sussulti e guizzi d’agonia, si aprì nel 1999 ad opera del “bombardatore della Jugoslavia (o Serbia)” al seguito degli Usa di Clinton. Tipico servo degli Stati Uniti (della stessa “intelligenza” e miserabilità politica dell’Hollande “siriano” odierno; o del Sarkozy “libico” di due anni fa) pretese di vendere la Telecom ai “capitani coraggiosi” (leggi: due dei più meschini e inetti “cotonieri” italiani). L’operazione gli riuscì per la “mirabile mossa” dell’allora direttore del Tesoro, Mario Draghi, “deliziosamente pitturato” da Cossiga con brucianti parole in anni non lontani. Questi, contrariamente a quanto era in programma, non si presentò alla riunione in cui si decise la vendita dell’azienda di telecomunicazioni a Gnutti e Colaninno, e non esercitò quindi la golden share (di fatto un possibile diritto di veto). L’a.d. Bernabè (che stava studiando un piano alternativo con Deutsche Telekom) fece gran schiamazzo, minacciò chissà quali rivelazioni, poi tacque del tutto e si dimise, assumendo altri ottimi e ben remunerati incarichi, prima di ricominciare l’ascesa in Telecom ai cui vertici è infine tornato. Lascio perdere tutta la sua storia precedente, soprattutto di a.d. dell’Eni dal ’92, e quindi all’epoca (’93) in cui venne arrestato il presidente dell’azienda petrolifera (Gabriele Cagliari, socialista), poi trovato morto per un suicidio su cui sono sorti alcuni dubbi (al momento del ritrovamento del cadavere, il sacchetto di plastica con cui si era “suicidato” era stato visto gonfio d’aria da testimoni di cui poi non si è saputo più nulla; almeno a quanto ne so. Più altre cose “strane” ancora).

Dal 2002 al 2005 il “facilitatore” dell’operazione, Draghi, è stato vicepresidente e membro del management Committee Worldwide della Goldman Sachs, poi è divenuto Governatore della Banca d’Italia nel 2006 e infine di quella Europea nel 2011. Una bella carriera a cui accedono alcuni degli italiani che hanno ben servito i “poteri forti”, in specie internazionali (leggi: Usa). A parte il povero D’Alema, modesto “baleniere” con grandi pretese, che è infine entrato in una zona di relativo silenzio, rotto dalle sue solite piccole manovre in grado comunque di farlo galleggiare a pelo d’acqua da un bel po’ d’anni in qua, data l’assoluta mediocrità del quadro politico italiano.

Per la Telecom, con il 1999 inizia il vero periodo di decadenza sempre più rovinosa (anche se l’azienda era stata privatizzata nel 1997 dal governo Prodi e con presidenza di Guido Rossi). Nel 2001, Gnutti e Colaninno vendono la Telecom, già piena di debiti, a Tronchetti Provera (“assistito” dai Benetton), e l’azienda continua a peggiorare la sua situazione e a fornire servizi sempre più scadenti. Infine, nel 2007 passa alla Telco, società formata da Generali, Mediobanca, Intesa e la spagnola Telefonica. La decadenza è continuata imperterrita, anche sotto Bernabè, a.d. dal 2008 e poi presidente esecutivo dal 2011.

Adesso, si conclude la “triste” vicenda di questa azienda, che ha conosciuto alcuni momenti favorevoli, di buona gestione e di decenti servizi offerti, durante la “prima Repubblica”. Sembra ci sia stato un ultimo sussulto agonico legato al tentativo di Generali di fare la “furba” e vendere autonomamente la propria quota (quindi probabilmente a migliori condizioni) alla Telefonica. In ogni caso, ormai dovrebbe essere sicuro il passaggio dell’azienda italiana in mani spagnole. Migliorerà o peggiorerà la situazione per gli utenti come noi? Più facile la seconda “opzione”, in specie con i debiti che ha accumulato l’azienda. Non verranno certo ripianati dalla Telefonica o da aiuti statali spagnoli. Si farà affidamento a “ristrutturazioni” (bel termine per coprire disastri); e, se si vorranno mantenere dati livelli occupazionali, sarà semmai il nostro Stato sotto ricatto. Anche sulle tariffe dobbiamo temere; pur se vi è certamente la concorrenza di altre aziende. Allora diciamo che certi privilegi ancora in mano a Telecom, e che rendono a volte dubbiosi gli utenti sul cambio di gestore del loro traffico telefonico (di vario genere), dovranno cadere completamente. Tuttavia, lo ripeto, si potranno avanzare “dubbi ed esitazioni” su tale decisione per via dell’occupazione nell’azienda. E via dicendo.

Tutto si riduce a questi calcoli? Per nulla affatto. Abbiamo più volte ripetuto che il problema cruciale non è la proprietà pubblica o privata. Tuttavia, con la crisi in corso – malgrado le ripresine annunciate (al momento fantasticate) e che non comporteranno in ogni caso mai una vera “ripresona” di quelle “di una volta”! – perdere il controllo nazionale di un’azienda delle proporzioni della Telecom in settori importanti come quelli delle telecomunicazioni, implica una dipendenza non da poco. Assai limitativo fare can can sull’uscita o meno dall’euro e sulla ripresa di una nostra autonomia monetaria. A parte che quest’ultima è di fatto inesistente in un mercato in cui dominano altre monete (e, sopra tutte, il dollaro); ma si pensa veramente che ciò sostituirebbe la piena agibilità nella conduzione di imprese di carattere strategico nell’economia “moderna”? Per di più si ha la netta sensazione che la sorte della Telecom sia l’annuncio di più foschi destini per altre imprese (ormai ben poche, in pratica tre) di grande rilevanza, del resto ormai sotto attacco (di vario genere e di varia provenienza) già da un bel po’ di tempo.
Tutte le operazioni condotte in questo paese negli ultimi tre anni – con accelerazione a partire dall’assegnazione del governo a Monti (dopo averlo nominato senatore a vita) e proseguite con la farsa della rielezione del presdelarep, con le manovre giudiziarie su Berlusconi (soltanto per essere garantiti senza il minimo di sorprese della sua complicità in atto durante tutti i tre anni considerati), con il governo Letta, con la nomina di altri quattro senatori a vita, ecc. ecc. (tante sono le mosse compiute dal Reggente del Protettorato Italia, coadiuvato da una schiera di vassalli ben visti in sede internazionale, cioè da parte del paese di cui siamo Protettorato) – sono coerenti con la più totale subordinazione del paese. E per confermarla viepiù non si dovrà aspettare molto tempo. L’industria italiana sta diventando il semplice “regno dei cotonieri”, con lo sviluppo di settori del tutto complementari all’economia del paese dominante.

Occorre tuttavia, come detto più volte, che i malandrini riescano a creare le condizioni per la formazione di un agglomerato politico in grado di conferire a detta subordinazione una sufficiente durevolezza; impresa non facile dopo vent’anni di lotta pseudo-politica incentrata soltanto sull’odio o sull’idolatria di un singolo individuo. Mancano personalità politiche di sicuro rilievo e capacità. Tutto è da anni abborracciato alla bell’e meglio. E allora si continua affannosamente con il bombardamento della “stabilità” dell’attuale governo, da mantenere altrimenti torna lo spread (la solita bufala già rivelata ma già dimenticata da farabutti e cialtroni, ivi compresi i componenti la “massa” del popolo) e, soprattutto, si pagherà l’Imu (specchietto per allodole inventato con la complicità degli altri quaquaraqua di “destra”, poiché in ogni caso è ormai sostituita dalla tassa sui servizi che pagheranno tutti e non solo i proprietari di immobili) e ci sarà l’aumento dell’Iva. Inoltre, altro spauracchio, dovremo compiere manovre aggiuntive (magari andando a toccare le pensioni secondo i progetti di economisti vicini a Renzi) per soddisfare le imposizioni della UE.

In una situazione così gravemente compromessa e di avanzata putrefazione sociale ed economica, alcune minoranze critiche insistono sulle colpe dei banchieri (e della sfera finanziaria in genere), sull’eccessiva sudditanza alla UE, soprattutto manovrata dalla preminente Germania. Le proposte critiche consistono in una insistente propaganda, come già detto, per l’eventuale uscita dal sistema monetario comune o comunque per una decisiva opposizione ad esso e alla politica degli organismi finanziari europei, entrando in più forte contrasto con i tedeschi. Se si fronteggia un esercito nemico, è a volte senz’altro utile, temporaneamente e tatticamente, concentrare il fuoco su una sua ala e condurre in quella direzione attacchi di alleggerimento della pressione centrale. Tuttavia, si commetterebbe un errore capitale se si considerasse quell’ala il grosso delle truppe disposte in campo dagli avversari. Solo una quinta colonna interna di traditori si dedicherebbe a distogliere l’attenzione dalla reale disposizione in campo dell’altro esercito.
Noi abbiamo un fondamentale e preminente nemico, situato dall’altra parte dell’Atlantico. Attualmente, quest’ultimo non è molto interessato alle vicende di casa nostra, concentrandosi invece sui più rilevanti problemi sorti nell’ambito di una mobilità multipolare, che appare in crescita almeno come trend di medio periodo. Gli Usa tengono però un comportamento simile perché all’interno dell’Italia – a partire dal massimo vertice dello Stato e fino agli ultimi tirapiedi che hanno invaso tutti gli apparati dello stesso – contano su forze incapaci di assumere una qualsiasi posizione indipendente. Tali forze, appoggiate e stimolate dai settori industriali denominati “cotonieri”, stanno da vent’anni distruggendo sistematicamente ogni possibilità d’autonoma iniziativa italiana nell’agone internazionale.
I “cotonieri” non agiscono in questo modo per cupidigia di servilismo o perché si tratta di mercenari direttamente al soldo dello straniero. La loro convenienza sta dalla parte di un coordinamento con il sistema predominante, coordinamento possibile solo se i nostri settori funzionano in complementarietà con quelli di detto sistema. L’apparato finanziario – che in un sistema capitalistico ha una sua autonomia imprenditoriale soprattutto nella veste giuridica delle società per azioni che lo caratterizzano – è per sua natura assai flessibile ed è largamente proiettato in sede internazionale per legami sia societari che personali. Esso è però soprattutto strumento di una politica (complesso di strategie); l’autonomia giuridica e imprenditoriale (di grandi dimensioni per di più) non deve ingannare circa questa sua funzione di mezzo della politica. Ed è quest’ultima, orientata sempre più pervasivamente dai “cotonieri”, a condurre allo smantellamento di tutto ciò che può nuocere al coordinamento di cui appena detto. E fra ciò che nuoce massimamente vi sono appunto i grandi complessi industriali di settori strategici rilevanti, in grado d’essere fondamento di maggiore autonomia del nostro paese. Essi devono dunque essere smantellati.

Per condurre in porto l’operazione intervengono allora gli agenti nella sfera politica (statale e dintorni); e questi, sì, sono autentici servi lautamente remunerati per svolgere il ruolo della quinta colonna dello straniero dominante (che non è la Germania, bensì gli Stati Uniti). Il nostro nemico principale sono dunque gli Stati Uniti, la Germania è al massimo un’ala dell’esercito messo in campo da questi ultimi. Data la connivenza dei nostri “cotonieri” e dei servi situati negli apparati decisivi della nostra sfera politica, tale “esercito nemico” è in grado di curarsi assai poco di noi, lasciando il compito di farci restare a livello di “Protettorato” a paesi di minor calibro e ad organismi tipo la UE, che ci avvolgono nelle spire di manovre finanziarie avverse e ci impongono obblighi vessatori. Non si deve tuttavia perdere di vista il “nemico principale”; e si deve condurre all’interno una critica politica che difenda ogni punto di possibile riapertura di spiragli di indipendenza.
Fra questi spiragli non deve essere sottovalutata la difesa ad oltranza delle poche imprese strategiche ancora sotto nostro controllo (per quanto sempre più incerto e tentennante). Sia chiaro che una politica soltanto tesa a questo pur fondamentale scopo non è affatto sufficiente ad invertire la prevalente tendenza al servaggio italiano. Deve esservi affiancata una politica estera di energico rifiuto di schierarsi con questo o con quello in modo preconcetto e acritico. Intanto, però, conservare gelosamente le poche imprese strategiche rimaste è pur sempre una misura coadiutoria di tale politica estera di neutralità attiva.

E’ indispensabile individuare correttamente da dove prende avvio l’influenza negativa mirante a coartare la nostra autonomia nazionale. Se continuano ad arrivarti salve di missili, ti accanisci e ti esaurisci in una continua ricerca di intercettarli o alla fine ti sforzi di individuare i centri di lancio? Torneremo su questi problemi. Tante volte dovremo purtroppo ripeterci, ma perché anche gli “aggressori” non fanno che ripetere la solita solfa, non hanno la benché minima fantasia; e del resto con una popolazione di dementi come la nostra, non vi è necessità di mutare le menzogne che continuano a svolgere così bene il loro compito. Il disfacimento del nostro paese prosegue passo dopo passo in stretto collegamento con quello dei cervelli dei suoi abitanti. Inutile chiedersi qual è la causa e qual è l’effetto. Sono entrambi da combattere. Solo se si esce da questo circolo continuo mediante uso di mezzi inusitati in grado di frantumarlo, vi può essere soluzione del problema. I soliti mezzi, che ripetono l’esistente da ormai vent’anni, non servono a nulla. E anche la critica deve fare un salto di qualità; basta con gli usuali ritornelli.