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Nel labirinto del Medio Oriente

di Luciano Fuschini - 18/09/2013



Chi si ferma alle notizie frammentarie che ci giungono dal Medio Oriente, senza tentare di collegarle in un quadro che le contenga e dia loro un senso, rischia di perdersi in un groviglio di contraddizioni incomprensibili. Prendiamo come spunto iniziale l’intreccio delle relazioni fra Egitto, Arabia Saudita e Turchia, in funzione del loro approccio alla crisi siriana.

I Fratelli Musulmani egiziani, spodestati dal colpo di stato dei generali, appoggiavano i ribelli siriani e chiedevano l’intervento armato dall’esterno per aiutarli a rovesciare l’odiato Assad. I generali golpisti invece non hanno alcuna intenzione di farsi coinvolgere nell’intrico siriano, parteggiando piuttosto per Assad. L’Arabia Saudita è la più decisa nel sostenere la ribellione in Siria e nell’organizzare, armare e finanziare la penetrazione all’interno di quel Paese di bande di fanatici tagliagole da ogni parte del mondo. La monarchia saudita è lo sponsor riconosciuto dell’estremismo musulmano sunnita.

Sulla base di questi fatti, indiscutibili e chiari, ci aspetteremmo un’Arabia Saudita schierata con la Fratellanza Musulmana di Morsi. Invece, sorprendentemente, il governo dei Saud ha approvato il colpo di stato egiziano e ha promesso sostegno finanziario illimitato ai generali laici.

Per capirci qualcosa, facciamo entrare in scena la Turchia dell’islamista Erdoghan, che ha apertamente solidarizzato con i Fratelli Musulmani e con Morsi, condannando il colpo di stato. Quella Turchia, si badi bene, che non è seconda a nessuno, nemmeno all’Arabia Saudita, nel sostenere la ribellione in Siria e nel chiedere l’intervento dall’esterno. Abbiamo dunque due Paesi islamici solidali nel promuovere la sovversione in Siria ma su posizioni opposte nei confronti dell’Egitto. Il quadro si complica ulteriormente se pensiamo al Qatar, altro sponsor insieme ai sauditi di tutte le malefatte dei fanatici, in Libia ieri e in Siria oggi e, a differenza dei sauditi e apparentemente in modo più coerente di loro, solidale coi Fratelli Musulmani egiziani.

Sempre per capirci qualcosa, dobbiamo avere presente che, mentre per noi occidentali è prioritario il controllo delle fonti energetiche e delle aree strategiche, in quella parte del mondo le passioni sono mosse dai conflitti millenari fra sunniti e sciiti.

Date le attuali difficoltà dell’Egitto, l’Arabia Saudita nutre l’ambizione di esercitare l’egemonia sul mondo arabo-sunnita, in funzione anti-sciita e quindi anti-iraniana, quell’Iran che, appoggiando le minoranze sciite nella penisola arabica e attraverso la sua alleanza con la Siria, potrebbe impadronirsi delle vie che portano a Mecca e Medina, méta dei pellegrinaggi di milioni di musulmani e per i sauditi preziose più del petrolio. A questo fine, i Saud finanziano i gruppi più violenti ed estremisti del terrorismo internazionale, nonostante ne siano minacciati essi stessi da frange incontrollabili.

In questo disegno di egemonia sull’Islam sunnita, l’Arabia Saudita deve fare i conti con la Turchia di Erdoghan, che a sua volta vuole rinverdire i fasti dell’antico Impero dei sultani ergendosi a protettrice della causa sunnita. Ecco che le due potenze regionali sunnite, Turchia e Arabia Saudita, si trovano in concorrenza pur militando dalla stessa parte nella tragedia siriana. La Turchia usa come veicolo di penetrazione nel mondo arabo-sunnita i Fratelli Musulmani, mentre l’Arabia Saudita predilige le componenti più fanatiche. Non a caso i Salafiti egiziani, più estremisti dei Fratelli Musulmani e foraggiati dai sauditi, non hanno aiutato il partito di Morsi, accettando quel colpo di stato che pure ha portato al potere una componente laica e filo-Assad della società egiziana.

Questa è la trama che dà senso all’apparentemente assurdo intreccio dell’ordito.

In queste complicazioni, gli Usa danno l’impressione di non capirci nulla. In particolare l’amministrazione Obama sembra ridotta al balbettìo, sbandando in ogni direzione. Stava coi Fratelli Musulmani ma ha avallato il colpo di stato contro di loro. Combatte il terrorismo ma in Siria arma i terroristi. Ha incoraggiato le “primavere arabe” ma sta anche con chi le affossa.

Non si tratta di ignoranza. La Casa Bianca dispone di analisti che conoscono bene la storia di quell’area e cosa bolle in quel pentolone. E se gli americani non avessero tutti gli strumenti per comprendere quelle complicazioni, ci penserebbero comunque gli israeliani, che sanno tutto e calcolano tutto, a chiarire le loro idee.

Il fatto è che per gli USA sia l’Egitto, sia l’Arabia Saudita, sia la Turchia, sono pedine assolutamente imprescindibili nello scacchiere del loro dominio imperiale.

L’Egitto è il Paese arabo più popoloso e meglio armato, in una posizione strategica che controlla il canale di Suez. L’Arabia Saudita è stato ed è un puntello essenziale e una risorsa preziosissima per gli USA. Svolse un ruolo decisivo, ben più del papa polacco, nelle mosse che fecero implodere l’Impero sovietico. Furono i sauditi, d’accordo con gli USA, a inondare di petrolio i mercati negli anni Ottanta, facendone precipitare il prezzo e dando così un colpo mortale all’economia sovietica che di esportazione del petrolio viveva. Furono i sauditi, insieme alla CIA, a finanziare e armare la resistenza islamica che ha logorato in quei decisivi anni Ottanta l’armata rossa in Afghanistan. Oggi è l’Arabia Saudita a porsi come baluardo contro l’Iran, ospitando le basi americane e garantendo nel contempo Israele.

Quanto alla Turchia, è uno di Paesi militarmente più efficienti della NATO e, controllando gli stretti che sono l’unico accesso al Mediterraneo per la Russia, occupa una posizione strategica irrinunciabile per gli USA.

In definitiva, gli USA devono stare con tutti, Egitto, Arabia Saudita e Turchia, mentre fra questi Paesi gli intrecci e le rivalità sono molto complessi, tanto che è facile pensare che i gruppi ribelli sponsorizzati dalla Turchia in Siria non siano gli stessi armati e finanziati dai sauditi.

In tutto questo vespaio, Israele assiste con compiacimento e probabilmente con complicità allo scatenarsi dell’odio settario fra sunniti e sciiti. A Israele interessa soltanto una cosa: che gli Stati di quella parte del mondo si disgreghino e si frammentino in una lotta settaria e tribale, in modo che nessuno possa ostacolare le sue mire. L’Iraq e la Libia sono già disintegrati, la distruzione della Siria è in corso, la destabilizzazione dell’Egitto è in atto.

Potrebbe essere un calcolo sbagliato. Quando si lascia che la belva del fanatismo si sciolga dalle catene, tutta la contrada può inselvatichirsi e il predatore può diventare preda.