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Lampedusa e il complesso di Achille

di Diego Fusaro - 15/10/2013

Fonte: Lo Spiffero


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La tragedia si è consumata pochi giorni fa, nei pressi dell’isola dei Conigli. Sull’imbarcazione, che si è incendiata e poi rovesciata, oltre 500 profughi. Lutto nazionale e pianti senza tregua. È l’usuale complesso di Achille: nel canto che conclude il primo poema omerico, Achille si commuove alla richiesta del re Priamo di riavere il cadavere del figlio Ettore, ucciso e martoriato impietosamente dallo stesso Achille. È l’eterna vicenda dell’Occidente, commuoversi di fronte alle catastrofi che esso stesso ha prodotto.
 
A chi attribuire la responsabilità di quanto accaduto? Tra le caratteristiche del nostro tempo, vi è anche quella della perenne deresponsabilizzazione degli attori sociali: le “tragedie nell’etico” (Hegel) – licenziamenti, tagli alla spesa pubblica, precarizzazione del lavoro, ecc. – non sono mai considerate come l’esito di scelte criminali delle politiche neoliberali; sono, invece, puntualmente giustificate tramite il ricorso all’ipocrita formula liberatoria e deresponsabilizzante “non vi sono alternative” o, da qualche anno, alla sua versione ideologicamente aggiornata: “ce lo chiede l’Europa”. Formula, quest’ultima, che rivela fulgidamente l’ipocrisia di una politica ormai asservita all’economia finanziarizzata che, in quanto vocazionalmente apolide e transnazionale, deve sempre di nuovo delegittimare ogni forma di sovranità che non sia quella del mercato: dire che alle tragedie che l’Europa sta provocando bisogna reagire con “più Europa” sarebbe come dire a un drogato che, per uscire dal tunnel, ha bisogno di “più droga”.
 
Imputare le colpe sistemiche agli individui e quelle individuali al sistema: sembra questa la formula in cui si condensa lo spirito del nostro tempo, secondo una precisa strategia che fa ipocritamente ricadere tutte le colpe sempre e solo sui dannati della terra. Se si tagliano gli stipendi e la spesa pubblica, è colpa del sistema; se i giovani non trovano lavoro, è colpa loro (“bamboccioni” e “choosy”).
 
Alla luce di quanto detto, non bisogna, dunque, aspettarsi risposte: la responsabilità di quanto accaduto viene puntualmente imputata alle leggi sistemiche, mai a concrete politiche e a gruppi effettivamente operanti. Nello scenario della mondializzazione mercatistica, la contraddizione della mercificazione universale si manifesta nitidamente in quello che resta scandalo e follia per una ragione non prigioniera del “cretinismo economico” (Gramsci) dominante su tutto il giro d’orizzonte. Le merci si muovono in modo multidirezionale nel mondo simbolicamente ridotto a piano liscio funzionale al loro libero e illimitato scorrimento, senza conoscere frontiere né limitazioni di alcun tipo. Gli esseri umani, invece, sono costretti a rispettare frontiere e limitazioni di ogni sorta, sottoponendosi al rito del passaporto (nel migliore dei casi) e a quello del “permesso di soggiorno”, troppo spesso pagando con la vita la loro fuga verso nuovi orizzonti.
 
È il triste caso di Lampedusa. La globalizzazione finanziaria fa circolare illimitatamente le merci e genera segregazioni e campi di controllo per gli esseri umani: quale miglior prova del carattere reificato della società di mercato di cui siamo abitatori coatti? Le merci sono i veri soggetti, gli uomini sono ridotti a loro intermediari, patendo sulla loro carne viva le contraddizioni che discendono da questa verkehrte Welt, da questo “mondo rovesciato”, come lo chiamava Marx.
 
Secondo una dialettica spietata di inclusione ed esclusione, la mondializzazione del flusso senza frontiere delle merci e delle operazioni finanziarie dell’economia spoliticizzata coesiste con il filo spinato e con i centri di controllo panoptico dei migranti. La strage dei profughi di Lampedusa credo possa essere con diritto inserita in questo macabro orizzonte di senso. Commuoversi non serve a niente, se non a giustificare quanto già c’è. Occorre trasformare la rabbia gravida di buone ragioni in energia politica in grado di rovesciare lo stato di cose.

Fonte: Lo Spiffero