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Calci e sputi alla salma tengono in vita Priebke

di Marcello Veneziani - 16/10/2013


La vera spaccatura sul caso Priebke non è tra chi lo disprezza e chi lo difende, ma tra chi vuol chiudere per sempre quel capitolo funesto e chi vuol tenerlo sempre aperto


La vera spaccatura sul caso Priebke non è tra chi lo disprezza e chi lo difende, ma tra chi vuol chiudere per sempre quel capitolo funesto e chi vuol tenerlo sempre aperto.

Chiudere non è dimenticare o cancellare, ma distinguere tra ciò che è morto e ciò che è vivo, serbare memoria, condanna e pietà ma disarmare ogni militanza assurda dopo settant'anni.

Chi vuol tener vivo anche da morto Priebke, vuol tenere vivo l'odio e atroce il fossato, come s'è visto ieri ad Albano: e tra loro ci sono i fanatici e gli estremisti di ogni risma che amano la storia al sangue, ma c'è pure chi vi specula.

È l'industria dell'Olocausto che documentò Norman G. Finkelstein, storico ebreo e figlio di reduci dei lager, su chi sfrutta la Shoah. Sono loro, estremisti e speculatori, i nemici di una sepoltura di Priebke in tutti i sensi. Per loro siamo costretti a ripetere all'infinito le storie su via Rasella, la rappresaglia o il paragone tra chi obbedì a un feroce ordine militare e fece stragi - a Katyn o a Hiroshima - passando per eroe, e chi invece è criminale perché obbedì a un feroce ordine militare nazista. Tutti costoro, se si fossero ribellati, sarebbero stati uccisi. Sulla sepoltura dei criminali c'è un precedente in Maremma. A Capalbio la popolazione si divise tra chi voleva seppellire il brigante Tiburzi in terra sconsacrata perché criminale e chi in terra consacrata perché cristiano.

Il parroco dispose di seppellirlo sotto le mura di cinta del camposanto, per accontentare ambedue. Ci manca quella pia furbizia.