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Caso Cancellieri? Arridatece Radetzky!

di Romano Bracalini - 05/11/2013

Fonte: lindipendenza



 Ho conosciuto la ministra Annamaria Cancellieri, napoletana, negli anni ‘70 quando era capo ufficio stampa alla prefettura di Milano nel palazzo di corso Manforte, già sede del governatore asburgico nel 1848, quando i milanesi ebbero la cattiva idea di cacciare gli austriaci. La Cancellieri, inutile dirlo, aveva cominciato la carriera nell’apparato statale, il solo ed esclusivo settore improduttivo che attragga ogni laureato del Sud. Ha scritto Indro Montanelli: ”Come può uno Stato funzionare se la parte più evoluta, produttiva e ricca, quella settentrionale, continua ad essere governata da uno Stato meridionale che può essere paragonato all’Egitto di Faruk?”. E’ il destino di un Paese tenuto insieme con lo spago e fatto di due parti diverse e incompatibili.

Il Prefetto d’allora era il dottor Vicari, un compìto burocrate col sorriso perennemente stampato, come sanno esserlo i siciliani, al punto che nelle mie frequentazioni per ragioni professionali in Prefettura non l’ho mai sentito pronunciare una sola parola. Alle conferenze stampa se ne stava in silenzio, quasi in disparte, col suo sorriso stereotipato. Parlava per lui la vulcanica e incontenibile Cancellieri, che non aveva la mole d’oggi, ma si faceva notare per la verve straripante e le risate omeriche che rompevano frequentemente il suo fluviale rapporto alla stampa, nell’abitudine che ha mantenuto ancora oggi. Aveva stabilito rapporti cordiali con i giornalisti milanesi, sempre sorridente e disponibile; e questo, oltre che un tratto del carattere meridionale, mi pareva un abile calcolo per guadagnarsi i favori della stampa, che prima o poi sarebbero tornati comodi. Non potevamo sapere che già allora la Cancellieri era in rapporti di amicizia (lei e suo marito, il farmacista siciliano Peluso) con il costruttore edile Ligresti, anch’egli siciliano ma con campo d’azione nella Milano da bere del periodo craxiano. Dopo qualche anno, la Cancellieri venne trasferita, come capita periodicamente ai burocrati di Stato. Divenne, mi pare, prefetto a Catania, e poi prefetto ancora al Nord. Ma i suoi rapporti con il clan Ligresti non si interruppero, fino al caso scoppiato in questi giorni che l’ha messa nei guai. Immagino che le amicizie coltivate con tenacia e pazienza dalla Cancellieri, siano servite, oltre che a se stessa, anche per piazzare il figlio Piergiorgio Peluso, poco più che quarantenne, che nel 2012 ha incassato una maxiliquidazione di 3,6 milioni di euro per un solo anno di lavoro alla Fondiaria ed ora ha un altro lavoro lucroso. Al Sud i figli “so piezzi e’ core” e la Cancellieri giustamente stravede per il figlio, che è laureato alla Bocconi; ma non basterebbe un curriculum di tutto rispetto se non venissero in soccorso le amicizie giuste, al momento giusto, con le quali si ottengono posti di prestigio e si vincono i concorsi pubblici frequentati sempre dalle stesse dinastie di notabili che si raccomandano a vicenda.

Così è stato anche per la famiglia Ligresti finita in cella a luglio per aggiotaggio. La Cancellieri, facendo prevalere i sentimenti (e gli interessi) sui doveri d’ufficio, che avrebbero dovuto suggerirle un comportamento più distaccato e equanime, fece una telefonata alla famiglia per rassicurarla che avrebbe potuto contare su di lei. E si è mossa di conseguenza. Ora si difende dicendo che la signora Giulia Ligresti, uscita dal carcere, rischiava la vita rifiutando di mangiare.Un caso umanitario, insomma; che in carcere si muoia non è un mistero; c’è stato un anno che ha registrato il suicidio di 77 reclusi. Nessuno s’era mosso per soccorrerli. Il mondo politico s’è diviso a seconda delle convenienze, non giudicando il caso per quello che è: abuso di potere. Il movimento Cinque Stelle è il più risoluto a chiedere le dimissioni; il Pd, al solito, è diviso tra renziani e no, il Pdl la difende, Cicchito, il più impunito, dice che la Cancellieri “va lodata”. La difendono a spada tratta anche Quagliarello e Alfano, ma mi pare che la loro preoccupazione di fondo sia quella di non procurare ulteriori difficoltà al governo. La Cancellieri val bene la poltrona. La filosofia di questo disgraziato Paese è sempre la stessa. Non governano i più onesti e e i più capaci ma i più furbi. E non c’è dubbio che anche la Cancellieri va iscritta in quest’ultima categoria. E pensare che nell’aprile scorso, lo scrittore Saviano, sempre profetico, l’aveva candidata alla presidenza della Repubblica.

Un altro caso di concussione e di nauseante interesse di bottega: una mancanza di etica in cui l’interesse privato prevale sull’etica della serietà e del dovere e richiama alla mente l’eterno spirito di Pulcinella, maschera napoletana. A Napoli la corruzione e il ladrocinio infettavano ogni organo dello Stato. Ma re Ferdinando II di Borbone conosceva bene i suoi polli e quando vedeva entrare un suo ministro sibilava ai vicini: ”Occhio al portafoglio!”. Anche la ministra Cancellieri, una vita alla greppia dello Stato, non si è dimostrata migliore della risma dei ministri passati e presenti dei peggiori governi. Oggi riferirà in Parlamento. Al momento ripete che non si dimette. Ha ragione. Perché mai dovrebbe farlo? Siamo nell’Italietta cialtrona e ladra di sempre. Mica in Svizzera. Aridatece Radetzky!