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Forse Kenedy aveva visto giusto

di Michele Rallo - 10/11/2013

 

 

 

Vi è un episodio della vita di John Fitzgerald Kennedy, 35° Presidente degli Stati Uniti d’America, che è stato sistematicamente ignorato o minimizzato da quasi tutte le biografie a lui dedicate. Si tratta dell’emanazione di un decreto presidenziale – l’Ordine Esecutivo n° 11.110 del 4 giugno 1963 – che ordinava al Dipartimento del Tesoro di emettere “certificati aurei” a fronte delle riserve d’argento (monete, lingotti o altro) detenute in tesoreria. Attenzione: il Tesoro doveva emettere i silver certificates direttamente, e non chiederli alla banca privata “centrale” (la Federal Reserve) che aveva ed ha il monopolio dell’emissione del dollaro USA. In altre parole: il Governo poteva mettere in circolazione dei denari (ché tali erano di fatto i certificati) senza contrarre debito con la banca d’emissione.

Questo episodio è stato ed è tutt’ora argomento di aspro dibattito fra due diverse scuole di pensiero. Una minimalista, che afferma essersi trattato di un banale provvedimento amministrativo, assunto da Kennedy in forza di una normativa preesistente. Ed una massimalista, che sostiene il carattere rivoluzionario del decreto, visto come primo passo di una manovra per togliere alle banche private (azioniste della FED) il potere di gestire il denaro pubblico.

Non entro, naturalmente, nel merito di una diatriba eminentemente tecnica. Non posso nascondere – tuttavia – che a convincermi maggiormente è la seconda ipotesi, magari depurata da qualche estremizzazione. Perché? Perché l’Ordine Esecutivo 11.110 ha prodotto dei pur limitati effetti concreti: non soltanto i certificati sono stati realmente prodotti, ma pare (chiedo scusa per la formula dubitativa) che siano stati poi sostituiti da banconote di piccolo taglio – per oltre 4 miliardi di dollari – emesse direttamente dal Tesoro statunitense. E mi convince di più – questa tesi – perché non è comunque pensabile che un uomo politico del calibro di John Kennedy potesse ignorare le conseguenze (nel prossimo e nel remoto futuro) di un decreto che autorizzava il Dipartimento del Tesoro a stampare moneta, invece di farsela prestare – dietro pagamento di interessi – dalla FED. Quali conseguenze? Volendo semplificare, diciamo che gli USA non avrebbero accumulato l’immenso debito pubblico di cui sono carichi oggi, e che – simmetricamente – la finanza speculativa internazionale non avrebbe accumulato l’immensa ricchezza generata (soprattutto nell’ultimo mezzo secolo) dagli interessi sul debito pubblico americano; per tacere – ovviamente – dei riflessi sulle economie degli altri Paesi.

Peraltro, l’idea di un Kennedy ostile ai poteri forti mi convince. Si sposa perfettamente con il Kennedy che – in una precedente occasione – aveva affermato: «Siamo di fronte, in tutto il mondo, ad una cospirazione monolitica e spietata, basata soprattutto su mezzi segreti per espandere la propria sfera d’influenza, sull’infiltrazione anziché sull’invasione, sulla sovversione anziché sulle elezioni, sull’intimidazione anziché sulla libera scelta.» All’epoca, alcuni considerarono quell’attacco come diretto al comunismo, altri alla massoneria. A mio parere, delle forzature: il comunismo combatteva l’influenza americana a viso aperto; e la massoneria – almeno negli USA – era quasi una istituzione, e per nulla segreta. La cospirazione cui si riferiva il Presidente americano – a modesto parere del sottoscritto – era invece quella finanziaria, quella che all’epoca si muoveva ancòra con circospezione, e che oggi ha gettato la maschera, operando a viso aperto per impadronirsi delle risorse economiche di tutte le nazioni, ivi compresa quella statunitense.

Purtroppo, però, tutte le teorie al riguardo non potranno mai avere conferma: il 22 novembre 1963 – cinque mesi dopo l’Ordine Esecutivo 11.100 – John Fitzgerald Kennedy veniva ucciso a Dallas.