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USA: quale accordo con Teheran?

di Michele Paris - 20/11/2013

       

 

 

 

A pochi giorni dal nuovo vertice sul nucleare iraniano tra i rappresentanti di Teheran e il gruppo dei cosiddetti P5+1 (USA, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania), più di una nuvola minacciosa si sta addensando su negoziati che in molti vorrebbero vedere naufragare completamente. L’incontro di Ginevra tra il 21 e il 22 novembre prossimi metterà così alla prova soprattutto le intenzioni dell’amministrazione Obama, chiamata in sostanza a prendere un’importantissima decisione che, per mandare in porto un accordo efficare, dovrà finalmente riconoscere il diritto della Repubblica Islamica ad operare un programma nucleare a scopi pacifici del tutto legittimo, finendo inevitabilmente per creare più di un malumore tra i tradizionali alleati in Medio Oriente.

Come è noto, l’opposizione più irriducibile ad un accordo con Teheran continua ad essere manifestata dalla grande maggioranza dei membri del Congresso di Washington e dal governo Netanyahu in Israele, preoccupato per la possibile perdita della propria superiorità nella regione. Per allentare le resistenze dei leader di Camera e Senato, l’amministrazione Obama ha così messo in campo sia il Segretario di Stato, John Kerry, che lo stesso presidente.

Il Senato, infatti, minaccia di approvare un nuovo pacchetto di sanzioni contro l’Iran già licenziato dalla Camera qualche mese fa e che congelerebbe per intero i traffici commerciali del paese mediorientale entro i prossimi anni. In un’audizione al Senato, perciò, Kerry ha avvertito che l’applicazione di ulteriori sanzioni determinerebbe il quasi certo collasso dei colloqui. L’ex senatore democratico, inoltre, venerdì prossimo si recherà in Israele, dove è giunto domenica anche il presidente francese, François Hollande, per rassicurare il premier Netanyahu.

Obama, da parte sua, qualche giorno fa ha spiegato invece che l’unica alternativa al tentativo di “esplorare l’opzione diplomatica” sarebbe con ogni probabilità una guerra rovinosa. Entrambi i leader statunitensi, hanno comunque confortato i falchi del Congresso e gli israeliani, assicurando che la Casa Bianca appoggerà qualsiasi nuova misura punitiva nei confronti dell’Iran se i colloqui non dovessero portare a risultati concreti.

Secondo le indiscrezioni filtrate da Ginevra due settimane fa, l’accordo preliminare su cui si sta discutendo prevederebbe un quasi totale blocco del programma nucleare iraniano per sei mesi, durante i quali verrebbero allentate alcune sanzioni, così da consentire trattative per un’intesa definitiva di più ampio respiro. Su un testo simile, i negoziati erano saltati all’ultimo minuto e la delegazione della Repubblica Islamica e quelle delle potenze occidentali hanno poi riportato versioni contrastati sulle responsabilità del mancato accordo.

Il Segretario di Stato americano ha sostenuto che gli iraniani non sono stati in grado di accettare la bozza di accordo presentata dal fronte compatto dei P5+1, mentre il ministro degli Esteri di Teheran, Mohammad Javad Zarif, ha respinto le accuse, puntando il dito contro le proprie controparti e, in particolare, la Francia.

I resoconti della stampa all’indomani del vertice di Ginevra - secondo i quali il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, aveva di fatto bloccato la firma di un accordo condiviso ponendo alcune condizioni inaccettabili per l’Iran - sono stati confermati qualche giorno fa anche da un’analisi del giornalista americano Gareth Porter pubblicata dall’agenzia di stampa Ipsnews e basata sulle dichiarazioni rilasciate nel corso di una conferenza stampa dal Cairo del ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov.

Quest’ultimo ha rivelato come, al termine delle discussioni nella città svizzera, “i P5+1 non siano stati in grado di accordarsi su un documento condiviso”. Inizialmente, in realtà, “era emersa una bozza proposta dagli americani e che era stata approvata dalla delegazione iraniana”. Questa versione dell’accordo avrebbe poi trovato l’OK anche dei russi e degli altri paesi coinvolti.

Secondo Lavrov, se questo documento fosse stato appoggiato da tutti fino all’ultimo “ora staremmo probabilmente già implementando le prime condizioni dell’accordo”. Invece, gli americani hanno improvvisamente apportato delle modifiche al testo negoziato con l’Iran su insistenza della Francia e senza consultare la Russia. La nuova versione è così circolata “letteralmente quando le delegazioni stavano per lasciare Ginevra” e le modifiche sono risultate tali da essere inaccettabili per gli iraniani.

La ricostruzione di Lavrov conferma dunque come le incertezze non siano da attribuire alla Repubblica Islamica - il cui nuovo governo moderato deve peraltro fronteggiare le ansie di una parte dell’establishment conservatore che vede con estremo sospetto qualsiasi trattativa con l’Occidente - bensì agli Stati Uniti e ai loro alleati che, pur vedendo indubbi vantaggi strategici in un accordo con Teheran, continuano quanto meno a rimandare una decisione sostanzialmente politica che avrebbe conseguenze tutt’altro che trascurabili per gli equilibri mediorientali e non solo.

Nella necessità di porre fine al più presto a sanzioni che hanno messo in ginocchio la propria economia, l’Iran continua infatti a mostrare tutta la propria disponibilità a trattare per risolvere la questione del nucleare. Ciò è stato confermato da una serie di annunci dei giorni scorsi, a cominciare dall’accordo trovato tra l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica e Teheran per un regime di ispezioni più severo presso i siti nucleari iraniani.

Più recentemente, inoltre, la stessa agenzia delle Nazioni Unite ha confermato come l’Iran abbia congelato negli ultimi mesi l’espansione del proprio programma nucleare, senza aggiungere praticamente nessuna nuova centrifuga per l’arricchimento dell’uranio nelle strutture di Natanz e Fordo. Infine, Teheran ha deciso anche di interrompere i lavori per l’avvio dell’impianto di Arak che dovrebbe servire a produrre plutonio dal prossimo anno e sul quale si erano concentrate le critiche francesi due settimane fa a Ginevra.

Tra pressioni contrastanti e in aumento, dunque, i prossimi giorni dovrebbero rivelare finalmente quanto gli Stati Uniti saranno disposti ad andare contro le resistenze interne ed esterne per giungere ad uno storico accordo che, dopo decenni, potrebbe aprire l’Iran all’Occidente con conseguenze economiche e strategiche che appare sempre più difficile sopravvalutare.