I BRICS: una sfida all’occidente?
di Salman Rafi Sheikh - 20/11/2013
I BRICS sarebbero emersi come principale sfida alla cosiddetta egemonia globale degli Stati Uniti e dei loro satelliti. Si tratta dell’unione politico-economica di cinque Paesi (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) che tentano di trovare una formula che possa aiutarli a coordinare i propri obiettivi politici ed economici, formando una visione politica comune su questioni di importanza globale e agendo uniti nelle organizzazioni internazionali come l’ONU. Una delle caratteristiche più significative di questa coalizione è che, a differenza dell’UE, non tutti i Paesi sono territorialmente collegati. Questa eterogeneità, a sua volta fornisce una peculiare posizione verso gli USA e l’UE nel panorama geopolitico globale, avendo la possibilità di contrastare i piani egemonici dell’occidente. Il documento politico russo sul concetto di partecipazione della Russia nei BRICS ne chiarisce l’essenza, “l’istituzione dei BRICS riflette una tendenza oggettiva nello sviluppo globale, verso la formazione di un sistema policentrico delle relazioni internazionali, sempre più caratterizzato dall’uso di meccanismi non istituzionalizzati di governance globale e di diplomazia via network, e la crescente interdipendenza economica degli Stati.” Anche se non si può affermare che si tratta di una coalizione anti-occidentale basata su una qualche controproposta o visione radicalmente diversa del mondo, la sua contrarietà ed opposizione all’ordine mondiale attuale e al suo modus operandi, cioè l’interventismo, è ovvio, da cui lo slogan dei BRICS sulla protezione della sovranità degli Stati. Uno sguardo al loro ordine del giorno dimostra che i BRICS tentano di presentarsi al mondo con idee che non siano di origine occidentale, proponendo così una narrazione globale alternativa e competitiva. Ciò include il cambiamento dell’ordine del giorno, della direzione, dei requisiti permanenti e del processo decisionale collettivo nella comunità internazionale in settori sensibili come i negoziati commerciali multilaterali, le riforme di Fondo Monetario Internazionale, Consiglio di Sicurezza e Nazioni Unite, il completamento dei negoziati sul clima, ecc. Al vertice del 2013 dei BRICS in Sud Africa, il presidente russo Putin propose di elaborare un “concetto comune di strategia internazionale” per lo sviluppo dei Paesi BRICS, e l’idea è stata accolta calorosamente dagli altri partecipanti.
Il fatto che i Paesi BRICS non approvino il meccanismo attuale per mantenere la stabilità economica mondiale, è diventato evidente nell’ultimo summit in cui i leader espressero la necessità di rivitalizzare la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e il mandato per lo sviluppo (UNCTAD) come punto nodale del sistema delle Nazioni Unite dedito alle questioni correlate a commercio, investimenti, finanza e tecnologia nella prospettiva dello sviluppo. E’ importante notare che i BRICS non vedono il FMI e la Banca Mondiale come elementi base delle Nazioni Unite, anzi, preferiscono dare priorità all’UNCTAD invece. D’altra parte, è anche vero che i Paesi BRICS sono economie in rapida emersione ed hanno il potenziale per modificare le condizioni finanziarie internazionali. Secondo un rapporto del Global Economic Governance Africa (febbraio 2013), nel 2012 la crescita media del PIL per i BRICS è stata del 4% (rispetto al 0,7% del G7), sulla base del potere d’acquisto è stato del 27% (in continua crescita ). Nel 2010-2013 la crescita media è stata del 5,6% per i BRICS (1,85% nei Paesi in via di sviluppo). In totale l’economia BRICS è aumentata 4,2 volte negli ultimi dieci anni (61% nel caso dei Paesi in via di sviluppo). Allo stesso modo, le economie BRICS, se viste nel loro insieme negli ultimi vent’anni, emergono quale forza da non sottovalutare. Questo è debitamente traslato dalla quota crescente dei Paesi BRICS nel PIL mondiale. Da una quota di poco più del 10% del PIL mondiale nel 1990, i BRICS ora arrivano ad oltre il 25%. Ciò indica che la dimensione economica dei BRICS, in termini di quota del PIL mondiale, è cresciuta del 150% in vent’anni. Come nel caso della loro quota nel PIL mondiale, la quota dei BRICS nel commercio mondiale è migliorata in modo significativo negli ultimi due decenni, dal 3,6% a oltre il 15%. Il contributo principale in termini di valore proviene dalla Cina, la cui quota è passata da meno del 2% a oltre il 9%. Tuttavia, non si sostiene che gli altri Paesi BRICS non vi abbiano contribuito. Le loro azioni sono aumentate, con la quota del Brasile che passa dal 0,8% all’1,2%, della Russia dal’1,5% al 2,3%, e dell’India dal 0,5% all’1,8%. Il Sudafrica è l’unico Paese del gruppo la cui quota nel commercio mondiale è rimasta costante negli ultimi vent’anni. Un chiaro esempio della crescente potenza economica dei BRICS può essere dato dall’aver promesso 75 miliardi di dollari (di cui 43 miliardi dalla Cina) nel giugno 2012 al Fondo monetario internazionale, affinché fossero usati nel salvataggio dell’Eurozona. Allo stesso modo, altri dati mostrano che l’afflusso di investimenti esteri diretti (IDE) nei Paesi BRICS s’è moltiplicato negli ultimi dieci anni, con un tasso di crescita di quasi l’11%, saltando dagli 81 miliardi nel 2000 ad oltre 221 miliardi di dollari nel 2010. In confronto, i flussi IDE verso certi Paesi occidentali industrialmente avanzati mostrano una tendenza negativa. L’andamento dei flussi in uscita è simile a quello degli afflussi. Gli IDE in uscita dai Paesi BRICS sono aumentati ad un tasso di crescita di oltre il 35%, di fronte a una tendenza al calo in alcuni Paesi industrialmente avanzati. Ciò dimostra che le economie BRICS non sono solo i principali sbocchi degli IDE, ma che anche hanno un ruolo sempre più importante nel soddisfare la domanda globale di capitale. E per quanto riguarda la quota delle economie BRICS nei flussi mondiali degli IDE, nel 2010 il gruppo ha rappresentato quasi il 18% del totale degli IDE globali. La cosa più importante è il fatto che dal 2000 si è registrato un forte aumento della quota mondiale di questi Paesi negli IDE, quando fu registrato un quasi 6%.
Tuttavia, nonostante il contributo all’economia mondiale dei BRICS, è difficile negare il fatto che le economie di questi Paesi dipendano fortemente dal dollaro USA. Anche se decisero nel 2010 di rendere le loro valute inter-convertibili, il problema del calcolo dei tassi di conversione delle valute, resta irrisolto. Ciò perché quasi tutto il sistema economico mondiale si basa sul dollaro USA. Se il dollaro si svaluta, le economie di tutti questi Paesi ne soffrirebbero. Se la Cina non comprasse titoli statunitensi, gli USA ne soffrirebbero. Se gli USA soffrono, l’esportazione della Cina si ridurrebbe notevolmente per via del conseguente declino economico di Stati Uniti ed Unione europea. E anche la Russia non potrebbe ottenere prezzi adeguati per le sue materie prime energetiche. È un dato di fatto, tutti questi Paesi accumulano e mantengono enormi riserve di dollari. Dalla crisi asiatica, questi Paesi hanno ritenuto che questo fosse l’unico modo di proteggersi contro gli shock che possono destabilizzare i sistemi finanziari.
Anche il potere finanziario ora riposa considerevolmente sui 3 triliardi di dollari di riserva della Cina, e il passaggio del potere economico da Europa e Stati Uniti all’Asia e altre economie emergenti, non accadrà in una notte. Per prima cosa, i primi godono ancora del vantaggio tecnologico. La tecnologia dell’idrofracking, per esempio, può rendere gli Stati Uniti quasi autosufficienti in gas e petrolio entro un decennio. Ciò farà diminuire sensibilmente la potenza e la prosperità dei Paesi esportatori di energia, compresa la Russia (che però non vende energia agli USA. NdT.) e l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio. E nonostante l’attuale crisi economica, l’occidente resta molto più ricco rispetto agli altri. L’economia statunitense è ancora tre volte più grande di quella cinese, con un reddito pro capite dieci volte superiore a quella di quest’ultima. (Questo dimenticando, convenientemente, l’incredibile squilibrio nella distribuzione dei redditi e profitti negli USA, dove tra l’altro, non esiste in pratica risparmio familiare. NdT). Uno sguardo alla performance di questa coalizione nel campo politico, mostra anche che i Paesi BRICS hanno adottato determinate misure che possono essere interpretate derivanti da politiche tradizionali. L’esempio spesso citato di tale politica dei BRICS è l’astensione all’ONU sulla Libia. Tuttavia, ciò cui non viene dato giusto riconoscimento è il fatto che sia Cina che Russia hanno diritto di veto nel Consiglio di sicurezza dell’ONU, dove avrebbero potuto bloccarlo del tutto, se l’avessero deciso. (L’autore, al solito, confonde la semplice questione che la Jamahiriya Libica aveva maggiori rapporti con l’UE e gli USA, rispetto ai BRICS, e che certo Mosca e Beijing non si immaginavano che la follia della NATO sarebbe arrivata al punto di distruggere un elemento di stabilità, la cui assenza affligge più l’occidente e i suoi alleati che il blocco eurasiatico. NdT.) Inoltre, la semplice astensione non avrebbe ovviamente costretto gli USA e l’UE a cambiare politica. D’altra parte, anche la Germania si era astenuta. Quindi la Germania può essere considerata parte dei BRICS? Ovviamente ciò non basta a spiegare l’omogeneità e la politica coordinata dei BRICS. (Ragionamento senza senso. Inoltre, l’autore evita di citare il caso siriano, forse perché è un sostenitore del terrorismo saudita in cui i mercenari del suo Paese, il Pakistan, hanno un certo peso. NdT.) Allo stesso modo, è stato sostenuto che i Paesi BRICS sono un grande ostacolo sulla via dell’UE per divenire membro dell’ONU, un chiaro segnale di politica coordinata. L’opposizione al seggio all’UE è una posizione di principio per questi Paesi. L’ONU è attualmente composto soltanto da Stati e l’inclusione dell’UE equivarrebbe a un cambiamento rivoluzionario del sistema internazionale contemporaneo, basato sul principio della sovranità dello Stato. Inoltre, significherebbe che NATO, ASEAN e BRICS dovrebbero diventare membri dell’ONU? Non è dunque il potere dei BRICS, ma una costrizione sistemica che blocca l’ingresso di una organizzazione regionale nell’ONU, che i BRICS manipolano a proprio vantaggio. Inoltre, vi sono altri fattori critici che limitano il raggio d’azione dei Paesi BRICS, come le differenze interne ai BRICS e lo scontro di interessi in determinate aree. Con un confine condiviso e contestato, la Cina e l’India diffidano reciprocamente, e l’élite politica indiana vede la forte concorrenza sui confini con animosità verso il grande vicino. Il Sud Africa è un Paese con una costituzione eccezionalmente progressiva, e che la Russia non arriva ad avere un ‘rapporto comodo’ con la Cina, anche se è un dato di fatto che le loro relazioni bilaterali certamente sono migliorate negli ultimi anni. Il Brasile ha stretti legami storici con il Portogallo, avvicinandolo all’Europa. Allo stesso modo, i membri non sono riusciti a formare una vera e propria diplomazia comune. C’è anche un problema di rappresentanza ineguale nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. L’interdipendenza economica degli Stati membri impallidisce in confronto al grado di dipendenza reciproca nei Paesi BRICS, tentando di divenire la risposta al problema del cosiddetto ‘ruolo guida’ che gli Stati Uniti ebbero dalla fine della Guerra Fredda. Tuttavia, non si può dire che i problemi non siano risolvibili. Se vi sono differenze interne tra i membri BRICS, Stati Uniti e Unione europea neanche sono coalizioni così omogenee quanto dovrebbe essere normalmente. Anche molti Paesi membri dell’UE hanno pubblicamente espresso insoddisfazione verso l’Eurozona, e chiesto la sua sostituzione o l’abbandono completo. Allo stesso modo, la decisione dell’Unione europea di non partecipare all’invasione dell’Iraq con gli Stati Uniti, fu un’evidente differenza interna nel mondo occidentale. Secondo alcune fonti, il fattore principale nella riconfigurazione sistematica degli Stati Uniti delle proprie forze nel mondo è l’incertezza circa l’affidabilità a lungo termine degli alleati, in particolare della ‘vecchia Europa’. A ciò aggiungendosi che le crisi finanziarie dell’occidente, anche degli Stati Uniti (come si è visto nel recente sequestro), hanno maggiori probabilità di paralizzare, in una certa misura, la loro capacità di manipolare le agende globali.
Per coronare il tutto, si può dire, alla luce di quanto spiegato, che i BRICS sono un’associazione economica che gradualmente diventa un’“unione”. Anche se ha il potenziale economico e politico per influenzare il sistema internazionale, la sua efficacia è limitata dai propri limiti e da certi vincoli sistemici. La sfida più grande e l’ostacolo più grande da superare è presentare un sistema finanziario alternativo con una moneta in grado di sostituire dollaro, perché senza di essa non arriveranno nella posizione di prendere decisioni sul sistema internazionale. È a causa dell’importanza fondamentale del dollaro che, nonostante i due terzi delle riserve di valuta estera mondiale siano in Asia, il processo decisionale nelle istituzioni finanziarie globali continui ad essere prerogativa occidentale. Tuttavia, non si può trascurare il fatto che se l’occidente non riesce a risolvere la sua crisi economica e finanziaria, nel prossimo futuro potrebbe scambiare i vantaggi della sua crescente prosperità contro la perdita della sua importanza globale, in primo luogo verso la nascente coalizione dei BRICS.
Salman Rafi Sheikh, ricercatore analista in relazioni internazionali e affari esteri e nazionali del Pakistan. In esclusiva per la rivista online “New Oriental Outlook“.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora