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Nucleare iraniano, il primo passo

di Michele Paris - 25/11/2013

        
    

Dopo cinque giorni di intense trattative, i rappresentanti della Repubblica Islamica dell’Iran e dei cosiddetti P5+1 (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania) hanno raggiunto nella mattinata di domenica a Ginevra un accordo transitorio di sei mesi per cercare di risolvere l’annosa questione del programma nucleare di Teheran. Il compromesso tra le due parti prevede una serie di rassicurazioni richieste dalle potenze occidentali in cambio di un modesto allentamento delle sanzioni internazionali che gravano sull’economia iraniana.

Le due settimane trascorse dal precedente summit nella località svizzera sembravano avere complicato i negoziati, fornendo agli oppositori dell’accordo negli Stati Uniti e in Medio Oriente nuovi argomenti per far naufragare del tutto le trattative in corso. Nei giorni scorsi, tuttavia, le dichiarazioni delle varie delegazioni giunte a Ginevra erano risultate sostanzialmente all’insegna dell’ottimismo.

Lo stesso ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, aveva sostenuto che l’accordo era stato raggiunto ormai al 90%, così che l’arrivo a Ginevra dei suoi omologhi dei P5+1 ha finalmente spianato la strada ad una soluzione condivisa.

Il punto più controverso nel corso delle trattative del fine settimana era sembrato essere il riconoscimento del diritto all’arricchimento dell’uranio da parte dell’Iran in quanto firmatario del Trattato di Non Proliferazione. Secondo i media e la delegazione della Repubblica Islamica, tale accordo sarebbe stato finalmente riconosciuto, mentre gli Stati Uniti hanno negato una simile concessione.

In realtà, sulla questione sarebbe stato raggiunto un compromesso, visto che il testo dell’accordo indica la possibilità da parte dei P5+1 di riconoscere tutti i diritti previsti dal Trattato di Non Proliferazione se l’Iran dovesse collaborare pienamente con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) e fugare i dubbi circa il proprio programma nucleare. La comunità internazionale, in ogni caso, non sarà obbligata a riconoscere formalmente il diritto iraniano all’arricchimento dell’uranio.

Sostanzialmente rimandata è anche un’altra questione che aveva impedito un accordo già due settimane fa, cioè la sorte dell’impiano per la produzione di plutonio di Arak. L’Iran si è per ora impegnato a sospenderne i lavori e ad accettare ispezioni più severe da parte dell’AIEA.

Il governo iraniano ha poi accettato di limitare il livello di arricchimento di uranio al di sotto del 5%, anche se quello già arricchito al 20% - e, quindi, considerato tecnicamente vicino al livello necessario per essere utilizzato per scopi bellici - non dovrà essere trasferito all’estero. Allo stesso modo, gli impianti di arricchimento di Natanz e Fordo continueranno ad operare.

In cambio, Teheran otterrà un alleggerimento delle sanzioni che, secondo le stime americane, dovrebbe consentire al paese mediorientale di recuperare tra i 6 e i 7 miliardi di dollari di mancate entrate nei prossimi mesi.

In particolare, i P5+1 faciliteranno il rimpatrio di proventi legati alla vendita di petrolio congelati su conti esteri a causa delle sanzioni. Secondo gli analisti, l’Iran dispone attualmente di qualcosa come 50 miliardi di dollari generati dall’esportazione di greggio a cui non può accedere a causa delle misure punitive implementate in questi anni.

Inoltre, la Repubblica Islamica potrà tornare a commerciare in oro e metalli preziosi, così come verranno sospese alcune sanzioni relative al settore automobilistico, aereo e petrolchimico. L’Iran, secondo quanto affermato da diplomatici occidentali sentiti dal Wall Street Journal, nei prossimi sei mesi perderà comunque più di 25 miliardi di dollari a causa delle sanzioni che rimarranno in vigore.

Come ha confermato il capo della delegazione iraniana, il ministro degli Esteri Zarif, l’intesa siglata domenica “è solo il primo passo” che dovrebbe servire nei prossimi sei mesi a raggiungere un accordo di più ampio respiro sia per legittimare definitivamente il programma nucleare di Teheran a fini pacifici sia, possibilmente, per reinserire la Repubblica Islamica a pieno titolo nella comunità internazionale.

L’obiettivo finale rimane comunque non facilmente raggiungibile, viste le forze che si oppongono ad una soluzione di questo genere. Le reazione dell’amministrazione Obama all’annuncio dell’accordo sono sembrate riflettere queste preoccupazioni, con il segretario di Stato, John Kerry, che, per rassicurare i falchi di Washington, ha ad esempio ricordato come il processo di parziale allentamento delle sanzioni sia del tutto reversibile se l’Iran non manterrà gli impegni presi.

Lo stesso presidente democratico ha a sua volta prospettato un intensificarsi delle pressioni su Teheran se i termini dell’accordo non verranno rispettati. Nonostante la retorica, tuttavia, le minacce principali all’accordo raggiunto a Ginevra saranno rappresentate proprio dai governi occidentali - intenzionati ad estrarre il masso in termini di concessioni dall’Iran - e dai loro alleati in Medio Oriente, i quali vedono come una gravissima minaccia alle loro posizioni strategiche un riavvicinamento tra Teheran e Washington.

Le prime risposte alla notizia arrivata dalla Svizzera da parte dei tre principali centri di opposizione all’accordo sul nucleare - Israele, Arabia Saudita e Congresso USA - sono state infatti tutt’altro che confortanti.

Da Israele, l’ufficio del primo ministro Netanyahu ha rilasciato un comunicato ufficiale nel quale vengono criticati i P5+1 per avere garantito all’Iran “esattamentre ciò che cercava: un sostanziale allentamento delle sanzioni e il mantenimento del proprio programma nucleare”. Il ministro dell’Industria di Tel Aviv, Naftali Bennett, in un’intervista alla radio israeliana IDF ha invece affermato che il suo paese non si sente vincolato ad alcun accordo con l’Iran, lasciando aperta perciò la strada dell’aggressione militare. Lo stesso premier ultra-conservatore ha poi bollato l’accordo come uno “sbaglio storico” che dà la possibilità “al regime più pericoloso del mondo” di costruire “l’arma più pericolosa del mondo”.

Ugualmente, l’ambasciatore dell’Arabia Saudita in Gran Bretagna ha detto al quotidiano Times che la monarchia assoluta del Golfo Persico non intende stare a guardare le potenze internazionali nel loro fallimento di fermare il programma nucleare iraniano.

Ancora più assurde sono apparse infine le dichiarazioni del senatore repubblicano dell’Illinois Mark Kirk - uno dei più accesi sostenitori delle sanzioni contro l’Iran al Congresso americano - il quale ha sostenuto che l’accordo “offre al principale sponsor del terrorismo nel mondo miliardi di dollari in cambio di concessioni puramente cosmetiche”.

Il Senato degli Stati Uniti nei giorni scorsi aveva minacciato di adottare un nuovo pacchetto di sanzioni per congelare virtualmente tutto l’export petrolifero iraniano nei prossimi anni, così da “convincere” Teheran ad assumere una posizione più malleabile nel corso dei negoziati.

Le reazioni a Teheran alle notizie provenienti da Ginevra sono state al contrario estremamente positive. Secondo l’agenzia di stampa ufficiale IRNA, la guida suprema, ayatollah Ali Khamenei, ha ad esempio indirizzato una lettera al presidente, Hassan Rouhani, per elogiare il lavoro svolto dalla delegazione guidata da Zarif.

Lo stesso ministro degli Esteri, invece, pur mettendo in guardia dagli ostacoli che rimangono sulla strada di un accordo più ampio e dal rischio rappresentato da coloro che intendono “sabotare il percorso diplomatico”, ha rilasciato una serie di dichiarazioni entusiaste sia ai media sia sui social network, dove il risultato raggiunto a Ginevra ha ottenuto il gradimento di decine di migliaia di iraniani.

L’establishment della Repubblica Islamica, dunque, nonostante l’opposizione degli ambienti più intransigenti sembra essere compatto attorno alla ricerca di una soluzione diplomatica alla crisi del nucleare.

I benefici per l’Iran - così come per gli Stati Uniti - non sono d’altra parte trascurabili sia in termini strategici che economici, come ha confermato qualche giorno fa un articolo del Wall Street Journal nel quale è stato rivelato come le autorità di Teheran si siano già mosse per contattare alcune delle principali compagnie petrolifere occidentali interessate a tornare ad operare nel paese una volta cancellate interamente le sanzioni internazionali.