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Produttori di tutto il mondo unitevi. Per rompere la gabbia del debito...

di Claudio Moffa - Giovanna Canzano - 29/12/2013

Fonte: politicamentecorretto

Nel suo ultimo libro ci sono molte affermazioni 'forti'. Forse quella di maggiore impatto è “libera impresa in Stato padrone dell'emissione monetaria”. Ma lei è diventato liberista?

No, continuo a pensare che il modello migliore per il nostro paese sia un'economia mista, con alcuni settori strategici nelle mani dello Stato come è stato fino al 1992. Ma il liberismo va comunque rideclinato, e anche chi è contro il liberismo deve impegnarsi in questo senso: bisogna distinguere tra liberismo d'impresa produttiva e liberismo finanziario. Il primo ha una sua legittimità, tale anche perché normato e in permanente dialettica con i sindacati e i governi. Il secondo tipo di liberismo naviga invece nell'assoluto vuoto normativo, è una attività borderline tra furbizia, truffa, guadagni comunque illeciti: le banche che accumulano masse di denaro enormi attraverso la riserva frazionaria e l'anatocismo, i futures, il caso Madoff. Un potere che oggi è non di supporto, ma antagonista al mondo della produzione, un po' come fotografato da Hobson nella seconda metà dell'Ottocento. I capitalisti industriali e i produttori dipendenti hanno da questo punto di vista non dico gli stessi interessi, ma interessi convergenti nell’azione di contrasto della crisi.

 

Un minuto di silenzio per imprenditori e disoccupati suicidi

 

Ma c’è questa coscienza nel mondo imprenditoriale? E non c’è il rischio che l’oggettiva comunanza di interessi venga strumentalizzata da imprenditori senza scrupoli per indebolire ancora di più i lavoratori dipendenti?

Un pericolo del genere c’è, ma la convergenza è oggettiva. In occasione della presentazione del mio libro all’Università di Teramo, il Presidente della Confindustria locale ha lamentato la sua delusione dopo il regalo di 149 miliardi di euro alle Banche da parte della BCE, nel dicembre 2011: ‘finalmente adesso le banche ci daranno crediti per la ripresa. Ma poi non è stato così, e son rimasto deluso”. Così mi ha detto, e su una banca di emissione di Stato non ha opposto controargomentazioni in difesa della ‘libertà’ e dell’ ‘autonomia’ dell’Istituto di emissione. La libera impresa produttiva non c’entra nulla con il liberismo finanziario, anzi sono fenomeni opposti e antagonisti..

 

"Produttori di tutto il mondo unitevi" è uno slogan che campeggiava sullo schermo dell’aula dove si svolgeva la presentazione del suo libro a Teramo ..

E’ così, è una piccola provocazione che riassume schematicamente quel che penso e che accompagnava il mio intervento. La crisi è epocale. Il liberismo finanziario uccide tutto il mondo della produzione, anche in senso letterale: alle migliaia e migliaia di piccole e medie imprese che chiudono i battenti, come da  reportage RAI di qualche mese fa di Riccardo Iacona, corrispondono i suicidi di imprenditori e la povertà di milioni di famiglie italiane. Durante il convegno-presentazione all'Università, su richiesta di uno dei relatori abbiamo tenuto un minuto di silenzio in piedi a ricordo degli imprenditori suicidatisi negli ultimi anni. Io ho aggiunto, "ricordiamo anche i disoccupati" che hanno fatto la stessa fine o che vivono comunque una situazione di miseria gravissima. Il problema è appunto questo, una sorta di patto tra Produttori contro la crisi e le logiche del capitale speculativo e bancario, quello che per dirla con Marx "rapina l'altrui ricchezza già creata".

 

Una trasversalità assoluta: viva il liberale William Mackenzie King

 

Ma come si fa a vincere una battaglia contro dei poteri così forti?

Con l’affinamento dell’analisi, con la memoria storica e con una trasversalità assoluta, sociale -  tutti i ceti produttori di ricchezza reale – etico-religiosa – Islam e Cristianesimo hanno nel loro dna le potenzialità per collaborare su questo terreno – e politica.  La trasversalità è sicuramente l’opzione fondamentale. Non ha senso richiudersi nel proprio ghetto ideologico e politico, a fronte di un problema così grave, e quando vediamo che dagli anni Novanta ad oggi ci sono stati progetti di legge targati con le più disparate sigle, AN e PRC, IdV e Pdl, Storace e Lega. Nel libro cito come esempio simbolo un ministro liberale canadese di cui ho appreso l'esistenza da un saggio di Sergio Cesaratto di due o tre anni fa. William Mackenzie King sosteneva, lui liberale, che lo Stato deve gestire l'emissione monetaria. Oggi invece la Banca d'Italia è privata. E io preferisco di gran lunga un liberale alla Mackenzie che uno di quei noiosi 'marxisti' che pretendono che la crisi scoppiata nel 2008 nelle viscere della Lehman Bank e degli imbrogli finanziari sia una crisi da sovrapproduzione. Sovrapproduzione o rarefazione della moneta?

 

E' per sostenere la trasversalità, che lei teorizza una continuità tra fascismo e repubblica per quel che attiene alla sovranità monetaria?

Non mi sognerei mai di piegare i fatti - e un fatto di questa portata - a esigenze 'politiche' sia pure emergenziali. E tuttavia, premesso che la storia dell'emissione monetaria in Italia è una grotta oscura e profonda - stiamo parlando di storia delle banche - e io mi ci sono addentrato per pochi passi, la continuità è un dato di fatto.

 

La continuità Fascismo-Repubblica: la Banca d’Banca d’Italia come l’Agip salvata da Mattei

 

E' accaduto con la Banca d'Italia quel che era successo all'AGIP, il carrozzone fascista che il liberista Bonomi voleva far chiudere a Mattei, e che Mattei salvò facendo sponda sul governo Parri. Nel mio libro non cito solo uno studioso che sostiene questa tesi - Puccini - ma anche un vecchio libro della Savelli, la casa editrice di estrema sinistra degli anni Settanta, nel quale uno studioso marxista dell'epoca spende parole sostanzialmente positive per l'opzione mussoliniana del 1936. Ed erano gli anni Settanta. La trasversalità dunque non è da giustificare con l’invenzione o la forzatura della storia, ma è giustificata dalla Storia, anche se è indigesta a quei ‘compagni’ e ‘camerati’ fermi nel culto di un passato che non esiste più.

 

Camerati e compagni? In realtà mi pare che anche un intellettuale centrista come Paolo Mieli ha criticato recentemente destra e sinistra per la perdita delle loro identità, lamentando la  confusione tra la gente.

Sì ho sentito anch’io quell’intervento a Omnibus, e l’ho trovato curioso, perché negli anni Novanta fu proprio Mieli a portare alla luce i momenti di convergenza e alleanza tra repubblichini di Salò e partigiani comunisti. Era, se ricordo bene l'epoca di Fiuggi, ma quella di oggi mi sembra lo stesso un’analisi parziale rispetto all’epoca che stiamo vivendo, la dittatura del capitale finanziario e bancario sulla sfera produttiva. Mieli ultimamente è venuto un paio di volte a Teramo, una volta per parlare della falsificazione della storia col sindaco Brucchi: peccato che io stavo a Roma, mi sarebbe piaciuto ascoltarlo. Comunque, tornando a Omnibus, oggi come oggi bisogna seguire il Mieli degli anni Novanta. Trasversalità sociale tra produttori, e politica tra destra e sinistra. La fabbrica Trombari dei primi anni Settanta su cui ironizzava Ivan Della Mea, con l'imprenditore ex partigiano pronto a sparare sugli operai in sciopero, non esiste più nemmeno come parto della fantasia artistica di quel cantautore: è morta con la crisi, come tante altre. Occorre convergenza e trasversalità. Sui contenuti, cioè il ripristino della sovranità monetaria, il debito e il cruciale nodo dell' Europa, questa Europa delle banche e delle finanze.

 

Lei non si pronuncia pro o contro l'uscita dall'euro. Perché?

Essenzialmente per due motivi: perché come politologo internazionalista mi sono reso conto che le monete transnazionali hanno un peso e una importanza riconosciuta a suo tempo, in alternativa al dollaro, da paesi come la Libia, la Siria, l'Iran. E soprattutto perché uscire dall'euro può diventare una mera operazione di depistaggio della rabbia popolare, se a questa misura, assolutamente legittima ove non ci siano alternative, non se ne accompagna un'altra, e cioè il ritorno in mani pubbliche della Banca d'Italia. La Banca centrale deve tornare allo Stato: solo in questo modo l'Italia potrà diventare veramente sovrana sulla propria moneta. In caso contrario Roma guadagnerà qualcosa giocando sui rapporti non più fissi con le altre monete europee, e sulla svalutazione per rilanciare le esportazioni. Ma la vera sovranità, quella che dovrebbe essere sancita dalla Costituzione come quarto principio e potere fondativo della Repubblica, è quella che garantisce allo Stato il monopolio dell' emissione monetaria.

 

Solo rinazionalizzando la Banca d’Italia lo Stato puo’ tornare sovrano sulla moneta?

Le vie sono in realtà tre: rinazionalizzazione della Banca d’Italia, un nuovo Istituto centrale d’emissione  monetaria, oppure biglietti di stato di corso legale stampati dalla Zecca, sotto il controllo del Ministero del Tesoro. Negli ultimi due casi la Banca d’Italia resta privata, ma diventa una grande Banca come tutte le altre, senza cioè potere di signoraggio. La terza opzione è quella più semplice tecnicamente, ma più difficile politicamente. Ma qui interviene l’altro punto di forza da recuperare per affrontare la difficile battaglia, la memoria storica.

 

La storia è dalla nostra parte: occorre recuperare la memoria della Banca  centrale a capitale pubblico e dei Biglietti di stato di De Gasperi e Moro per far capire che la battaglia è difficile ma può essere vinta

 

Nel suo libro in effetti lei pubblica documenti di epoca romana, medievale e moderna ---

Sì, quel capitolo serve a comprendere soprattutto che se fosse vero come pochi ormai sostengono che l’emissione monetaria non da’ reddito, non si capisce perché il suo controllo abbia dato origine a conflitti continui nel corso della storia. Ma qui mi riferisco alla memoria più recente: trovo incredibile che molti sostenitori della sovranità monetaria non citino mai il 1992 come una svolta storica cruciale e deleteria del nostro paese, il vero punto di rottura dopo il 1936. In quell’anno – che è anche l’anno del panfilo Britannia, Amato nazionalizzò l’industria di Stato, e dunque l’IRI e dunque le BIN, le banche di interesse nazionale azioniste della Banca d’Italia. In questo modo surrettizio è stata privatizzata la Banca centrale. Invece a destra e a sinistra si tende a non ricordare la svolta: a destra, perché per i nostalgici del fascismo l’Italia ebbe sovranità monetaria solo fino alla fine della guerra; a sinistra perché i postcomunisti di Occhetto avevano trasformato il vecchio PCI in sinistra finanziaria e sono stati corresponsabili della distruzione di tutto quanto costruito in precedenza, ivi compresa privatizzazione dell’industria di Stato.

 

Una memoria negativa. Ma questa memoria ha però anche un risvolto positivo: e cioè che chi chiede la sovranità monetaria non sta proponendo fantasticherie impossibili, perché la svolta è relativamente recente …

Giustissimo, è proprio quello che io sostengo. La sovranità monetaria ha una storia in Italia, persino nella versione radicale dell’emissione diretta da parte dello Stato: in epoca monarchica, fascista e repubblicana, la Zecca ha stampato direttamente biglietti di stato a corso legale.  Gli ultimi sono stati le 500 lire degli anni Settanta. Dunque non si sta proponendo di andare sulla luna, ma di riflettere sulle esperienze già vissute, rielaborandole e migliorandole. E anche sul debito il discorso è lo stesso: sì il debito è alla fine una truffa, perché connesso alla mancanza di potere di emissione monetaria da parte dello Stato, perché gravato da immorale anatocismo, ma allora si può recuperare il discorso che fu dei paesi in via di sviluppo degli anni Ottanta, ‘rinegoziare’ il debito. Si possono trovare alleati nel mondo cristiano e musulmano, entrambi con alle spalle una tradizione antiusuraria su cui riflettere e da aggiornare. Solo così si riesce a diventare maggioranza. E beninteso, di nuovo, io non piego la lettura storica all’emergenza di oggi, ma semplicemente  la recupero per capire meglio le radici della realtà che viviamo, e per contribuire alla sua trasformazione. E’ un approccio non solo utile, ma indispensabile: la storia è dalla nostra parte.