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Rimpiangere l'Unione Sovietica?

di Luciano Fuschini - 29/12/2013

   
   

Da venti anni l’imperialismo aggredisce senza remore, accampando pretesti cui possono dare credito solo dei servi: l’ingerenza umanitaria, l’esportazione della democrazia, il contrasto all’estremismo islamico, quello stesso che quando fa comodo, come in Libia o in Siria,  diventa prezioso alleato. Qualunque Paese si trovi in posizione strategica e disponga di materie prime appetibili, sa di essere nel mirino dei bombardieri dell’Impero.

Da venti anni vengono sistematicamente smantellate tutte le conquiste e le protezioni sociali del mondo del lavoro salariato e stipendiato, senza risparmiare nemmeno fasce consistenti di lavoratori autonomi.

Che cosa è successo venti anni fa? Perché da allora le cose sono precipitate tanto rovinosamente?



La globalizzazione, certo, sì. L’egemonia assoluta del capitale finanziario, certo, sì. Le speculazioni sfrenate, i derivati, certo, sì. Però al fondo di tutto, la grande svolta di venti anni fa è stata il crollo dell’URSS. Il suo peso politico e militare era stato il retroterra che aveva permesso il grande moto di indipendenza dei popoli sottomessi agli imperi coloniali. Quegli imperi, prevalentemente europei, si sono dissolti perché gli USA hanno praticato un neocolonialismo più intelligente, incoraggiando la formazione di governi formalmente autonomi ma in realtà al servizio degli interessi imperialistici. Inoltre l’URSS non appoggiava le guerriglie patriottiche per solidarietà ideologica (il famoso “internazionalismo proletario” era solo propaganda) ma perché era interessata a indebolire le potenze avversarie. Resta tuttavia il fatto che la copertura politica e le forniture militari dell’URSS sono state decisive per il successo del movimento anticoloniale.

La presenza dell’URSS ha avuto un ruolo decisivo anche nel miglioramento sostanziale delle condizioni di vita e di lavoro dei popoli occidentali. C’erano state conquiste sindacali, sì, c’era una politica economica keynesiana, sì, ma le une erano precarie, l’altra era resa possibile da contingenze che non potevano durare: la ricostruzione dopo una guerra devastante, la grande disponibilità di investimenti in sistemi dove il debito pubblico era ancora basso, il costo contenuto delle materie prime, l’assenza di una coscienza ambientalista. Nessuna di quelle condizioni è riproducibile, per cui chi ripropone rimedi keynesiani è fuori dal mondo.

L’altro fattore potentissimo di emancipazione dei proletari occidentali in quegli anni di “paradiso perduto”, fu proprio la presenza minacciosa di un’URSS che sarebbe diventata troppo attraente per i salariati dell’Occidente  se il sistema non avesse saputo dimostrare di poter assicurare un welfare più efficiente di quello sovietico, salari più alti e in clima di libertà personale, soprattutto quella libertà di movimento che è l’unica ad attrarre le masse.

L’URSS è stata sconfitta dalla socialdemocrazia, anche se è crollata negli anni del neoliberismo reaganiano.

Dunque l’URSS ha avuto il doppio merito storico di aver favorito il moto di liberazione dal colonialismo e di aver indotto il sistema capitalista a fare concessioni ai lavoratori che sembravano impensabili. La prova risiede proprio nel comportamento del capitale subito dopo l’implosione dell’URSS.

L’impressione è quella di una belva liberata dalla catena, non più frenata dal guardiano. Un delirio di onnipotenza nella conquista del mondo e un attacco sistematico alle condizioni di vita dei lavoratori, tanto che perfino le socialdemocrazie sono bandite. Sembra proprio che non si aspettasse altro che la fine dell’URSS per scatenare gli spiriti animali.

Allora dobbiamo rimpiangere le  gerontocrazie del Cremlino, impataccate nelle loro medaglie sui mausolei delle mummie della loro religione atea? Non ne è proprio il caso. Quella fu un’ideologia folle, l’ideologia dell’uomo nuovo forgiato dal collettivismo dei Piani Quinquennali, l’ideologia che fucilava e imprigionava i dissidenti “condannati dal tribunale della storia”, come se la storia non fosse il teatro tragico di contraddizioni insolubili ma una linea diretta che porta irresistibilmente verso i “domani che cantano”. Quella fu una prassi di autoritarismo burocratico e di apparati polizieschi fra i più invasivi che il mondo ricordi.   

Inoltre, è vero che la presenza dell’URSS condizionò positivamente l’Occidente frenando la sua sete di dominio, ma è pure vero che col loro economicismo, col loro materialismo, con la loro demolizione delle tradizioni religiose e degli antichi costumi, sia il comunismo sovietico sia quello cinese in ultima analisi non hanno fatto altro che spianare la strada al capitale globalizzato, abbattendo quei residui del passato che ancora potevano offrire una resistenza.

Ma ancora: l’esempio orrendo che viene dal modello del comunismo storicamente realizzato, rende poco allettante l’alternativa del socialismo come via d’uscita alla crisi del capitale.

Anche in questo caso verifichiamo che i sentieri della storia sono sempre contorti, mai lineari: l’URSS svolse un ruolo obiettivamente positivo nel limitare l’imperialismo e nel riscatto del proletariato, ma in ultima analisi ha spianato la strada al totalitarismo del capitale, screditando il socialismo e spazzando via con la forza gli elementi tradizionalisti di una civiltà antica.