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Siria, nuova offensiva contro Assad

di Michele Paris - 14/01/2014


    

Nelle giornate di domenica e lunedì è andato in scena a Parigi un vertice preliminare per preparare il summit di Ginevra del prossimo 22 gennaio che dovrebbe aprire la strada ad una soluzione negoziata del conflitto in corso da quasi tre anni in Siria. Contestualmente, una riunione dei cosiddetti “amici della Siria” ha invitato i leader dell’opposizione “moderata” a sciogliere le riserve sulla partecipazione ai colloqui di pace, anche se l’inconsistenza di quest’ultima di fronte ai gruppi fondamentalisti e il totale disaccordo tra le parti sulla sorte del presidente Assad continuano a gettare una lunghissima ombra sull’esito di un difficile negoziato per il futuro del paese mediorientale.

La due giorni parigina ha soprattutto segnato l’avvio di una rinnovata offensiva per il cambio di regime a Damasco dopo che, nei mesi seguiti all’abortito tentativo di aggressione militare statunitense con il pretesto dell’uso di armi chimiche da parte del regime, in Occidente erano sembrati prevalere i timori per la crescente influenza delle formazioni integraliste sunnite tra le fila dell’opposizione armata.

Gli undici paesi “amici della Siria” hanno così emesso un comunicato ufficiale nel quale si afferma che “Assad e i membri del suo entourage con le mani insanguinate non avranno alcun ruolo” nel futuro del paese. L’opposizione, perciò, è stata sollecitata a “formare al più presto una delegazione… per partecipare al processo politico” che dovrebbe aprirsi la prossima settimana in Svizzera.

Un qualche ottimismo sulla partecipazione dell’opposizione siriana l’ha espresso il segretario di Stato americano, John Kerry, il quale dopo un faccia a faccia con il numero uno della Coalizione Nazionale appoggiata dall’Occidente, Ahmad Jarba, si è detto “fiducioso” circa la presenza di una qualche delegazione a Ginevra. Lo stesso ex senatore democratico ha poi riconosciuto che il regime di Assad aveva invece assicurato la propria presenza al tavolo dei negoziati “fin dall’inizio”.

Jarba, da parte sua, nonostante l’organizzazione di cui è alla guida abbia ben poca influenza sulle forze che si battono contro Assad, si è mostrato ottimista in vista del vertice battezzato “Ginevra II”, principalmente per la rinnovata attenzione posta dagli USA e dai loro alleati sulla possibile uscita di scena del presidente siriano.

Le dichiarazioni di Jarba hanno riflettuto quelle di Kerry, del ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, e di altri diplomatici presenti a Parigi, i quali sono appunto tornati a denunciare le violenze del regime ai danni della popolazione. Fabius, inoltre, ha attribuito ad Assad la responsabilità di alimentare il terrorismo in Siria, quando il proliferare di gruppi integralisti spesso legati ad al-Qaeda è esattamente il risultato del comportamento dei governi occidentali e dei loro partner in Medio Oriente.

Questi ultimi hanno infatti soffiato sul fuoco del settarismo in Siria per piegare il regime, sostenendo finanziariamente e militarmente formazioni islamiste relativamente efficaci sul campo di battaglia - a differenza delle brigate affiliate all’opposizione “secolare” o “moderata” - ma profondamente impopolari tra la popolazione locale.

Il timore che la situazione in Siria potesse sfuggire di mano e che i fondamentalisti sunniti finissero per minacciare i loro stessi sponsor aveva influito sulla già ricordata marcia indietro dell’amministrazione Obama lo scorso settembre, quando tutto sembrava dover portare ad un’aggressione contro Damasco.

Nelle settimane successive, così, in molti avevano avvertito che la permanenza di Assad al potere era da considerare come un male minore di fronte al prevalere di organizzazioni come il Fronte al-Nusra o lo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria. Qualche voce isolata anche a Washington - come ad esempio quella dell’ex ambasciatore USA a Baghdad e a Kabul, Ryan Crocker - aveva addirittura prospettato la necessità di tornare a parlare con il regime, sia pure in maniera “sommessa”, verosimilmente per progettare un’azione comune contro l’estremismo islamico in Siria.

Le vicende interne al paese mediorientale negli ultimi tempi hanno però rilanciato la battaglia diplomatica in Occidente contro Assad, accompagnata sul campo dal recente annuncio americano di volere riprendere le forniture di aiuti “non letali” all’opposizione considerata affidabile.

Questo genere di aiuti era stato sospeso da USA e Gran Bretagna a inizio dicembre in seguito alla conquista da parte del Fronte Islamico di un deposito contenente materiale fornito all’opposizione secolare siriana. Il Fronte Islamico Siriano è uno dei vari gruppi che si battono per rovesciare il regime di Assad e raccoglie alcune formazioni islamiste che avevano rotto con l’opposizione armata filo-occidentale pur continuando ad opporsi anche allo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria e al Fonte al-Nusra, entrambi affiliati ad al-Qaeda.

Il Fronte Islamico è però tornato recentemente a collaborare sia con il Libero Esercito della Siria che con il Fronte al-Nusra per combattere lo Stato Islamico nel nord del paese, dando vita ad una durissima lotta intestina tra le forze di opposizione che ha fatto centinaia di morti. Questo riallineamento nella galassia delle formazioni che si oppongono al regime ha fornito l’occasione agli Stati Uniti non solo di riprendere gli aiuti materiali destinati ai “ribelli” ma anche e soprattutto di tornare a puntare senza riserve sul cambio di regime a Damasco, presentando i propri sforzi in questo senso come una lotta necessaria per limitare lo strapotere di al-Qaeda in Siria.

Come frequentemente sono costretti ad ammettere anche i media ufficiali in Occidente, tuttavia, i beneficiari di questa rinnovata iniziativa sono anche forze ultra-reazionarie come il Fronte Islamico, con cui gli Stati Uniti da tempo stanno cercando di dialogare, e il Fronte al-Nursa, già designato come organizzazione terroristica dal Dipartimento di Stato USA, i quali, pur giudicando controproducenti in questo frangente gli eccessi dello Stato Islamico, si battono anch’essi per la formazione di un emirato basato sulla legge islamica in Siria.

Come ha sottolineato nel fine settimana la corrispondente del New York Times da Beirut, Anne Barnard, la battaglia scatenata ad Aleppo, Raqqa e altrove contro lo Stato Islamico sarebbe stata incoraggiata dagli stessi leader dell’opposizione in esilio per cercare di rimediare alla perdita della loro influenza sia nel paese che di fronte ai sostenitori esteri. La coalizione moderata si augura, cioè, che “la guerra [contro i fondamentalisti dello Stato Islamico] convinca l’Occidente che i ribelli, e non Assad, offrano le migliori garanzie di impedire ad al-Qaeda di creare una base in Siria”.

La minaccia alla sicurezza dell’intera regione, ha aggiunto la giornalista del quotidiano newyorchese, aveva infatti spinto “alcune potenze straniere, per non parlare di molti siriani, ad ipotizzare la ricerca di un compromesso con il regime”.

L’affiancamento di gruppi come il Fronte Islamico al Libero Esercito della Siria contro lo Stato Islamico ha dunque fornito ai sostenitori irriducibili della rimozione di Assad a Washington e altrove più di un argomento per affermare che non tutte le formazioni di ispirazione islamista attive contro il regime rappresentano una minaccia terroristica a causa dei loro legami con al-Qaeda.

Ciò è però quanto meno un’illusione, dal momento che il Fronte Islamico o il Fronte al-Nusra - responsabile nel recente passato di attentati suicidi contro civili, esecuzioni e persecuzioni ai danni delle minoranze religiose siriane - sembrano avere unito le proprie forze a quelle dell’opposizione filo-occidentale solo temporaneamente e per ragioni di opportunismo, condividendo entrambi in maniera sostanziale l’agenda fondamentalista dello Stato Islamico.

Da Parigi, intanto, gli Stati Uniti e la Russia hanno fatto sapere di avere discusso possibili “cessate il fuoco localizzati” in Siria per favorire l’avvio dei negoziati di Ginevra. Inoltre, il ministro degli Esteri di Mosca, Sergei Lavrov, ha annunciato che il regime di Assad starebbe valutando la possibilità di concedere l’apertura di corridoi umanitari nelle aree sotto assedio controllate dai ribelli.

Una delle questioni più controverse rimane infine la partecipazione dell’Iran ai colloqui di pace. Gli USA, per bocca di Kerry, qualche giorno fa avevano ipotizzato un ruolo di Teheran soltanto “a margine” del vertice di Ginevra, un’idea però respinta come offensiva dal governo della Repubblica Islamica.

Nel fine settimana, il segretario di Stato USA è tornato ad escludere la partecipazione del principale alleato di Assad, almeno fino a quando non accetterà l’obiettivo del vertice stabilito dagli Stati Uniti, vale a dire preparare un governo di transizione in Siria senza l’attuale presidente. Quest’ultimo obiettivo non è però condiviso nemmeno dalla Russia, il cui rappresentante a Parigi ha puntato il dito contro gli americani per la loro inflessibilità, bollando come “ideologica” l’opposizione di Washington alla presenza iraniana al tavolo delle trattative.