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Capire Mazzini, ripartire da Mazzini

di Niccolo' Maria De Vincenti - 14/01/2014

Fonte: lintellettualedissidente


Ebbi a lottare con il più grande dei condottieri, Napoleone, a me è riuscito di mettere d’accordo imperatori, re, uno zar, un sultano e un papa; ma nessuno sulla faccia della Terra mi ha procurato maggiori difficoltà di un manigoldo italiano; emaciato, pallido, straccione ma facondo come un uragano, rovente come un apostolo, furbo come un ladro, sfacciato come un commediante e infaticabile come un innamorato, il suo nome è Giuseppe Mazzini.

Se dovesse valere quella massima secondo cui un uomo si può giudicare dallo spessore dei suoi nemici risulterà agevole comprendere l’altezza di Mazzini, se pensiamo che le parole testè riportate sono a firma del cancelliere austriaco Klemens von Metternich, il Richelieu post litteram, spregiudicato ed arrogante statista asburgico, il più fervente oppositore dell’Unità d’Italia, devoto alla ragion di Stato austriaca al punto di ritenere la nostra penisola una “mera espressione geografica“, un lembo di terra divide et impera.

Giuseppe Mazzini è forse il più grande personaggio del Risorgimento, di certo il più indebitamente dimenticato e bistrattato, talora deviato e misinterpretato. Nella potenza della sua vicenda personale si delinea il profilo del più acuto pensatore del movimento di liberazione nazionale; coraggioso, grande negli ideali e di infaticabile tenacia, grazie alla sua parola si è fatta l’Italia, l’Illuminismo francese – e non inglese – è entrato nello spirito del tempo Romantico, la Ragione e la Verità si sono fuse nella religione dell’amor patrio in una biografia avventurosa e audace, costellata da continui fallimenti e delusioni cui hanno fatto seguito straordinarie azioni e reazioni in un unico disegno teleologicamente orientato all’indipendenza, alla sovranità e all’unità.

Mazzini nasce nella Genova repubblicana e napoleonica nel 1805 da padre medico e professore e madre casalinga giansenista, dal primo apprese la virtù del sacrificio, in un’ottica borghese, dalla seconda, a cui fu devoto per tutta la vita, i principi illuministici di eguaglianza tra tutti gli uomini. Il padre lo voleva medico, così nel 1823 il giovane Giuseppe si iscrive alla facoltà di Medicina dell’Università di Genova ma desiste dopo esser svenuto al primo laboratorio di necroscopia, prosegue dunque gli studi in Legge che completa nel1827. Gli anni dell’università sono fondamentali per il futuro padre fondatore: divora la letteratura romantica- ama lo Jacopo Ortis di Foscolo, legge instancabilmente gli inglesi Wordsworth, Coleridge, Byron, Keats come Schiller, Alfieri, Dumas padre e il sommo Dante, cui dedica il suo primo saggio letterario- e comincia a delineare il suo pensiero patriota assistendo al fallimento dei Federati Piemontesi (“capii che si poteva, quindi si doveva, lottare per la libertà della Patria“) ma soprattutto scopre di essere un leader, una guida per i numerosi giovani che lo seguono nell’attività politica come dei proseliti.

Così in quegli anni  affermava

Quello italiano non è un problema di maggiore o minore sicurezza personale, di minore o maggiore progresso dell’amministrazione in questo o in quell’angolo del nostro Paese; è un problema di nazionalità, un problema di indipendenza, di libertà, di unità che riguarda l’Italia intera; il problema di un vincolo comune, di una bandiera comune, di una vita e di una legge comuni per 25 milioni di persone appartenenti tra l’Alpi e il mare alla medesima stirpe e uniti da tradizioni e aspirazioni comuni.

 In questo contesto Mazzini matura la complessità del suo pensiero, come già detto punto di incontro tra due correnti filosofiche apparentemente confliggenti, comprende che l’Italia non ha futuro se non una ed indivisibile, ovvero contempera l’estasi identitaria e nazionalista tipica del Romanticismo con l’opinione liberale e progressista che dalla Rivoluzione francese si era compiuta nel fenomeno napoleonico.

Il Congresso di Vienna ha intavolato l’Europa, l’Impero austroungarico controlla la penisola, divisa in sette stati: il Regno Lombardo Veneto, il Granducato di Toscana, quello di Modena e quello di Parma sono i quattro Stati controllati direttamente dall’Impero, nel centro il potere temporale di Romana Chiesa e al sud i Borboni controllano tutti i territori, Sicilia compresa; unico organismo dotato di una certa autonomia è il Regno di Sardegna dei Savoia, in realtà alleato della Francia. 

Nel 1830 Mazzini viene iniziato alla Carboneria plasmando per sempre la sua attitudine, diventerà inevitabilmente cospiratore, agirà nel segreto e condurrà nel buio delle sue stanze una grande rete di patrioti con la sola forza della lettera, nel fittissimo carteggio epistolare si intrattiene con tanti italiani all’estero, tra New York e il Sudamerica, dove scopre Garibaldi.

Proprio in occasione di un rituale di iniziazione di un neofita carbonaro Mazzini, già da tempo sotto controllo dei servizi segreti sabaudi per l’attività propagandistica, viene arrestato e condotto alla Fortezza di Savona. Due mesi dopo la sentenza del tribunale recita l’assoluzione per mancanze di prove ma le autorità regie lo costringono ad una ulteriore misura punitiva: il confino o l’esilio. Scappa per la Svizzera e giunge in Francia, rifugiandosi a Marsiglia. La scelta non è casuale, Mazzini crede fortemente che gli ideali rivoluzionari si possano propagare solo da Oltralpe. Durante l’esilio, nel 1831, decide di rendere organico il suo pensiero politico fondando l’associazione Giovine Italia, sarà un atto di inestimabile valore per il risveglio del sentimento nazionale. L’aggregazione muove i propri passi come l’antesignano di un partito politico; lo statuto è pubblico, i punti programmatici sono condivisi da tutti gli associati, il messaggio culturale, grazie alla diffusione di un periodico di stampa, riesce a giungere anche in quegli ambienti non propensi alla cospirazione o alle società segrete, sensibilizzando larga parte del Nord Italia. In pochi mesi sono circa sessantamila gli iscritti, l’enorme successo  concorre a fomentare quel mito di Mazzini-profeta e apostolo di idee sovversive e pseudoterroristiche. Nell’organizzazione si comunica con cifrari crittografi, le polizie di mezza Italia compiono raffiche di arresti, malgrado negli intenti di Mazzini, che intanto si confronta con Buonarroti, c’è quello di perdere il più possibile il carattere di segretezza, conferendo all’associazione la funzione educatrice prima che insurrezionalista, espandendo la portata del fenomeno alle masse più che ai pochi settari aderenti. Si tenta comunque un’azione di forza a Genova che viene sventata dalla polizia piemontese ancor prima di esser messa in atto. Tra i tanti fermati vi è un caro amico di Mazzini, Jacopo Ruffini, di soli 28 anni. Questi, rinchiuso nelle celle del Palazzo Ducale di Genova, viene interrogato e torturato per oltre un mese, con l’intento di estorcergli i nomi dei compagni e poco dopo si suicida svenandosi. D’ora in avanti Mazzini verrà perseguitato di mandar l’altri a morire , di essere un acuto tessitore di trame cospiratrici, di agire nell’ombra, mandando avanti i suoi compagni, non intervenendo mai in prima persona. La morte dell’amico lo distrugge “A te fratello mio, dedico venerando queste poche righe, scritte col nome tuo sulle labbra. Io non trovo qui sulla terra tra coloro che hanno concetto di fede e costanza di sagrificio, creatura che ti somigli. M’ami tu sempre come, vivendo della vita terrena, m’amavi? Io non mi sento ora, dopo che sei divenuto angelo, degno di te.

A Marsiglia trova anche l’amore della sua vita, Giuditta Bellerio Sidoli, nobildonna vedova del ricco patriota ferrarese Giovanni Sidoli,  anch’egli carbonaro, con cui aveva condiviso gli ideali repubblicani e patriottici. Come nel resto della sua tormentata esistenza anche la relazione con Giuditta non sarà priva di frustrazioni. La donna, considerata pericolosissima dalle polizie di tutta Europa, svolge il ruolo di intermediaria tra carbonari, rivoluzionari ed esuli in Francia da tutto il Continente, proseguirà l’amore con Mazzini solo per comunicazione via lettera. La madre lo invita a sposarla ma lui si rifiuta categoricamente, si sente smarrito e sfiancato, è ricercato e braccato da tutte le polizie. Dopo il fallimento di Genova, nel ’33, Mazzini dirige un altro tentativo di insurrezione organizzando un piano per invadere la Savoia. Lo stesso verrà stroncato come il precedente e Mazzini verrà condannato a morte dalle autorità sabaude, con sentenza pronunciata davanti l’abitazione paterna. La Giovine Italia è al collasso quindi Mazzini scappa in Svizzera, a Grechen nel canton Soletta. Nel territorio elvetico provoca ancora di più i governi europei, stringe intensi rapporti con patrioti di altre nazioni in lotta per l’indipendenza, fonda prima la Giovine Germania, quindi la Giovine Polonia e poi la Giovane Europa. Mazzini è l’uomo più temuto e ricercato d’Europa. Sotto la pressione dei Savoia e degli Asburgo nel 1836 la Svizzera decreta l’espulsione di Mazzini.

Depresso e distrutto da questo ulteriore fallimento si rifugia tra l’Alpi svizzere, quindi in Germania e poi a Calais. I primi di gennaio del ’37 attraversa la Manica dopo in tredici ore di mare grosso giunge nei docks di Londra “Imboccato il fiume come mai a godere dell’aria libera e fresca e del cielo, di tutto quello ch’io amo, l’ingresso nel Tamigi e il suo percorre sino a Londra, impagabili, non ho mai veduto la vita in moto e l’attività commerciale in tanto sviluppo, è uno spettacolo indescrivibile“. C’è una particolarità emblematica del suo arrivo nella capitale inglese: Mazzini veste interamente di nero, dal cappello alle scarpe, in segno di lutto per il suo Paese vilipeso e incatenato dagli austriaci, giurando di continuare sino alla Liberazione. Gli inizi della vita inglese sono terrificanti, vissuti nella miseria del migrante, tra banchi di pegno e prestiti usurari. A George st. va a vivere con i fratelli Ruffini, superstiti al compianto amico, e continua strenuamente la sua attività politica, gestendola come detto mediante comunicazione epistolare. Presto la necessità di una retribuzione fissa lo induce, dopo aver velocemente appreso l’inglese, a lavorare presso un quotidiano letterario come recensore. In questo contesto si addentra nei salotti culturali, conosce Dickens- di cui diviene stretto amico- i movimenti radicali della sinistra britannica, le prime femministe, ma soprattuto i Chartist, movimento democratico di grande rilievo nella Londra pre-vittoriana, con lo storico Thomas Carlyle. L’incontro con l’intellighenzia giacobina non gli impedisce di intrattenere rapporti con le sfere più alte dei Whigs inglesi, come con finanzieri e grandi uomini d’affari interessati all’unificazione di Italia per scardinare l’asse post restaurazione Parigi- Vienna. Nel 1841 Mazzini ha però un’illuminazione: decide di aprire una scuola per i figli degli operai italiani emigrati e in questa nuova avventura apprende il valore fondamentale della lingua e più in generale dell’istruzione:

Giovani, nei vostri occhi splende un lampo di quella vita italiana che fu e che sarà, ma che oggi giace soffocata, segreta. Voi fratelli, direte quando tornate in Italia, alle vostre madri, ai vostri parenti e agli amici, che avete trovato fuori d’Italia tra gl’italiani quello che non avete potuto trovare in Italia. Un insegnamento fondato sull’amore, sulla riverenza alla Patria, sulla adorazione della Verità.

Il genovese capisce che la Rivoluzione non può esser fatta nel segreto delle elites culturali ma dal basso del popolo, della gente comune cui va insegnato il valore della Unità. Dall’esperienza di educatore entra in contatto con le classi operaie degli italiani emigrati e ne comprende il profondo disagio esistenziale. Inizia dunque a germogliare in lui una nuova forma di critica politica, avanguardista per l’epoca, circa la necessità di un compromesso tra il capitalismo e il socialismo, forma politico- economica che lo perplime; si narra di incontri con lo stesso Marx nell’esilio londinese. Mazzini considera imprescindibile il concetto di proprietà privata, ma soprattutto vedeva nell’Internazionalismo la morte dello Stato- nazione. Lo stesso considerava la Questione sociale, che gli veniva continuamente portata all’attenzione da Pisacane, una istanza di secondo rilievo al cospetto dell’agognata unità nazionale. Credeva in una sorta di terza via economica, nell’incontro responsabile tra l’impresa e il lavoratore in un processo mutualistico interclassista che permettesse al popolo italiano di creare una piattaforma orizzontale di lotta all’occupante, destinando alle questioni di conflitto sociale un secondo momento di riflessione da approfondire ad unità raggiunta.

Tra il ’41 e il ’44 la fama di Mazzini a Londra cresce esponenzialmente, aiutato da innumerevoli amici vicini alla causa italiana che lo finanziano e lo sostentano. L’attivismo politico è noto al Piemonte che non manca di esercitare grandi pressioni al governo inglese e allo stesso pensatore, più volte colpito da atti di violenza e di minaccia, una volta persino obiettivo di un attentato. Proprio nel ’44 è al centro di un affaire internazionale: con il solo calamaio è riuscito a gestire centinaia di attivisti in tutto il mondo; Mazzini si firma con lo pseudonimo Ippo, è scaltro e non corre rischi, indirizzando la corrispondenza a destinatari incensurati ed insospettabili. Nel maggio dello stesso anno riceve lettere dai fratelli Bandiera, nobili veneti, carbonari infiltrati nella marina militare austriaca. Costoro desideravano comunicare a Mazzini l’intenzione di intraprendere una missione insurrezionale nel Mezzogiorno, più precisamente in Calabria, dopo aver appreso di ribellione della popolazione locale, presso Cosenza, nei confronti della Corona. Mazzini scopre però, accorgendosi di anomalie nei sigilli di cera, che la sua corrispondenza è violata. Capisce dunque che l’operazione dei Bandiera è giunta alla conoscenza della polizia borbonica e tenta invano di bloccarla. I patrioti salpano da Corfù convinti di arrivare sulla costa ionica calabrese in piena rivolta ma al loro arrivo trovano l’esercito del Regno delle Due Sicilie e dopo un sommario processo vengono condannati a morte per fucilazione. In Inghilterra scoppia uno scandalo politico, si susseguono interrogazioni parlamentari, la notorietà nei circoli intellettuali è al suo apice. Tra alti e bassi, delusioni e soddisfazioni, la vita inglese di questi anni è marcata da un soddisfacente ottimismo. Nel 1847 Mazzini trova il coraggio di scrivere al pontefice Pio IX:

Beatissimo Padre, adoro Dio e una Idea che mi pare di Dio e l”Italia una, angelo di unità morale e di civiltà progressiva per le nazioni d’Europa. Non v’è uomo, non dirò in Italia, ma in Europa, che sia più potente di Voi, che avete immensi doveri. Per opera del Tempo e affrettate dai Vostri predecessori e dall’alta gerarchia della Chiesa, le credenze sono morte. Il cattolicesimo si è perduto nel dispotismo, il protestantesimo si perde nell’anarchia. GuardateVi intorno; troverete superstiziosi e ipocriti; non credenti. Vi chiamo, dopo tanti secoli di dubbio e corruttela, ad essere apostolo dell’eterno Vero. Siate credente. Aborrite dall’essere re, politico, uomo di Stato. Unificate l’Italia, la Patria Vostra.

Mazzini vive un complesso rapporto con la Religione. Egli non è mai stato irreligioso in quanto influenzato dallo giansenismo materno, coltiva però negli anni una peculiare forma di deismo, tipico del secolo dei lumi, in cui mescola numerose culture orientali. Affronta, nei suoi scritti e nella sua attività, il Papato in una forma solenne di dialettica politica: crede nella forza della laicità statale, è contrario all’ateismo materiale, ma preferisce l’immanenza del diritto alla trascendenza. La sua è stata da molti interpretata come una Religione civile votata all’Umanitarismo universale, nella concezione di Morale e Verità al di sopra di qualsiasi altra forma teistica. Nel perenne conflitto illuministico- romantico la Fede, più negli uomini e nella ragione che in una religione rivelata, avrà un ruolo predominante nel formarsi del suo pensiero laicista e repubblicano. Non a caso il suo motto più celebre è Dio e Popolo.

Mazzini ritorna in Italia nell’anno in cui l’Europa è in fiamme, il 1848 la rivoluzione borghese destabilizza quel che rimane dell’ancien regime post Restaurazione. La folla lo applaude come un profeta, gli viene finalmente riconosciuta la ventennale attività di propaganda e diffusione del pensiero patriottico. A Milano sfilano in migliaia sotto il suo albergo, Mazzini è per la prima volta protagonista in attivo del Risorgimento. A Roma intanto si consuma un assassinio politico che avrà enormi ripercussioni: viene ucciso Pellegrino Rossi, primo ministro dello Stato pontificio; la rivolta si espande all’istante, migliaia di uomini puntano cannoni sul Quirinale; Pio IX, il papa liberale, che dapprima aveva lasciato intendere aperture alle istanze borghesi, si rifugia a Gaeta. Il vuoto politico è presto colmato da una congregazione di patrioti giunti a Roma che per il 21 gennaio del ’49 costituisce un’Assemblea e indice elezioni. Lo stesso papa minaccia di scomunicare i partecipanti, che saranno più di duecentomila. Il 9 febbraio nasce la Repubblica Romana. Il 21 febbraio viene promulgato il primo decreto che recita: i beni ecclesiastici sono della Repubblica. Il 5 marzo Mazzini, dopo esservi stato eletto alle elezioni suppletive, giunge a Roma per quello che è il suo unico trionfo personale: assieme ad Aurelio Saffi Carlo Armellini forma il Triumvirato. La Repubblica Romana è l’embrione, il prototipo del modello mazziniano di Repubblica: pluralismo democratico, licenza di culto, abolizione della censura, decadenza dei titoli nobiliari di matrice ecclesiastica, libero esercizio della potestà papale nei limiti dei poteri dello Stato. Un diritto pubblico che non vedrà mai la luce nel periodo unitario. La Costituzione romana è la più liberale del mondo in questo momento storico. La Francia però interviene contro la neonata repubblica in difesa del soglio vaticano. Ad aprile quindicimila uomini guidati da Luigi Napoleone partono da Tolone e il 28 dello stesso mese sono già a Roma. A Porta Portese il battaglione di difesa guidato da Garibaldi induce i francesi alla ritirata. Il condottiero vorrebbe inseguirli e sconfiggerli definitivamente ma Mazzini glielo impedisce, apre un negoziato di armistizio con i francesi che viene beffardamente disatteso. Il 3 giugno le truppe tentano di sfondare dal Gianicolo: la resistenza della città di Roma e dei suoi martiri è commovente, ne muoiono mille e più in quel teatro d’eroismo che fu il colle gianicolo. Tra questi Luciano Manara Goffredo Mameli. “Romani, questa è una giornata d’eroi. Una pagina storica, diciamo con piena fiducia che Roma è inviolabile! Custoditene le mura, viva la Repubblica!”. Il primo luglio la Assemblea Romana, fatta eccezione per i triumviri, cedono ai francesi ed offrono la resa sancendo la fine dell’esperienza repubblicana.

Mazzini, ancora una volta amareggiato per la persistenza della sconfitta, è irriducibile e pochi anni dopo fonda il Partito d’Azione. A Londra intanto, dove è tornato in esilio, rinsalda numerose amicizie nei salotti radicali che gli permettono di sostentarsi. Nel decennio che precede l’Unità il baricentro della liberazione si trasferisce alla diplomazia piemontese guidata da Camillo Benso conte di Cavour. Sarà proprio questi ad essere l’ultimo vero avversario di Mazzini verso il finire dell’esperienza risorgimentale. Nel ’57 nella battaglia di Sapri muoiono decine di mazziniani e poco dopo il massacro decide di suicidarsi un altro suo fedelissmo Carlo Pisacane. Cavour in Parlamento da Torino sferra un’invettiva violentissima che condanna il fanatismo di Mazzini e il suo persistere profetizzare azioni di guerriglia, inviando giovani al destino di morte. Dopo due giorni così gli risponde Mazzini: 

Signore, avete calunniato deliberatamente un intiero partito che vanta tra i suoi, da Jacopo Ruffini a Carlo Pisacane, centinaia di martiri, davanti alla memoria dei quali Voi dovreste prostrarvi. Era vostra missione promuovere l’educazione morale di un popolo che si affaccia ingenuo ed incauto alla vita nuova. E Voi gli avete dato la scienza dei popoli incadaveriti. Non v’illudete Signore; l’Italia, checchè avvenga, non può farsi Piemonte. Il centro dell’organismo nazionale non può trasferirsi alla sua estremità. Il core d’Italia è in Roma, non in Torino. Un monarca piemontese non conquisterà Napoli, mai. Tra Noi e Voi, Signore, corre un abisso. Noi siamo l’Italia, Voi rappresentate la vecchia, cupida e paurosa aspirazione di Casa Savoia. Tra Noi e Voi l’Italia giudicherà.

La parabola è in fase discendente: Mazzini è distante fisicamente e moralmente da tutti gli accadimenti che portano al raggiungimento dell’Unità, dall’epopea dei Mille, in cui intravede un’azione di forza in chiave antisavoia, alla stessa proclamazione del Regno d’Italia. Trascorre l’ultimo decennio di vita nella disgrazia dell’esilio, degli arresti e nell’umiliazione, per lui che ha votato la vita all’Italia, di peregrinare per l’Europa continuamente inseguito da gendarmi e brigadieri, sotto mentito nome e falsi passaporti. Muore da esule a Pisa il 10 marzo del 1872 nella casa dei Nathan- Rosselli, antenati dei fratelli partigiani, con il nome di George Brown.  A Genova si svolgono funerali imponenti, la prefettura dichiara che i partecipanti sono centomila su una popolazione totale di centoquaranta. Proprio durante la cerimonia funebre avviene un fatto di considerevole importanza considerata l’eredità storiografica che di Mazzini abbiamo oggi. La Massoneria italiana, per motivi tutt’altro che certi, si appropria della salma, quindi del feticcio stesso della figura di Mazzini, e decide di imbalsamarla con una pratica alchemica chiamata pietrificazione. La stessa salma verrà riesumata nel 1946 all’indomani della proclamazione della Repubblica in omaggio al primo repubblicano italiano. Questo evento, ai limiti dell’orrifico e del macabro, può spiegare come nella storiografia accademica di base si tende a disegnare Mazzini come un massone, un cospiratore tenebroso, implacabile orditore di congiure e azioni eversive. Nella realtà la vicenda mazziniana fu molto più nobile e di gran lunga più complessa di come l’ufficiale storia risorgimentale ci ha lasciato credere. Nella Carboneria aveva intravisto il solo mezzo possibile di azione nel groviglio di trappole tese dalle polizie e dai governi, mai aveva creduto alla possibilità di progettare la liberazione per mezzo di settari e terroristi. Il ravvedimento difatti arrivò presto e se non fosse stato per la sua travagliata vita avrebbe prediletto l’agire politico come fece a Roma durante la repubblica. Non fu mai nè uomo di palazzo (come Cavour) o uomo d’impeto come Garibaldi ma seppe indirizzare l’opinione di milioni di persone verso gli ideali nazionali come nessun altro. Il suo personaggio è il più incredibile del Risorgimento, indissolubilmente legato al destino unitario. Revisionare e rileggere la parola di Mazzini oggi investe due significati: il primo, di facile comprensione, è il valore primo del sentimento nazionale nella sterilità e vacuità di questo immondo mondialismo, il secondo, al contrario, è l’universalità del suo messaggio di libertà dei popoli e delle nazioni, soprattutto quelle oppresse, con il fine di fratellanza e cooperazione tra gli Stati verso un avvenire di libertà e morale.*

* Si consiglia di approfondire gli scritti svizzeri sulla concezione di Stati Uniti d’Europa.

Fonti: testi Ago- Vidotto; Verdecchia, Monsagrati, Sabatucci, Balzani, Conti, Riall e Mack Smith. Citazioni da La Storia siamo noi (un sentito ringraziamento alla RAI per aver cancellato l’unico esempio di grande giornalismo televisivo sopravvissuto).