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Meglio una gamba rotta...

di Lorenzo Parolin - 16/01/2014


 

 


 

A chi appartengono le miniere d’oro, di ferro, di carbone, i giacimenti di gas, di petrolio e tutte le ricchezze naturali? Sono di chi vi abita sopra? O sono di tutti!

È lecito che una minoranza di ingordi dissipi in pochi decenni ciò che la natura ha impiegato milioni di anni a produrre? E di chi sono i terreni fertili e pianeggianti? Sono di chi li occupa? O sono di tutti!

Quando un uomo nasce povero, ha egli diritto ad avere un pezzetto di terra buona, al pari di ogni altro? O è lecito che alcuni possiedano intere regioni ed altri non abbiano dove posare il capo?

È giusto che, quando un ricco muore, le sue proprietà vadano in eredità ai suoi figli, perpetuando l’accumulo delle ricchezze, quando altri muoiono di fame?

È lecito che un povero generi tanti figli? O può un qualche governo controllare il numero dei nati imponendo gli aborti e le sterilizzazioni?

Hanno diritto, i poveri, ad entrare liberamente nei paesi ricchi? O possono essere respinti o peggio sfruttati?

Ed è lecito all’uomo fare leggi, imporle agli altri e vendicarsi contro chi le trasgredisce, fino ad incarcerarli e a punirli a morte?

E quando il “male” ci assale, è lecito ricorrere alla “legittima difesa”, uccidendo, o è meglio sopportare virilmente ciò che non si riesce ad evitare e a smorzare?

Sono domande una più impegnativa dell’altra a cui molti hanno tentato di dare una risposta definitiva, ma nessuno ci è mai riuscito se non in modo partigiano e, alla fine, fallimentare. Se entrassimo nel merito delle questioni non ne usciremmo più, perché, chi vi mette mano, attiva un vortice che lo risucchia e lo travolge. Il problema, così com’è posto, non ha soluzione positiva, come sa bene chi osserva attentamente il nostro “spavaldo” mondo.

Per fortuna, per vivere bene non è necessario affrontare e risolvere tutti questi problemi: quegli ostacoli è più conveniente aggirarli che scalarli. Infatti, la pienezza della vita non si ha nel godimento dei beni nominati, come crede fermamente la gente, ma nel rinunciare ad essi. In particolare è bene rinunciare al potere in favore del servizio, è bene rinunciare alle ricchezze e vivere con sobrietà, è meglio rinunciare al vizio e ai piaceri e coltivare la virtù.

Ma chi l’ha detto che una simile formula funzioni? Beh, basta provarla per rendersi conto che i suoi risultati sono al di sopra di ogni aspettativa; chi invece non ha la tempra sufficiente per le rinunce, deve accontentarsi di molto meno. Chi si lascia attrarre dalla curiosità ed entra nel ciclone “Mondo”, ne esce stritolato. A nulla vale proibire di dare un’occhiata al vortice; appena si perde di vista la gente per un istante, lei ci è già dentro; lo stare fuori deve essere una scelta volontaria e supportata dalla conoscenza (che viene dalla fede) che la vita visibile non è tutto, anzi è solo una minima parte della realtà. Potendo vedere anche il resto, le ingiustizie e le violenze, anche le più grandi, non meritano più un’opposizione e una vendetta, perché c’è Qualcuno che riequilibra i disordini prodotti dall’uomo usando un repertorio di compensi molto soddisfacente, ancorché poco visibile. All’uomo comune, senza fede, sembra invece che in questo mondo non esista la giustizia divina; lui la vuole vedere subito e applicata all’oggetto del contendere; ed è qui che casca l’asino. Le leggi umane sono così miopi e i giudici preposti a sorvegliarle sono così limitati che, il fare giustizia, spesso, dà luogo ad ingiustizie maggiori.

Dove Dio non è messo al primo posto, affiora l’egoismo, primeggiano i desideri di ogni genere, assumono importanza tutti i quesiti anzidetti, e il convoglio a guida umana marcia a velocità folle verso il burrone. Chi abbia un po’ di sale in testa non gli resta che saltare giù: meglio una gamba rotta che perdere la vita. [rif. L1/103]