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L’ideologia radicale vuole estirpare le ultime vestigia della visione spirituale del mondo

di Francesco Lamendola - 19/01/2014


 


 

Se c’è una ideologia politica nella quale si concentrano e si riassumono tutti i temi della lotta contro la religione, contro la morale costituita, contro le ultime vestigia di spiritualità che ancora sopravvivono nel mondo moderno, secolarizzato e laicizzato, quella è l’ideologia radicale.

Come vera e propria forza politica della sinistra “progressista”, il radicalismo nasce e si sviluppa in Francia nel corso del XIX secolo: conquista i vertici dello Stato durante la Terza Repubblica e da allora, in pratica, non perde mai la presa sulla società e sulla scena politica; ritorna in forze alla vigilia della seconda guerra mondiale, all’epoca del governo del Fronte Popolare di Léon Blum, e poi, di nuovo, negli anni Cinquanta, con Mendès-France; tuttora si può dire che rappresenta una forza consistente, ideale e materiale, nel contesto della “gauche” transalpina, anzi ancora più forte sul piano ideologico di quanto non lo sia in senso strettamente parlamentare.

Il radicalismo è figlio della Rivoluzione francese, ma non è una ideologia proletaria e, quindi, non è una costola del socialismo: è erede del giacobinismo e, pertanto, rappresenta la borghesia che si autodefinisce illuminata, erede, a sua volta, della tradizione libertina del XVII secolo. Se collabora con il liberalismo e con il socialismo, lo fa sempre da una propria particolare prospettiva e perseguendo dei fini che sono suoi propri e che non coincidono affatto né con quelli del liberalismo, né con quelli del socialismo e del comunismo.

Il liberalismo nasce dall’esigenza di tutelare i “diritti naturali” del singolo individuo nel contesto della società; sostiene lo Stato laico, come Hobbes, e stabilisce una netta separazione tra la sfera di competenza dello Stato e quella della religione: libera chiesa in libero Stato; considera la religione come un fatto privato e che non ha, né deve avere, nulla a che spartire con la vita sociale e con l’ordinamento civile della nazione. In altre parole, il liberalismo non possiede una propria ideologia positiva: sa molto bene ciò che non vuole – non vuole lo Stato sociale, né, tanto meno, lo Stato etico; non vuole limiti e ostacoli alla libera iniziativa economica; non vuole il suffragio universale, né la repubblica, né, meno ancora, la rivoluzione; non sa altrettanto bene ciò che vuole, salvo affermare che promuove e protegge tutto ciò che concerne la sfera dei diritti individuali – alla vita, alla libertà di espressione, alla proprietà privata. Non possiede una propria filosofia dell’uomo, una propria antropologia: gli basta perseguire il fine della libera iniziativa e di tutelare in ogni modo la sfera di libertà del cittadino. Non vuole insegnare niente a nessuno, non si sogna nemmeno di cambiare l’uomo: l’uomo va bene così com’è, purché lo Stato non pretenda di immischiarsi nella sua sfera di libertà privata. Per esso, tutto quel che non viola esplicitamente la legge è permesso, tutto quello che non reca danno evidente al prossimo è un diritto sacrosanto da proteggere e da incrementare.

Il socialismo ha, invece, una sua idea di ciò che l’uomo deve essere: in particolare, ritiene che l’uomo debba essere felice, e che per conquistare la felicità sia necessario abbattere ciò che ostacola la sua realizzazione. Ora, l’ostacolo fondamentale è lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo: si abolisca la proprietà privata dei mezzi di produzione, si instauri la società senza classi, e l’uomo potrà realizzarsi pienamente e vivere felice. La religione è uno degli strumenti principali dello sfruttamento di classe, dunque anch’essa deve scomparire, affinché l’uomo sia libero. D’altra parte, non vale la pena di perseguitarla apertamente (questo in teoria, perché, in pratica, il secolo XX è stato contraddistinto dalle più dure persecuzioni anticristiane dai tempi dell’Impero Romano): basta schiacciare il dominio della borghesia, e la religione si estinguerà naturalmente, così come naturalmente si estinguerà lo Stato – questo, almeno, nella concezione marxista originaria. La religione nasce dall’alienazione dell’uomo, è una fuga nei paradisi artificiali di una vita migliore dopo la morte, dovuta alle condizioni intollerabili di sfruttamento esistenti in questa vita: ma se tali condizioni verranno radicalmente modificate, le persone non avranno più bisogno di credere in un Dio immaginario, né in un altrettanto immaginario Aldilà; vivranno libere e felici in questo mondo, paghe di ciò che la vita può offrire loro.

Dunque, se il liberalismo è disposto a tollerare la religione, purché essa non s’immischi in alcun modo nella vita sociale – cosa, evidentemente, del tutto impossibile: a meno di ridurre la religione a un fatto puramente interiore, come nel luteranesimo -, e se il socialismo si propone di estirparla, ma come logica conseguenza della distruzione della società divisa in classi, il radicalismo invece, e solo il radicalismo, si propone di modificare la condizione dell’uomo e la sua stessa natura, distruggendo in essa, fino alla radice, l’anelito verso la trascendenza, il bisogno di Dio; e, insieme ad essi, anche la visione spirituale della vita, in qualunque forma essa si esprima.

Il radicale non si accontenta di separare la vita dello spirito da quella politica e sociale; né desidera distruggere la società basata sulle classi, poiché mira, piuttosto, ad una rigenerazione spontanea dell’uomo. Esso vuole agire sull’uomo con energia e decisione, diciamo pure con impazienza, perché si sente impegnato in una lotta frontale contro la Chiesa, contro Dio, contro la spiritualità, in nome di una visione del reale puramente atea e materialista, basata sull’idea che i diritti dell’individuo devono trionfare su tutto e che la natura è buona in se stessa, per cui non resta che eliminare ciò che ne ostacola il libero svolgimento. Le battaglie radicali in favore del divorzio, dell’aborto, del libero consumo delle droghe, dell’eutanasia, nascono precisamente da questo naturalismo esasperato e da questo individualismo rozzamente edonistico. I radicali parlano sempre di diritti, più precisamente di diritti delle singole persone (non della società in quanto tale), quasi mai di doveri: per loro, la società è l’antagonista che bisogna tenere a bada, nella difesa a oltranza della libertà assoluta del singolo individuo.

I radicali vogliono rifondare l’idea dell’uomo; animati da un forte spirito missionario, e simili, in questo, a dei preti alla rovescia, altrettanto bigotti, e forse più, di quanto possono esserlo i preti vecchio stile, conducono tutta una serie di “battaglie” in favore dell’emancipazione, senza minimamente domandarsi – o forse, almeno a certi livelli, essendone fin troppo consapevoli – se una società, una volta che sia stata indebolita e svuotata dalle continue e incessanti richieste di libertà a senso unico da parte dei cittadini, possieda ancora quel minimo di coesione e di senso del bene comune per sopravvivere, per difendersi, per assicurare ai suoi membri un livello accettabile di sicurezza, di pace, di integrazione.

La loro grande nemica è la Chiesa cattolica, questa anacronistica sopravvivenza di epoche passate, nelle quali gli uomini erano ancora sprofondati nelle tenebre dell’ignoranza ed erano continuamente esposti al ricatto di preti scaltri e senza scrupoli, avidi di potere e di ricchezza; possono anche mostrarsi disponibili al dialogo con i settori più “progressisti” e “avanzati” della Chiesa, ma il loro scopo ultimo è la sua distruzione totale e irrimediabile, lo sradicamento definitivo della spiritualità dall’anima di ogni essere umano.

Agiscono, in genere, con astuzia: non proclamano apertamente i loro scopo ultimi, ma procedono per gradi; pubblicizzano ed enfatizzano alcune situazioni particolarmente drammatiche, per far leva sull’emotività dell’opinione pubblica e guadagnare spazio nella funzione legiferante del parlamento. Per esempio, scelgono il caso di una ragazza violentata e rimasta incinta, per pubblicizzare l’idea dell’aborto; oppure quello di una persona che si trova in stato di coma cerebrale  da parecchi anni, per ottenere il via libera all’eutanasia. All’inizio dicono di voler rendere giustizia a poche persone che vivono situazioni particolarmente difficili; ma il loro vero scopo è quello di modificare i modi di pensare e di sentire di milioni di cittadini, di introdurre una svolta etica, di sancire una prassi totalmente diversa relativa ai temi in questione. Sanno che gli aborti diventeranno migliaia e centinaia di migliaia, una volta che la legislazione abortista si sia affermata; e sanno che le azioni di morte “assistita” dilagheranno negli ospedali, una volta che siano stati infranti il tabù della sacralità della vita e il giuramento di Ippocrate da parte dei medici, ossia il giuramento di difendere la vita sempre e comunque. Lo sanno, ma  non lo dicono, almeno all’inizio: agiscono in maniera subdola e non si fanno alcun riguardo a strumentalizzare il dramma umano di singole persone che si sentono abbandonate dalla società e che vivono con crescente angoscia delle situazioni oggettivamente difficilissime. Avvicinano tali persone, le fanno sentire meno sole, poi le portano in televisione, le trasformano in altrettanti missionari dell’idea, se ne servono come punte di diamante per aprire una breccia nel senso morale comunemente accettato.

Non è un caso che i militanti del radicalismo, fin dall’inizio, abbiano agito in stretta collaborazione con la Massoneria: come i massoni (e spesso le due figure coincidono), i radicali perseguono un disegno militante: quello di condurre una crociata all’ultimo sangue per la distruzione della religione cristiana e per l’asportazione e la cauterizzazione di ogni forma di spiritualità dall’anima delle persone. Come teoria, il pensiero radicale si accontenta di contribuire alla vittoria del laicismo e del secolarismo; in pratica, il suo obiettivo finale è la scomparsa definitiva della trascendenza dal sentire degli esseri umani.

Osservava, a questo proposito, Gianni Baget Bozzo nel suo libro «Il partito cristiano, il comunismo e la società radicale» (Firenze, Vallecchi, 1976, pp. 15-17):

 

«Il radicalismo, pensato nella sua differenza dal liberalismo, muove dall’originaria passione giacobina legata alle origini della instaurazione della repubblica in Europa. Lo Stato appare così quale portatore di un messaggio verso la società civile, che deve essere riformata in funzione del principio laico. La Chiesa non deve essere esclusa soltanto dalla determinazione della figura dello Stato laico, ma anche dalla egemonia sulla società civile. Mentre il liberalismo si limita ad esprimere una concezione dello Stato  in cui è implicita una concezione dell’uomo, nel radicalismo  è la concezione dell’uomo d essere posta in primo piano. Il radicalismo ha carattere militante ed allarga allo Stato questo suo carattere.  Così, mentre il liberalismo limita e critica l’idea di rivoluzione, il radicalismo dà una piena espansione ad essa, intesa come mutamento della concezione dell’uomo e dei costumi degli uomini attuato mediante l’intervento sistematico e coercitivo del potere pubblico. La Chiesa cattolica è considerata l’avversario storico del radicalismo; l’obiettivo radicale può essere configurato  come l’annullamento del potere sociale della Chiesa e la riduzione del cristianesimo alla semplice sfera individuale e interiore.

Il socialismo, preso nel suo insieme, si differenzia dal radicalismo. Al centro dell’idea socialista sta il concetto di superamento della proprietà privata o almeno della sua egemonia sociale. I vario socialismi hanno concezioni diverse di tale superamento: in ragione di tali divergenze, un socialismo può diventare il partito della proprietà privata contro un altro socialismo, il che accade per esempio al presente alla socialdemocrazia europea. Nel suo insieme, tuttavia,  il socialismo non assume come suo avversario la Chiesa cattolica che indirettamente, cioè in ragione del concorso dato, ideologicamente o politicamente, dalla Chiesa alla proprietà privata,. Il marxismo ha sostenuto il legame oggettivo tra religione e sfruttamento, nel senso che il pensiero religioso è reso possibile dall’esistenza dello sfruttamento – la religione è l’”oppio del popolo”, perché essa consente al popolo di non considerare la sua infelicità reale; la sua finzione storica suppone lo sfruttamento e, senza sfruttamento, non esiste possibilità di esistenza del fenomeno religioso. Anche se la concezione marxista non assume la Chiesa e nemmeno la religione quale suo diretto avversario storico, essa fa però della sparizione della Chiesa e della religione la prova  della realizzazione del socialismo. Il carattere socialista di una società è determinato dall’assenza in essa di lotta di classe e quindi di sfruttamento. Se in una società socialista si ha però ancora religione, tale permanenza non può essere considerata che come permanenza del contrasto  di classe e quindi come sfruttamento.  Per tale ragione le società comuniste hanno dato luogo alla più intensa persecuzione  come tale che sia esistita dall’inizio dei tempi cristiani: l’esistenza della religione, la sopravvivenza della Chiesa è segno, dal punto di vista marxista, dei conflitti di classe all’interno della società che pur si definisce marxista.

Il radicalismo non accetta nessuna delle prospettive socialiste, anche se può accettare l’uno o l’altro dei socialismi come compagno di strada. Alla base del radicalismo rimane, in qualche modo, il concetto della natura come forza liberante che solo la storia può soffocare e rendere inoperante.  Il socialismo, specie quello marxiano, nasce dalla reazione  della filosofia tedesca all’empirismo e  al naturalismo franco-inglese, e vede nella società e nella storia un processo totale, in cui soltanto l’uomo può trovare la sua pienezza. L’annullamento della funzione sociale della Chiesa è, nella prospettiva radicale, voluto per liberare la natura da una storia falsificante e permettere alla dimensione naturale originaria, quella dell’individuo, di manifestarsi in pienezza. Nel socialismo invece la liberà originaria non è quella dell’individuo, ma quella della società. La rivoluzione radicale e quella socialista hanno perciò prospettive diverse ed esprimono momenti di pensiero tra di loro non componibili. Il naturalismo e l’individualismo che sono le caratteristiche del pensiero rivoluzionario del secolo XVIII, di cui il radicalismo porta l’impronta, sono assai diversi dalle linee storicistiche e socialitarie di cui il pensiero socialista, specie nella sua più completa forma marxista, porta l’impronta.»

 

Resta solo da aggiungere che il radicalismo, a partire dalla fine del XIX secolo, e tanto più oggi, non è più l’ideologia di una minoranza che si considera illuminata, ma è diventato l’ideologia dominante: non deve più aggredire e infiacchire una maggioranza ormai torpida e anacronistica, ma spazzar via l’ultima resistenza di minoranze consapevoli e determinate, che lottano per la loro stessa sopravvivenza. Le parti si sono invertite.

Al tempo stesso, il radicalismo odierno è solo in parte l’erede del radicalismo ottocentesco. Quello era figlio del dogma illuminista del Progresso e considerava la ragione e la scienza come gli strumenti per realizzare il benessere e la felicità dell’uomo; questo è figlio della società del benessere nella sua fase novecentesca e non riconosce alla scienza che il compito di facilitare un edonismo ormai fine a se stesso. Il radicalismo odierno non vuole più modificare l’uomo, lo ha già modificato; non vuole più convertirlo, lo ha già convertito; non desidera instaurare una nuova concezione della realtà, ritiene di averlo già fatta. Gli basta rafforzare la sua presa e allargare le brecce già aperte nella società, per far crollare quel che ancora rimane della visione spirituale dell’uomo.

Deve essere chiaro a tutti che la posta in gioco è questa: né più, né meno. Se cadranno le ultime dighe, non ci saranno più limiti alla manipolazione dell’uomo e degli altri viventi, alla manipolazione delle cose e dell’ambiente: dalla modificazione genetica degli organismi, alla clonazione animale e umana, a ogni sorta di fecondazione artificiale: nulla potrà più fermare la marcia verso il totale asservimento della vita al principio del piacere.

L’attuale crociata omosessualista per ottenere il riconoscimento delle “famiglie” omosessuali, per criminalizzare chi la pensa diversamente, per imporre l’abolizione dei pronomi “lui” e “lei” nelle scuole d’infanzia, a favore del neutro (con la motivazione ufficiale di evitare la “discriminazione sessuale”), va precisamente in tale direzione.

E il bello è che tutte queste cose vengono presentate come battaglie per la libertà, per la civiltà, per la giustizia…