Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Crisi in Ucraina: sangue sulla Maidan

Crisi in Ucraina: sangue sulla Maidan

di Mark Hackard - 02/02/2014



1505513L’Ucraina è sull’orlo della guerra civile e i media occidentali come al solito non sono particolarmente utili nell’evidenziare il degradarsi della situazione. Oltre a suggestive foto di scontri tra formazioni come la polizia antisommossa Berkut e gli oppositori nazionalisti irregolari sulla Maidan Nezalezhnosti (Piazza Indipendenza), tutto ciò che possiamo aspettarci dalla stampa è la seguente narrazione fantasiosa:
- Quando il corrotto presidente ucraino Viktor Janukovich ha rottamato l’accordo di associazione con l’UE del Paese, fissato per novembre 2013, “proteste pacifiche” furono avviate dai kievani pro-occidentali protesi a un futuro europeo.
- La rabbia popolare s’è intensificata solo dopo che Janukovich ha accettato l’ampia cooperazione economica trattata con la Russia di Vladimir Putin, il 17 dicembre. Disperata, l’Ucraina amante della libertà veniva risucchiata nell’oscura orbita di Mosca. Solo i pacifici manifestanti potevano fermare tale processo.
- La battaglia per Kiev continua mentre il regime instabile promulga leggi draconiane che limitano la libertà di riunione, nel tentativo di mantenere il potere. L’Ucraina è il nuovo fronte della democrazia, geneticamente modificata da Big Mac e dalla guerra psicologica di Disney e MTV.
La realtà strategica, tuttavia, raramente si adatta alla sceneggiatura di un racconto morale per la TV. La storia occulta riguarda il tentativo degli Stati Uniti di bloccare la rinascita della Russia laddove conta davvero: in Ucraina. I commentatori della politica estera degli Stati Uniti preferiscono deviare l’attenzione dai fatti che screditano il loro racconto preferito: il primo di questi è l’attivazione da Washington del modello aggiornato per un colpo di Stato a Kiev. Per oltre un decennio, il pubblico statunitense è stato portato a credere alle successive ondate di “potere del popolo” che rovesciarono i governanti oppressivi in Eurasia e Medio Oriente, che casualmente si opponevano agli interessi statunitensi. Niente di tutto ciò fu accidentale, da Belgrado e Tbilisi a Minsk e Kishinev, la CIA e il dipartimento di Stato effettuarono operazioni di cambio di regime rinnegabili, con vario successo. La tanto cara all’occidente “rivoluzione arancione” di Viktor Jushenko del 2004, si sgonfiò ignominiosamente, ma la preziosa posizione geografica dell’Ucraina e le sue fratture etniche e culturali ne fanno di nuovo un bersaglio delle operazioni segrete degli Stati Uniti.
La questione dell’integrazione europea è solo il pretesto necessario per attuare quest’ultimo round del Grande Gioco. Gli opinionisti e gli editorialisti dell’Upper East Side omettono di dire al loro pubblico della natura della potenziale “associazione” di Kiev con l’UE, con cui il Paese sarebbe diventato una colonia economica degli interessi corporativi occidentali, sottraendo e frantumando ogni capacità produttiva degli ucraini ed imponendo l’austerità bancaria già familiare agli attuali abitanti dell’Unione Europea. L’accordo stesso fu originariamente promosso dall’élite oligarchica della nazione, il vero potere dietro ogni presidenza di Kiev. Bruxelles cercò di acquisire l’Ucraina a buon mercato, offrendo meno di un miliardo di dollari per coprirne i 17 miliardi di dollari di debito, oltre agli enormi danni che sarebbero stati inflitti all’economia dell’Ucraina con la sua firma. La Russia, invece, ha approfondito la collaborazione con il suo vicino assegnando 15 miliardi dollari di prestiti agli ucraini, formando joint-venture nelle principali industrie pesanti e fissando il prezzo del gas al di sotto del valore di mercato[i]. Dalla dichiarazione ufficiale di sovranità dell’Ucraina, nel 1991, corruzione e malaffare di ogni amministrazione presidenziale non furono mai questione da discutere. Eppure Janukovich e sostenitori come Rinat Akhmetov finalmente  compresero che l’accordo di associazione era la ricetta sicura per la rovina economica e la catastrofe politica, mentre i funzionari europei presentavano pubblicamente l’accordo come la “scelta per l’Europa” dell’Ucraina invece che della Russia. Vedendo quanti scarsi benefici tangibili forniva tale disposizione palesemente irregolare, il regime di Kiev trovò interlocutori più interessati nel Cremlino di Putin che tra fenomeni come Angela Merkel e la baronessa Catherine Ashton.
Le principali risorse dell’occidente per ribaltare il rapporto russo-ucraino sono i gruppi di opposizione che occupano attualmente Kiev e sono impegnati negli scontri urbani con la polizia, oltre ad occupare capoluoghi di regione. Ma molti di tali “manifestanti”, cause célèbre attuale dei politici statunitensi, sono in realtà sciovinisti della Galizia, composta da tre province dell’occidente estremo dell’Ucraina. Cattolici e per secoli dominati da polacchi e austro-ungarici, i galiziani hanno una forte animosità verso gli ortodossi, e l’Est e la Crimea filo-russi. Gli antenati immediati dei combattenti attuali sulla Maidan, formarono un’intera divisione di Waffen-SS, e ora i partiti ultra-galiziani come Batkivshina, “Patria”, e Svoboda, “Libertà”, avanzano la causa dell’indipendenza nazionale dei loro antenati contro il giogo degli odiati moscoviti. È una quasi-certezza che Washington fornisca all’opposizione ucraina non solo appoggio diplomatico verbale (come le minacciate sanzioni) e ampio coordinamento logistico tramite diverse organizzazioni non governative come Freedom House e NED. Le reti d’intelligence degli Stati Uniti, insieme agli alleati MI6, BND e servizio polacco, con ogni probabilità sostengono attivamente i nazionalisti predoni, definiti “manifestanti pacifici” proprio come i mercenari jihadisti che devastano Libia e Siria sono “combattenti per la libertà” e i faziosi devianti vengono celebrati quali “attivisti per i diritti”. Qualunque siano le loro aspirazioni, gli ultras sono, in ultima analisi, pedine di una grande  mossa geopolitica.
Le terre a cavallo del Dnepr e del Don non sono solo il cuore storico della civiltà slava orientale; formano la pietra angolare della sicurezza russa nei confronti dell’Europa. Per una corretta comprensione degli obiettivi della politica estera degli Stati Uniti in Ucraina, vale la pena ricordare l’analisi di Zbigniew Brzezinski, stratega emerito delle élite finanziarie internazionali: “Senza l’Ucraina, la Russia cessa di essere un impero eurasiatico… Tuttavia, se Mosca riprende il controllo dell’Ucraina, con i suoi (46 milioni) di abitanti, le grandi risorse, nonché l’accesso al Mar Nero, la Russia riprende automaticamente i mezzi per diventare un potente Stato imperiale, dall’Europa all’Asia.” Brzezinski spesso parla della sua speranze d’imporre la democrazia liberale in Russia, senza dubbio per via della sua enorme filantropia per il popolo russo. Le uniche cose che disprezza costantemente di quella nazione sono sovranità, identità e cristianesimo ortodosso. Si tratta di una Russia sovrana che impedisce ai bankster degli USA di realizzare pienamente il sogno inumano di un panopticon planetario, pertanto Brzezinski e i suoi accoliti dell’apparato di sicurezza nazionale degli Stati Uniti programmano per il loro nemico sovversione e smembramento. Oltre al continuo ufficioso appoggio degli Stati Uniti ai movimenti separatisti islamici nel Caucaso, la coreografia di una rivoluzione in Ucraina è un metodo piuttosto economico per destabilizzare la periferia meridionale della Russia. Non solo le Olimpiadi di Sochi del 2014 vengono oscurate, ma i grandi progetti energetici come il South Stream potrebbero essere travolti dal caos. Come in Kosovo, scatenando il caos assieme alla retorica liberal-umanitaria, si può avere una scusa pronta per l’introduzione di forze NATO nella regione.
Dopo il successo di Putin, nel 2013, nel dissuadere un attacco alla Siria e rafforzare la posizione del Cremlino nel Mediterraneo orientale, Washington incanala i suoi sforzi nel minare qualsiasi consolidamento del potere russo in Eurasia. La grande opportunità risiede nello sfruttare gli scismi nella società ucraina per installare un altro governo filo-occidentale a Kiev e preparare il terreno per la presenza militare degli Stati Uniti a qualche centinaio di chilometri da Mosca. Eppure la Russia sembra apprezzare le lezioni che ha appreso dalla rivoluzione arancione del passato decennio, ed non è in vena di averne altre. Sperando di evitare una guerra civile, in Ucraina vi è la possibilità concreta di un futura partizione che vedrebbe l’est industriale e il litorale del Mar Nero sotto la protezione russa, mentre l’occidente incontrerà il suo destino europeo [ii]. Quindi lasciate che gli ultras galiziani siano festeggiati dai loro benefattori con sfilate a Parigi, Londra e Berlino,  difficilmente sapranno quanto li bastoneranno diplomatici statunitensi ed eurocrati.

Note
[i] Gli aiuti da Mosca sono attualmente congelati per via delle dimissioni del premier Mykola Azarov. Saranno ripresi quando Kiev formerà un nuovo governo e onorerà gli accordi.
[ii] Nel caso di una partizione, non si potranno escludere rivendicazioni territoriali su Carpazi, Rutenia e Bucovina da Ungheria e Romania.

1012291Mark Hackard è un analista di politica estera indipendente statunitense. Ha una laurea in lingua russa presso la Georgetown University e un master in Studi europei orientali, russi ed eurasiatici presso la Stanford University.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora