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L’Arabia Saudita si compra l’occidente

di Vladimir Odintsov - 02/02/2014

Fonte: Aurora

 

 

Il rapporto tra l’Arabia Saudita e l’occidente, soprattutto gli Stati Uniti, è sempre stato parte fondamentale della politica saudita. Tuttavia, le recenti modifiche della strategia di Washington e dei suoi vari alleati europei nel risolvere la crisi siriana e il programma nucleare iraniano, hanno costretto Riyadh a modificare le proprie priorità in politica estera e la cooperazione con i Paesi occidentali. Tali cambiamenti politici che Washington e il suo principale alleato, Londra, hanno intrapreso in Medio Oriente vengono definiti niente meno che “tradimento e atteggiamento ingannevole verso Riyadh” dai rappresentanti della famiglia reale saudita. Tali affermazioni furono espresse particolarmente su The Telegraph dall’ambasciatore saudita a Londra, principe Muhammad bin Nawaf bin Abdulaziz al-Saud, dove dichiarava che d’ora in poi Riyadh “non starà pigramente con le mani in mano“. Il suo consigliere Nawaf Ubayd nel frattempo accusava gli USA e l’occidente di “essere disonesti con l’Arabia Saudita” annunciando che i sauditi adotteranno una nuova “dottrina della difesa” per raggiungere i loro obiettivi in politica estera, e che “la nostra posizione strategica passa da reattiva a proattiva“, cioè assumeranno una posizione attiva in politica estera. Il rifiuto dell’Arabia Saudita di collaborare strategicamente con gli Stati Uniti, fu inoltre espresso su vari media esteri, alla fine del 2013, dal capo del servizi segreti sauditi, principe Bandar bin Sultan, che sosteneva che un “cambiamento decisivo” si verifica nella politica estera saudita. Affermava che la monarchia saudita cesserà di concentrarsi su Washington, che “ignora gli interessi di Riyadh”.
La politica estera dell’Arabia Saudita certamente non è mai stata pubblica. Ciò perché i leader di tale regno non hanno mai dovuto rendere conto al popolo dei loro piani e politiche. Questo è il motivo per cui i piani esteri di Riyadh vengono sempre nascosti da un velo di segretezza e solo in determinate circostanze sono resi noti agli altri attori, che ne vengono a conoscenza attraverso “colloqui riservati” con i diplomatici sauditi. Ma anche allora, tali informazioni non sono una “rivelazione” ma ben piazzate informazioni diffuse specificatamente attraverso i “colloqui riservati” per rafforzare certe manovre saudite o attuare determinati piani segreti della monarchia. Questo è il motivo per cui le informazioni relative al mutamento della politica di Riyadh “accidentalmente” finirono nelle mani di varie agenzie occidentali, in primis il Wall Street Journal, The Telegraph, Reuters, The New York Times e altri, alla fine dello scorso anno, rientrando in una campagna informativa sapientemente eseguita volta ad avvertire Washington e Londra del rischio di perdere il loro principale alleato arabo, l’Arabia Saudita. Non è difficile intuire che il principe Bandar bin Sultan sia dietro tale campagna, essendo responsabile non solo dell’intelligence nazionale, ma praticamente di tutta la politica estera del regno. Tale “fuga di notizie” fu subito seguita da una “dimostrazione di forza” di Riyadh sotto forma di flirt finanziario con vari Paesi arabi e del Medio Oriente (in particolare Libano, Egitto e altri) e dalla disponibilità a sostituire integralmente gli Stati Uniti nel finanziarne i programmi di modernizzazione militare e tecnica, nonché come fonte degli armamenti esteri, compito che potrebbe invece essere relegato ad un “fidato alleato dei sauditi”.
Tale gioco politico di Riyadh ha cominciato ad attrarre attivamente gli altri leader regionali che si sentono “offesi da Washington”. O semplicemente coloro che, come l’Arabia Saudita, vengono emarginati dalla nuova politica statunitense. In tale contesto, la prima scelta saudita è stata il presidente francese François Hollande, impaziente di riscuotere la somma di Riyadh in un momento in cui i suoi voti sono catastroficamente in ribasso tra la popolazione francese. Ciò ha portato François Hollande a visitare Riyadh, alla fine del 2013, dove il re dell’Arabia Saudita gli ha dato un assegno da 3 miliardi di dollari per finanziare l’esercito libanese, a condizione che le armi siano acquistate in Francia. Inoltre, l’Arabia Saudita ha anche dichiarato di essere pronta a spendere oltre 50 miliardi di dollari per l’ulteriore avvicinamento della Francia in politica estera, sulla base dei comuni punti di vista sulla situazione in Siria e Iran. Ciò ha portato ad una reazione fortemente negativa degli Stati Uniti, dove l’approvazione di tale piano viene visto come un insulto pubblico alla posizione statunitense su Iran e Siria, una posizione in contrasto con la politica saudita verso questi Paesi. Gli Stati Uniti ritengono che Riyadh intenda creare un nuovo asse con Parigi dopo aver trovato piuttosto morbida, dal punto di vista saudita, la piattaforma che Washington ha adottata nella politica mediorientale. La creazione di tale nuovo asse coinvolgerà Parigi nelle miliardarie operazioni sugli armamenti della regione, cosa che la Francia non può rifiutare. In prima linea nell’alleanza politico franco-saudita ci sono i petrodollari sauditi che catturano l’interesse dell’economia francese, profondamente turbata. I francesi hanno già firmato un contratto da 1,5 miliardi dollari per modernizzare la marina saudita, portando François Hollande a intraprendere tre ulteriori visite in Arabia Saudita. Anche se le politiche estere francese e saudita sono abbastanza vicine su Siria, Libano e Iran, vi sono seri disaccordi sull’Egitto riguardo al ruolo che la Fratellanza musulmana dovrebbe avere nel Paese e nella regione. Tali divergenze potrebbero compromettere il futuro dell’”asse del bene”, tuttavia Riyadh può attualmente contare sul “prezioso alleato, senza compromessi verso al-Assad e la questione siriana”.
Washington non è solo preoccupata di perdere l’Arabia Saudita quale unico cliente degli armamenti statunitensi, ma è anche preoccupata per il colpo alla reputazione degli Stati Uniti quale fornitore di aiuti al Libano nel contribuire a rafforzarne il potere militare. Dopo tutto, il sostegno finanziario saudita previsto per il Libano sembra essere molto più generoso di quello degli Stati Uniti. L’immagine della politica estera degli Stati Uniti verso la Siria ne soffre, anche per via della crescente attività francese nel stabilire contatti con l’opposizione siriana con l’aiuto dei sauditi.  Mentre François Hollande aveva colloqui con il pupillo di Riyadh e capo della coalizione nazionale dell’opposizione siriana Ahmad Jarba, i vertici politici di Washington non hanno mai tentano tale  contatto. I crescenti sforzi della Francia per ancorarsi nel Golfo Persico, e i tentativi sauditi per trovare i partner che l’aiuterebbero a risolvere le pressanti questioni regionali (Siria, Iran e altri) senza coinvolgere gli Stati Uniti, suscitano gravi preoccupazioni a Washington. Il piano statunitense per controllare il processo di trasformazione delle monarchie del Golfo (Consiglio di cooperazione degli Stati arabi del Golfo) in un blocco economico, militare e politico, è ora seriamente minacciato.  Ciò potrebbe anche significare che i vari piani statunitensi saranno sospesi, come la creazione del sistema unificato dell’ABM integrato nel Golfo Persico, il lancio del nuovo meccanismo di coordinamento, un Consiglio dei ministri della Difesa di Stati Uniti e Consiglio di cooperazione degli Stati arabi del Golfo, e anche la creazione del blocco militar-politico unitario delle monarchie del Golfo. Ciò ha costretto il Segretario di Stato degli Stati Uniti John Kerry a recarsi in Arabia Saudita per una breve visita all’inizio di questo gennaio. Anche se il principale argomento delle conversazioni era la questione della conciliazione in Medio Oriente, a porte chiuse si è anche parlato dei problemi che gettano un’ombra sulle relazioni saudite-statunitensi (cooperazione tecnico-militare e divergenze sulle politiche iraniane e siriane). I sauditi, ancora una volta hanno legato la soluzione del conflitto israelo-palestinese all’evoluzione della situazione riguardo ai problemi regionali centrali per gli interessi sauditi.
 In tali circostanze, la posizione degli Stati Uniti su questi temi determinerà le ulteriori indicazioni sulla cooperazione saudita con gli statunitensi. Gli esperti inoltre notano che l’Arabia Saudita non potrà accettare che i Paesi arabi riconoscano il carattere ebraico dello Stato di Israele, un punto  avanzato dagli statunitensi e dallo stesso John Kerry. In una parola, il “ribollente Medio Oriente” è un nome adatto alla regione, mentre gli intrighi sembrano essere perennemente crescere, seguiti da  nuove provocazioni che a loro volta preparano il punto d’appoggio per un possibile imminente deterioramento della situazione politico-militare regionale. Un esempio è la recente affermazione  del direttore della National Intelligence degli Stati Uniti, James Clapper, sulla possibilità che la Siria abbia le capacità di produrre non solo armi chimica, ma anche biologiche che, ancora una volta, daranno agli Stati Uniti motivo per avviare un’operazione militare contro Damasco, cosa di particolare interesse per Riyadh pronta a versare qualsiasi somma in petrodollari per raggiungere i suoi scopi. Tuttavia, non dimentichiamo che i tempi cambiano e che il mondo cambia con essi. Nuovi appelli a un’azione militare, anche se generosamente finanziati dalla monarchia wahabita, non solo non saranno fruttuosi per i burattinai di Washington e Riyadh, ma ne accelereranno anche la rovina politica.

e7430e2200cb563881a2778f044b753798714602Vladimir Odintsov è un commentatore politico, in esclusiva per la rivista online New Oriental Outlook.

Traduzione di Alessandro Lattanzio