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L’agricoltura del mezzogiorno, una crisi che non fa rumore

di Antonio Aventaggiato - 19/02/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


L’agricoltura del Mezzogiorno evidenzia delle caratteristiche allarmanti: è profondamente colpita da una stretta creditizia che permette alle aziende agricole del Nord Italia (certamente più influenti dal punto di vista politico ed economico proprio per la vicinanza, non solo fisica, al centro capitalistico europeo) di intercettare quasi totalmente l’accesso al credito agricolo nazionale; è basata sullo sfruttamento dei lavoratori, extracomunitari e non; mostra inquietanti segnali di un’incessante centralizzazione, con la conseguenza che le imprese crescono in dimensioni ma si riducono per numero

agricoltura

Il Mezzogiorno italiano è stato costretto, da ragioni storiche profondamente legate agli sviluppi delle logiche capitalistiche globali, ad indirizzare la proprie forze produttive verso il settore agricolo. Come il Mezzogiorno, anche altri Paesi sono stati costretti, dal sistema mondiale di sviluppo e sottosviluppo, alla stessa scelta. Ad incarnare, oggi, nel contesto europeo, il centro capitalistico di riferimento è la Germania che, insieme alla Francia, è riuscita ad assumere un ruolo  decisivo ed influente per quanto riguarda le scelte politiche che l’Unione Europea adotta. Espressioni tipiche della volontà imperialistica tedesca sono le legislazioni inerenti il settore agricolo continentale, che stanno conducendo ad una vera e propria guerra tra poveri i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo: le regioni del Mezzogiorno, costrette al ruolo di colonia e di periferia dal centro mitteleuropeo, appartengono senza dubbio alla schiera degli assoggettati. L’agricoltura del Mezzogiorno evidenzia delle caratteristiche allarmanti: è profondamente colpita da una stretta creditizia che permette alle aziende agricole del Nord Italia (certamente più influenti dal punto di vista politico ed economico proprio per la vicinanza, non solo fisica, al centro capitalistico europeo) di intercettare quasi totalmente l’accesso al credito agricolo nazionale; è basata sullo sfruttamento dei lavoratori, extracomunitari e non; mostra inquietanti segnali di un’incessante centralizzazione, con la conseguenza che le imprese crescono in dimensioni ma si riducono per numero; contribuisce sempre di meno al PIL italiano, proprio in virtù della minore capacità di realizzare profitto e di reggere alla concorrenza. Questa situazione, che riflette conseguenze drammatiche nel tessuto sociale del Mezzogiorno, non è però dovuta esclusivamente a difficoltà interne, proprio perché è riscontrabile nell’apparato produttivo ed economico di altri Paesi (sia europei che africani) attigui alle coste mediterranee. Questa condizione è soprattutto causata dalle scelte politiche che la Comunità Europea ha messo in atto, naturalmente sotto l’influenza determinante dalla volontà tedesca e francese. Derivanti da questa volontà sono stati gli accordi commerciali che l’Unione ha stipulato con Marocco ed Egitto e che hanno ulteriormente abbassato i dazi doganali nello scambio dei prodotti del settore agricolo. Per l’Italia e, specialmente, per le regioni del Mezzogiorno, certamente questi trattati non hanno avuto effetti positivi: hanno portato infatti ad un’eccessiva concorrenza a basso costo sui mercati che contribuisce ad impoverire maggiormente le aziende agricole già al collasso. Evidentemente, però, tali modalità di accordo, tipica espressione delle logiche neoliberiste che stanno caratterizzando l’evolversi della situazione europea, avvantaggiano considerevolmente chi le ha volute e le ha sancite; sono cioè vantaggiose per Germania, Francia e per alcune multinazionali del comparto agricolo. I trattati commerciali di questo genere non fanno altro che fornire ai Paesi industriali del centro Europa prodotti agricoli a sempre minor costo; sono necessari, quindi, in questo caso, all’espansione industriale di Germania e Francia che, cavalcando le conseguenze dell’abbattimento dei dazi, saranno libere di esportare le proprie produzioni industriali in Paesi già sottomessi dal punto di vista economico (come il Marocco e l’Egitto). E, a guadagnarci, sono sicuramente anche le multinazionali del settore agroalimentare che, sfruttando la propria influenza, riescono a imporre la propria volontà. E’ il caso della Coca-Cola Company, che contribuisce allo sfruttamento dei lavoratori immigrati in Calabria proprio perché punta continuamente a comprare al ribasso, dai produttori locali, le materie prime necessarie alla lavorazione dei propri prodotti; è il caso di Auchan e Carrefour che agiscono nella stessa  maniera. Ma le conseguenze più gravi dell’attività delle multinazionali certamente si verificano nei Paesi non europei aderenti agli accordi: in Marocco le multinazionali, d’intesa con il governo, hanno proceduto a espropri terrieri su vasta scala pur di approfittare dei vantaggi proposti dai nuovi trattati, continuando costantemente nello sfruttamento della forza lavoro locale.