Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il freudismo, che è un marxismo psicologico, resta chiuso nel proprio circolo vizioso

Il freudismo, che è un marxismo psicologico, resta chiuso nel proprio circolo vizioso

di Francesco Lamendola - 25/02/2014


 

 


 

Freud, come Marx, pretende di costruire una antropologia fondata su una filosofia rigorosamente immanentistica, escludendo, cioè, per principio, ogni dimensione trascendente e ogni fattore spirituale originario; entrambi pretendono di costituire le proprie dottrine come “scienze”, rivendicando per esse uno statuto ontologico scientifico che, per la verità, si atttribuiscono da se stessi: l’uno contro ogni forma di psicologia “spiritualista”, l’altro contro ogni altra idea di socialismo, da lui sprezzantemente qualificata come “utopistica”.

Entrambi non si limitano a impostare una interpretazione rigidamente immanentistica del reale, ma giungono a qualificare l’anelito dell’uomo verso la trascendenza come un inganno e una impostura: per Marx è la religione come oppio dei popoli, perfida costruzione di preti avidi e intriganti, assetati di dominio sulle masse; per Freud, è l’idea stessa di Dio come risultato di una nevrosi, dovuta al senso di colpa per il desiderio inconscio di uccidere il padre e avere rapporti sessuali con la madre: cosa che egli immagina non solo in termini teorici, ma come un fatto reale, storicamente avvenuto, al tempo di una non meglio identificata “orda primitiva”.

Sia il marxismo che il freudismo, dunque, relegano il bisogno di assoluto tra le forme di alienazione dell’uomo e indicano la base di ogni realtà umana nella natura: il lavoro e il modo di produzione, per il primo; gli istinti, e specialmente l’istinto sessuale, per il secondo. Entrambi condividono una visione puramente naturalistica dell’uomo, che riduce ogni suo sentimento, ogni suo pensiero e ogni sua azione a dei fattori di ordine materiale; la filosofia, l’arte e tutte le manifestazioni “spirituali” non sono che qualcosa di secondario, di derivato, di accessorio; qualcosa, soprattutto, che tenta invano, e con cattiva coscienza, di nascondere a sé e agli altri la propria “bassa” origine, qualcosa che vorrebbe spacciarsi per “superiore”, mentre viene dal basso: dal bisogno economico, secondo Marx; dall’impulso sessuale, secondo Freud. Impulso che potrà anche essere sublimato, e che la morale può e deve sforzarsi di controllare e, se necessario, di reprimere; ma che tradisce sempre il marchio originario di un appetito materiale.

È interessante constatare come il crollo clamoroso dell’ideologia marxista non abbia coinvolto neanche marginalmente il freudismo. Crediamo che ciò non abbia a che fare solo con la natura immediatamente “politica” del marxismo, irrimediabilmente screditato dall’esperienza storica dei regimi di tipo sovietico, ma anche, e forse soprattutto, con il fatto che la cultura dominante presso le borghesie occidentali contemporanee non ha riconosciuto la stretta parentela della psicanalisi col marxismo e non ha colto le implicazioni politiche di quella, che, di fatto, è stata una ideologia di “salvezza”, in tutto e per tutto parallela e quasi consustanziale al marxismo.

Non “falsificabile”, e quindi non scientifica, - secondo la nota definizione popperiana – quanto il marxismo, la psicanalisi freudiana ha potuto sottrarsi all’onta del discredito e del ripudio da parte della borghesia “illuminata”, per la comoda ragione di non aver mai dovuto sottoporre al banco della prova le sue dottrine. Se è stato necessario aspettare quasi un secolo e mezzo per verificare praticamente la fallacia della dottrina marxista, quella freudiana, probabilmente, continuerà a vivere di rendita senza limiti di tempo: i suoi postulati indimostrabili si sottraggono, per loro stessa natura, a qualsiasi verifica ed eventuale smentita. La psicanalisi freudiana ha sempre ragione, sia quando coglie nel segno, sia quando sbaglia clamorosamente la diagnosi, perché non c’è niente, assolutamente niente, che possa sottrarsi alla tirannia dell’inconscio, alle pulsioni omicide e incestuose del complesso edipico, che possa trovare una ragionevole spiegazione al di fuori del quadro di riferimento delle cinque fasi del piacere: orale, anale, fallico, di latenza e genitale; non c’è niente che non possa essere interpretato come una “maschera” che la coscienza assume per nascondere le inconfessabili pulsioni inconsce dell’io.

Ironia delle ironie, questa concezione imperniata sulla imperiosa sessualità maschile e sulla “invidia” del pene” da parte delle donne, è stata sposata e fanaticamente difesa proprio dalla cultura femminista, al punto che freudismo e femminismo sono diventati quasi le due facce di una stessa medaglia: a riprova di quanto dicevamo sulla “non falsificabilità” della psicanalisi, capace di arruolare nelle sue file ogni potenziale opposizione – così come nel marxismo, che è solo un hegelismo rovesciato, ogni movimento della storia non può che condurre alla vittoria finale del proletariato, compreso il movimento ascendente della borghesia che spezza i legami della società feudale e realizza i propri trionfi solo per preparare il terreno alla sua imminente disfatta.

Osservava acutamente il filosofo personalista Luigi Stefanini (in: L. Stefanini, «Personalismo sociale», a cura di A. Rigobello, Roma, Edizioni Studium,  1952, 1979, pp. 87-97):

 

«[…] La psicanalisi ortodossa è marxismo psicologico. […] Il marxismo, come tutti, sanno, è il polo naturalistico in cui si scarica l’immanentismo moderno: quell’immanentismo che con Hegel s’era scaricato tutto  nel polo idealistico. […] Ai bisogni di Marx corrispondono  gli istinti di Freud, in quanto anche questi, con la loro interna dinamica, sottoposta a leggi inflessibili, decidono quanto si va svolgendo alla luce della coscienza nella storia dell’individuo. Al rigido determinino marxistico, che muove gli eventi della storia umana in funzione del fattore economico, fa riscontro il determinismo psichico freudiano che di ogni fatto psichico cosciente trova l’ineluttabile condizionamento causale in un fatto psichico incosciente, senza nessun margine concesso all’esplicazione dell’umana libertà. […] La “presa di coscienza”, nell’un caso e nell’altro, ha la specie della mera constatazione e della ratifica. […] La legge dei bisogni e degli istinti è l’antagonismo. Quindi Marx e Freud applicano, rispettivamente alla storia dell’umanità e alla storia della psiche individuale, la legge dell’urto e della collisione. La darwiniana lotta per l’esistenza ascende dal regno animale al regno umano con la lotta di classe del marxismo, e penetra in profondità con la forza dilaniante  degli istinti nel freudismo. […] Veduta pessimistica della natura umana quella che sta alla base ad un tempo del marxismo e del freudismo. Per Marx “è il lato cattivo della storia che fa la storia”, come per Freud è “la malvagità della natura umana”, è la “perversità polimorfa” del bambino che danni un senso a tutte le manifestazioni della nostra vita evoluta. Il disegno oleografico d’un’infanzia innocente, sorrisa da fantasmi di bellezza e di amore, viene dissipato per sostituirvi l’immagine oscena del lattante contesto di zone erogene labiali, buccali o anali; per sostituirvi l’immagine tragica di un’infanzia voluttuosa, sadica, incestuosa, sconvolta da cupi e sterili conati di uccidere il padre e rimpiazzarlo nel talamo nuziale. Quello che più conta: non c’è più un istante d’idillio concesso alla nostra vita matura, perché tutto viene compresso su codesto piano iniziale d’infantile nequizia L’anormalità un tempo era considerata come una dolorosa deviazione dalla normalità e contro di quella si concentravano le risorse intatte per ricondurre nell’alveo l’impeto traboccante delle forze ribelli; ora la normalità non ha altro senso che come un epifenomeno della fondamentale costituzione patologica e la nostra vita quotidiana si rivela lastricata di nevrosi e d’isterismo. Non c’è più concesso di sognare sogni innocenti, ché, se anche sognassimo gli angeli, li coinvolgeremmo nella ridda oscena di mostruosi accoppiamenti. Non c’è più concesso di contemplare un fiore senza veder comparire in esso le linee assorbenti del simbolo fallico. […] Ma in Freud non c’ soltanto la nequizia basilare della nostra natura istintiva ci sono anche il bene, l’ideale, l’ordine, come in Marx non v’ha soltanto il fondo materiale dei bisogni organici, ma anche è presente  tutta la gamma dei beni ideali che si estende dal pensiero, dalla scienza, dalla cultura fino alla morale e alla religione. [Però] tutto ciò che sta oltre il limite dell’economico, per Marx, e tutto ciò che sta oltre il limite dell’istintivo e dell’inconscio, per Freud, non predomina con una dignità sua propria e con una forza autonoma, ma è niente altro che sovrastruttura […], cioè manifestazione derivata e secondaria della base, un tegumento superficiale di cui rispettivamente l’economico e l’inconscio si coprono, traendolo dalla propria sostanza, come certi molluschi  cavano dal proprio interno il calcare che s’incrosta all’esterno, coprendoli. […] Ciò che agisce sull’economico e sull’istintivo, rispettivamente per Marx e per Freud, non riesce a celare, malgrado ogni sotterfugio, la sua originaria natura economica e istintiva. Per quanto ci si elevi, si resta sempre, per l’uno e per l’altro, nel circolo dell’economico e dell’istintivo… [Quanto al pansessualismo di Freud, inutili sono le poteste del maestro circa un fraintendimento della sua dottrina]. “Non rendetevi colpevoli dell’ingiustizia che si commette troppo spesso contro la psicanalisi – ammonisce il maestro – rimproverandole di negare una cosa, per la sola ragione che ne afferma un’altra”. Con tutta la buona volontà di dargli atto delle più oneste intenzioni, si è costretti a constatate che sono pure parole di Freud quelle che si leggono a conclusione dell’opera “Totem e Tabù”: “Nel complesso di Edipo si trova al tempo stesso  l’origine della religione, della morale, della società e dell’arte, e ciò in pieno accordo coi dati della psicanalisi che vede in questo complesso il nucleo di tutte le nevrosi”. Tutte le sue opere sviluppano questa conclusione, dimostrando che “la religione è una specie di nevrosi ossessiva”; che la società la quale pure, con i suoi divieti e le sue repressioni, ha tanta parte nel determinare la rimozione degli istinti, non è nata da una disposizione umana alla benevolenza, ma dal parricidio originario con cui l’orda ha sfrenato il suo istinto incestuosa e dal conseguente sentimento di colpa che ha indotto a venerare il padre e a “introiettarlo” quale principio del’autorità umana e divina; che nessuno dei nostri sogni va esente da una efflorescenza sessuale, immaginosamente travestita a dissimulare la sua origine inconfessabile; che la filosofia è la “libido” fissata nella sua fase narcisistica; che il giudizio logico è, in quanto affermativo, il succedaneo dell’unione erotica e, in quanto negativo, la conseguenza dell’espulsione propria dell’istinto distruttivo; che l’arte è, anch’essa, una forma d’introversione di origine neuropatica, in modo che il freudiano Stekel si sentirà autorizzato all’affermazione: “Se non ogni neuropatico è un poeta, ogni poeta è neuropatico”. […] Se una sola attività dello spirito uscisse salva da questa rivoluzione sessuale di Freud, noi potremmo stabilire in essa lo spazio di quella “cosa” che egli non intende negare, mentre ne afferma tante altre. Ma poiché l’inventario freudiano esaurisce tutte le attività dello spirito, tutte ridotte alla matrice sessuale, non ci è possibile scoprire nessun settore dell’attività umana in cui possano scaricarsi le buone intenzioni moralistiche del maestro.»

 

Il vicolo cieco in cui si dibatte il freudismo consiste , dunque, in questo; che, da un lato, stabilisce come una verità dogmatica che l’inferiore (l’inconscio) domina ossessivamente sul superiore (la coscienza e il super-io), dall’altro ammette che il superiore deve imporsi all’inferiore, pena la distruzione della società e il trionfo del caos e di quella che lo stesso Freud, parlando con Jung e invitando il già recalcitrante discepolo a condividere la sua crociata, definiva “la nera marea di fango”. Tuttavia, se la coscienza non è che un epifenomeno del’inconscio, dell’impulso primordiale, degli istinti più bassi, come potrà mai ergersi a giudice e imporre ad esso la propria legge, stabilire su di esso la propria signoria, costruire un mondo ordinato e armonioso, nel quale l’uomo possa trovare e realizzare la sua più autentica dimensione? Non sarà l’uomo condannato a una eterna nevrosi, a un eterno conflitto con se stesso e coi suoi simili, a una eterna infelicità, dato che il suo destino è quello di ondeggiare, come un pendolo, fra la vergogna e il senso di colpa per le proprie pulsioni inferiori e la repressione o la censura esercitate dalla “civiltà”?

Freud, come Machiavelli – cui somiglia per l’amaro pessimismo antropologico e soprattutto per l’orizzonte rigidamente naturalistico dell’agire umano – non ammette un principio d’ordine superiore, perché dà per scontato, invero senza prendersi la briga di dimostrarlo (e in ciò è cattivo filosofo, se pure lo si voglia considerare un filosofo) che l’uomo possa e debba bastare a se stesso; che non vi sia nulla al di sopra dell’uomo, nulla al di sopra della natura; che l’uomo debba salvarsi con le sole proprie forze, oppure perire.

Ma, esattamente come Machiavelli – e come Marx – Freud rimane invischiato in una inestricabile contraddizione: se manca un principio d’ordine superiore, come potrà l’uomo, preda di così bassi impulsi, redimersi da se stesso? Se la stoffa di cui è fatta la natura umana è così meschina, da dove verrà fuori il Principe machiavellico, capace di imporre l’ordine e la legge ai suoi consimili vili, riottosi, gonfi d’invidia, di malizia, di cupidigia? E come farà la civiltà moderna a creare gli anticorpi all’elemento inferiore, di per sé assolutamente distruttivo, rappresentato dall’istinto sessuale, teso solo e unicamente al proprio soddisfacimento, anche passando sopra il cadavere del padre, pur di realizzare l’incesto con la madre?

In altre parole: se Freud, come Machiavelli, pretende di guardare solo alla “verità effettuale” della cosa, e se stabilisce, a priori, che tale “verità effettuale” è di ordine inferiore, ossia un istinto sessuale e omicida imperioso, travolgente, assolutamente cieco, allora da dove verrà la salvezza? Forse dallo psicanalista, freddo sacerdote di una religione senza Dio, che ascolta il paziente dietro congruo compenso e gli dispensa l’eterna storiella di Edipo, senza mai rischiarare il suo orizzonte di speranza con la luce di un principio d’ordine superiore?