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Mito, Utopia e realtà del Pluriverso

di Leonid Savin - 25/02/2014

Fonte: millennivm


LeonidSavin1

Affinché sia possibile tracciare il profilo futuro dello spazio geografico mondiale all’interno delle prospettive di lotta rivoluzionaria e di ideologia politica, dobbiamo premettere una chiara struttura metodologica.

La mia tesi è piuttosto semplice ed è basata su una affermazione di Georges Sorel a proposito della dicotomia tra formazioni politiche e sociali. Egli le divide in due tipologie: (1) quelle che presentano un mito come fondamento della loro ideologia, e (2) quelle che fanno appello ad idee utopistiche. Egli attribuiva la prima categoria al socialismo rivoluzionario, dove i veri miti rivoluzionari non sono descrizioni di fenomeni, ma l’espressione della volontà umana. La seconda categoria comprende i progetti utopistici, che egli attribuiva alla società borghese ed al capitalismo.

Contrariamente al mito, con le sue caratteristiche irrazionali, l’utopia è un prodotto dello sforzo mentale. Secondo Sorel, è l’opera di teorici che tentano di creare un modello con il quale analizzare la società esistente, e di soppesare il bene ed il male all’interno di essa. L’utopia comprende una serie di istituzioni immaginarie, ma offre anche abbondanza di chiare analogie ad istituzioni reali.

I miti ci incoraggiano a combattere, mentre l’utopia punta a riformare. Non è un caso che alcuni utopisti, dopo aver conseguito esperienza politica, spesso siano diventati abili statisti.

Il mito non può essere confutato, dal momento che viene ritenuto una credenza della comunità ed è quindi irriducibile. Le utopie, tuttavia, possono essere ponderate e rigettate.

Come sappiamo, le varie forme di socialismo, sia alla sinistra che alla destra dello spettro politico, furono veramente edificate su miti, come prontamente evidenziato nelle opere di coloro che le sostennero. È sufficiente ricordare “Il mito del XX secolo” di Alfred Rosenberg, che divenne un apologeta del Nazismo in Germania.

Al polo opposto del socialismo scorgiamo a sua volta un fondamento mitologico, benché venga analizzatopost-facto. Persino mentre Marx affermava che il proletariato non necessita di miti che sono disintegrati dal capitalismo, Igor’ Šafarevič ha dimostrato in modo definitivo il collegamento dell’aspettativa escatologica della prima Cristianità col socialismo. La Teologia della Liberazione (Teología de la liberación) in America Latina a sua volta conferma la forte presenza del mito all’opera all’interno del socialismo a sinistra nel XXI secolo.

Se parliamo in termini di seconde e terze teorie politiche che hanno combattuto con il liberalismo,  è pertinente richiamare l’osservazione di Friedrich von Hayek, che nella sua opera “La via della schiavitù” annota: “nel febbraio 1941, Hitler sentì la necessità di affermare in un discorso pubblico che Nazionalsocialismo e Marxismo erano in sostanza la stessa cosa”.

Certamente, questo non diminuisce l’importanza del mito politico moderno, e inoltre spiega l’odio verso di esso esibito dai rappresentanti del liberalismo moderno. Così, le alternative politiche; la Nuova Destra, l’Indigenismo, l’Eurasiatismo, presentano una nuova minaccia totalitaria per i neoliberali. I liberali, sia classici che neo-, ci negano i nostri ideali, perché essi pensano che siano in larga misura di carattere mitologico e quindi non possano essere tradotti nella realtà.

Torniamo all’utopia. La politica economica liberale, come giustamente osservato da Sorel, è, essa stessa, uno dei migliori esempi di pensiero utopistico. Ogni rapporto umano è ridotto alla forma di scambio del libero mercato. Questo riduzionismo economico è presentato dagli utopisti liberali come la panacea per conflitti, incomprensioni e per ogni forma di stravolgimento che si presenta nelle società.

La dottrina utopistica emerse dalle opere di Tommaso Campanella, Francesco Bacone, Tommaso Moro e Jonathan Swift, così come da filosofi-liberali, com’è il caso del leader dei radicali in Inghillterra, Jeremy Bentham. L’incarnazione dell’utopia fu eretta dapprima, dai suoi seguaci, su una rigida normativa di regole, la quale includeva allo stesso tempo la violenza come forma di coercizione sui suoi cittadini. In seguito si commutò in espansione coloniale, permettendo  l’accumulo di capitale e la creazione di un unico cosiddetto “standard di civiltà” per gli altri paesi. In seguito l’utopismo liberale si spinse ancor più lontano, diventando, nella parole di Bertram Gross, “fascismo dal volto amico”, per il fatto che iniziò ad istituzionalizzare dominazione ed egemonia attraverso un regime di leggi internazionali e di regolamentazioni. A questo punto, l’utopia liberale è diventata essa stessa un mito moderno: tecnocentrico, razionale e totalitario; castrando la prima idea utopistica di una società giusta e rimpiazzandola con materialismo e normative utilitaristiche, diventando, effettivamente, una distopia.

Nel caso di entrambe le società, mito-centriche ed utopiche, consistentemente attuate attraverso la legislazione, l’economia, la filosofia e la politica, vi fu un considerevole errore nel tentativo di estendere il modello globalmente. Fascismo e Marxismo tramontarono storicamente per primi, tuttavia, è ora il turno del liberalismo di essere messo in discussione, come previdentemente annotato da John Lukács nella sua opera “The End of the 20th century and the end of the modern era” (La Fine del XX secolo e la fine dell’era moderna) circa 20 anni fa.

Sia il mito che l’utopia estrassero la loro forza dal mondo pluriversale, omogeneizzandolo ed allo stesso tempo distruggendo la sua abbondanza di culture e visioni del mondo. Il Pluriverso fu la realtà dove la sovrastruttura dell’Utopia fu plasmata. È inoltre dove stratificazioni mitologiche furono stimolate da determinate forze nell’era moderna, e finalizzate ad implementare violenti progetti storici.

Dentro la realtà del Pluriverso c’è posto sia per il mito che per l’utopia, se sono limitati ad un determinato spazio con precise caratteristiche di civiltà e separati l’un l’altro da confini geografici. Il mito può essere realizzato nella forma di una teocrazia o di un impero futurologico. Un’utopia potrebbe allo stesso tempo essere protesa verso una tecnopoli biopolitica, o un crogiolo delle nazioni, ma separatamente da ordinamenti mito-centrici.

Carl Schmitt suggerì la costruzione ed il riconoscimento di questi “Grandi Spazi Politici” indipendenti, oGrossraum. La formazione di questi spazi richiederebbe un progetto globale pluriversalistico, attraente i miti caratteristici e le fondamenta culturali di varie popolazioni, che possono essere diversificate in tanti modi, ma che devono avere un prerequisito in comune – la decostruzione della sovrastruttura della nascente utopia neoliberale.

Traduzione di Rossano Artioli