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L’immortalità della famiglia Agnelli

di Antonio Aventaggiato - 26/02/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


Gli Agnelli passarono prima dal gruppo Bilderberg (assieme ai loro rappresentanti politici De Gasperi e Fanfani), poi nella Trilateral Commission. Fino, come si è già detto, all’ultimo decennio del Novecento e all’ascesa di Berlusconi, che seppe assumere in prima persona le redini del grande capitalismo italiano e costringere ad un ruolo secondario gli Agnelli. Questi, tuttavia, finito il ventennio, hanno saputo riallacciare i fili col mondo politico, e nel 2013 sono stati tra i principali sostenitori e finanziatori di Mario Monti

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La recente ristrutturazione aziendale, che ha permesso alla Fiat di perdere le sue caratteristiche di impresa di carattere nazionale con interessi e legami esteri, ed assumere una struttura multinazionale vera e propria, ha avuto anche il compito di riportare alla luce uno dei pilastri del sistema capitalistico italiano: la famiglia Agnelli. Sembra infatti essere, proprio il 2014, l’anno in cui questa colonna portante della classe dominante italiana è potuta ritornare in scena, da protagonista,  dopo il ruolo di riserva a cui era stata costretta nel ventennio berlusconiano. E non è un caso che il recupero di concorrenza sul mercato nazionale ed internazionale sia stato attuato proprio quando più forte è stata la pressione degli organismi capitalistici internazionali sul sistema politico italiano: è stato, infatti, proprio il governo Monti a porre le basi affinché gli Agnelli, che da oltre un secolo possiedono, in Italia, un monopolio, seppur in regime di libera concorrenza, nel settore automobilistico, potessero tornare a svolgere un ruolo di primo piano. La storia di questa famiglia (e della struttura di potere ad essa legata), però, non è legata esclusivamente alla Fiat, ma incomincia da prima della fondazione stessa della casa automobilistica torinese.

Gli Agnelli, nell’ultimo decennio dell’Ottocento, avevano alle spalle una già definita tradizione imprenditoriale, legata soprattutto ai settori manifatturiero e speculativo, che contraddistinguevano la struttura economica delle regioni settentrionali d’Italia antecedentemente la prima industrializzazione di massa del primo Novecento. In quegli anni, quindi, agli Agnelli non spettava che un ruolo di secondo piano nell’ancora prematuro e precapitalistico sistema economico italiano. E’ proprio con l’acquisizione della Fiat (un’operazione, in realtà, ancora legata a tanti dubbi riguardo la legalità dei vari momenti della vendita) che gli Agnelli avviano quel processo che li porterà ad assumere un ruolo fondamentale nel sistema sociale italiano. Tuttavia, è con il fascismo che comincia a prendere forma una delle caratteristiche fondamentali della struttura di potere messa in atto dagli Agnelli: lo stretto rapporto con le istituzioni e il mondo politico. E’ proprio tra il 1915 e il 1930 che alla Fiat è concesso, anche attraverso ingenti commesse da parte del governo italiano, un rapido sviluppo. Giovanni Agnelli, dal canto suo, sarà uno degli alleati di punta del governo mussoliniano, ricevendo in favore sia la garanzia necessaria per poter portare avanti la propria politica fortemente antioperaia e antisindacale, sia una legislazione che permise alla Fiat di assumere il ruolo di monopolio. Ma, a favorire maggiormente, negli anni del fascismo, la famiglia Agnelli è indiscutibilmente il sistema di collusione tra grande industria e sistema bancario permesso da Mussolini e dall’apparato di regime. Dallo stesso governo furono infatti insediati, a capo degli istituti bancari nazionalizzati, gli uomini di vertice del grande capitalismo italiano (compreso Giovanni Agnelli) che poterono così avere mano libera nell’adoperare i depositi bancari per finanziare le proprie società.

Non è un caso, infatti, che uno dei massimi gradi di sviluppo raggiunti dalla Fiat fu realizzato proprio tra la prima e la seconda guerra mondiale. Un’attenta politica trasformistica e un adeguato livello di commistione politica permisero agli Agnelli di superare indenni le purghe antifasciste del dopoguerra e di poter continuare a guidare le fila della classe dominante italiana. Gli accordi siglati, più o meno apertamente, che permisero agli Agnelli di continuare nella propria opera, furono stretti essenzialmente con la Democrazia Cristiana, ma non soltanto; i principali sindacati e lo stesso Partito Comunista furono più volte obbligati a cedere di fronte ad una struttura di potere tanto rilevante nel contesto nazionale. Intanto, gli Agnelli e i loro rappresentanti di vertice (ieri Valletta, oggi Marchionne) entrarono a far parte delle più importanti organizzazioni internazionali famose per la propria capacità di influenza su governi e strutture politiche: cronologicamente, gli Agnelli passarono prima dal gruppo Bilderberg (assieme ai loro rappresentanti politici De Gasperi e Fanfani), poi nella Trilateral Commission. Fino, come si è già detto, all’ultimo decennio del Novecento e all’ascesa di Berlusconi, che seppe assumere in prima persona le redini del grande capitalismo italiano e costringere ad un ruolo secondario gli Agnelli.

Questi, tuttavia, finito il ventennio, hanno saputo riallacciare i fili col mondo politico, e nel 2013 sono stati tra i principali sostenitori e finanziatori di Mario Monti (insieme ad altri influenti rappresentanti del sistema capitalistico italiano, da Montezemolo a Della Valle fino a Tronchetti Provera). Il recente accordo che ha sancito la trasformazione di Fiat (e della rete di potere degli Agnelli) in una efficace struttura multinazionale coincide appunto con un periodo di rinascita confermato, quasi simbolicamente, dalla partecipazione di John Elkann alla European Roundtable of Industrialists, insieme ad altri nomi noti della classe dominante italiana ed internazionale, come Paolo Scaroni, Carlo Bozotti e Rodolfo De Benedetti, figlio del più noto Carlo.