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Le mille incognite del referendum indipendentista scozzese

di Mauro Indelicato - 26/02/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


Se la Scozia decide di stare sola, automaticamente anche i movimenti nazionalisti gallesi inizierebbero ad acquisire molto più credito e popolarità; per non parlare poi, delle conseguenze che avrebbe tutto ciò sull’Irlanda del Nord, lì dove gli scontri tra indipendentisti ed organismi dello stato proseguono da almeno quattro decadi.

scotia

Regno Unito mai stato così diviso; la denominazione con cui attualmente si indica la Gran Bretagna, mai come adesso si presta a curiosi giri di parole. La “union jack”, la bandiera in comune tra Inghilterra e Scozia, potrebbe perdere la sua croce di Sant’Andrea a favore della permanenza soltanto dello stemma inglese, già a settembre.

Ma non è solamente una questione di bandiere, in mezzo a questa intricata vicenda c’è molto di più. Dalla storia, ai sentimenti etnici, dall’economia alla rivendicazione di uno stato scozzese che torni a scorporarsi dalla Corona di Londra. Lo si deciderà a settembre, quando gli scozzesi in un apposito referendum, saranno chiamati ad esprimersi sul proprio destino e non sarà un qualcosa di poco conto, visto che di fatto si deciderà il futuro assetto del loro paese, dell’isola britannica e forse anche, se l’esito decreterà Edimburgo nuova capitale d’Europa, incoraggerà diverse regioni del vecchio continente ad intraprendere la via dell’autodeterminazione.

Eppure, da Londra avevano preso sottogamba l’intero iter referendario; dopo aver accordato con il governo scozzese tempi e modalità del referendum, dalla capitale inglese sono pervenute poche indicazioni e poche intromissioni circa il dibattito locale tenuto nell’elettorato scozzese. Una strategia, votata alla prudenza e dettata dalla convinzione che quello del PNS, il Partito Nazionalista Scozzese (che ha la maggioranza assoluta nel parlamento di Edimburgo), fosse soltanto un velleitario tentativo volto ad attirare attenzione e pubblicità. Ma adesso, la questione inizia a farsi molto più seria alla luce degli ultimi sondaggi, che vedono ancora in testa il “NO” all’indipendenza, ma con una differenza in termini percentuali sempre più sottile.

Che da Londra si inizia a fremere ed a temere che questa volta davvero Edimburgo abbia imboccato la strada giusta per mettere fine all’unione dei due regni, stabilita dagli accordi del 1707, lo dimostrano le ultime iniziative non solo del governo di Cameron e dello stesso David Cameron, ma anche le nette prese di posizioni di tutti e tre i principali partiti del parlamento di Westmister, ossia i conservatori, gli alleati liberaldemocratici ed i laburisti.

Tutte e tre le compagini politiche, per la prima volta da quando nell’ottobre 2012 è stata fissata la data del referendum, sono intervenute in maniera netta nel dibattito, sostenendo una posizione negativa circa il quesito ed iniziando anche ad effettuare qualche tour in terra scozzese, cercando di convincere la popolazione che, pur essendo giuste le rivendicazioni storiche, etniche e culturali, il mantello protettivo della Union Jack è ancora pronto ad avvolgere anche gli scozzesi. Proprio ad inizio anno, tra Edimburgo e Londra sono iniziate le prime schermaglie e le prime provocazioni, segno che anche dalle rive del Tamigi gli echi della campagna referendaria iniziano a muovere determinate pedine in campo.

Ad aprire le danze, sono stati proprio i tre partiti prima citati, i quali hanno tenuto, lo scorso 14 febbraio, a ribadire un concetto: se la Scozia vira verso l’indipendenza, non avrà la Sterlina. Una brusca sterzata nelle relazioni tra i due paesi principali del Regno Unito, del tutto all’opposto rispetto ai toni rispettosi che hanno portato all’accordo sulla data delle elezioni referendarie.

La Sterlina sembra essere la prima arma usata da Londra verso Edimburgo, da cui però a sua volta il vice premier scozzese, Nicola Sturgeon, ha replicato con un’altra arma non meno delicata, ossia il debito: “Se non vogliono l’unione monetaria – ha spiegato alla BBC – allora vorrà dire che Londra si accollerà l’intero debito del Regno Unito”, che fino ad adesso, è bene ricordarlo, è diviso proprio tra Inghilterra e Scozia.

La settimana scorsa, è toccato al primo ministro David Cameron in persona recarsi in Scozia, precisamente in quei luoghi che potrebbero diventare un altro pomo della discordia in caso di indipendenza scozzese, ossia le piattaforme petrolifere del mare del Nord. Qui si estrae gran parte dell’oro nero europeo ed in caso di esito positivo del referendum, queste miniere di energia e di introiti, sarebbero posizionate in acque territoriali scozzesi. Una bella grana per Londra, che rischierebbe di perdere importanti fonti di approvvigionamento energetico ed economico.

Da queste piattaforme, Cameron ha lanciato un nuovo appello ai sempre più indecisi scozzesi: “Nelle sfide del mondo di oggi, stare tutti uniti all’interno di uno stato forte è la scelta più saggia”, un incoraggiamento a favore del NO all’indipendenza scozzese, che assomiglia molto ad un campanello di allarme circa le preoccupazioni di Westmister.

Sterlina, petrolio, debito, davvero tante le questioni in ballo, ma un altro fronte è pronto ad aprirsi se ad Edimburgo si ammaina per sempre la Union Jack, ossia quella della tenuta dell’intero Regno Unito. Se la Scozia decide di stare sola, automaticamente anche i movimenti nazionalisti gallesi inizierebbero ad acquisire molto più credito e popolarità; per non parlare poi, delle conseguenze che avrebbe tutto ciò sull’Irlanda del Nord, lì dove gli scontri tra indipendentisti ed organismi dello stato proseguono da almeno quattro decadi. Addirittura, pare che anche un movimento separatista della Cornovaglia, una delle contee più spiccatamente inglesi, sia in fase di formazione. Dunque, se la Scozia si tira fuori dal Regno Unito, tale regno rischierebbe di sfaldarsi nel giro di poco tempo.

E poi, da non sottovalutare infine l’influenza che avrebbe la vittoria del SI al referendum scozzese sul resto d’Europa: di fatto, Edimburgo suonerebbe da precedente storico molto importante per catalani, baschi, bretoni, corsi, sardi e per i tanti popoli che nel vecchio continente vorrebbero diventare indipendenti. Il 14 settembre 2014 quindi, occhi puntati sulla Scozia: da lì, si potrebbe capire molto circa i futuri assetti della futura Europa.