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Tymoshenko e Khodorskovsky, quei lupi spacciati per agnelli

di Federico Capnist - 26/02/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


La signora Tymoshenko sta ai diritti civili così quanto i suoi capelli biondi stanno a Madre Natura; finzioni che però fanno la loro figura e contribuiscono alla costruzione di un falso mito – quello della donna pura, forte, bella, elegante – di cui si ha un disperato bisogno quando si combattono determinate battaglie politiche; proprio come lo sguardo dolce con cui viene spesso ritratto l’ex magnate russo Khodorkosvky, noto ai più come l’agnello sacrificale del “crudele” Putin e sul quale torneremo fra qualche riga.

Photo: © Europen Parliament/P.Naj-Olearipietro.naj-oleari@europarl.europa.eu


Yulia Tymoshenko, la “signora di Kiev”, come è stata ribattezzata da monsieur Bernard Henry Levy – prontamente accorso in piazza Maidan a portare ai rivoltosi il sostegno dell’intelligentsia europea asservita agli Stati Uniti – è tornata libera. L’ex premier ucraina con la sua celebre treccia a mo’ d’aureola che la fa somigliare ad una santa bizantina, riassapora la libertà e per il momento può tornare a sostenere a gran voce i princìpi messianici che se lei ha calpestato più volte per farsi largo nella palude ucraina post comunista, sembrano almeno aver ottenuto l’effetto di inebetire media e politici europei. Spingendo addirittura questi ultimi ad aver decretato il suo rilascio dal carcere come condicio sine qua non per rintavolare gli accordi di associazione fra Ucraina e UE. E pazienza se il carcere, probabilmente, se lo meritava per davvero. Ma come spesso accade, ciò che ci viene propinato non rappresenta esattamente la verità storica dei fatti.

La signora Tymoshenko sta ai diritti civili così quanto i suoi capelli biondi stanno a Madre Natura; finzioni che però fanno la loro figura e contribuiscono alla costruzione di un falso mito – quello della donna pura, forte, bella, elegante – di cui si ha un disperato bisogno quando si combattono determinate battaglie politiche; proprio come lo sguardo dolce con cui viene spesso ritratto l’ex magnate russo Khodorkosvky, noto ai più come l’agnello sacrificale del “crudele” Putin e sul quale torneremo fra qualche riga.

Ribattezzata la “principessa del gas” negli anni ’90 per l’abilità nel campo degli affari che la portò ad essere la donna più potente d’Ucraina, l’oligarca Yulia Volodymyrivna (il suo patronimo) s’infatuò dell’Occidente quando le generose offerte delle compagnie petrolifere e, in seguito, delle ONG sostenute da alcuni importanti finanzieri d’oltreoceano, la portarono a sostenere un lento scivolamento del suo Paese verso la Nato e l’Unione Europea. La scelta russa di riallineare i prezzi del gas annullando i generosissimi sconti che caratterizzavano le forniture di Gazprom a Kiev sino a quel punto – quale rappresaglia per la minaccia di adesione al Patto Atlantico ed all’estromissione della flotta moscovita dalla base di Sebastopoli che prospettavano scenari catastrofici per Mosca – portò la Tymoshenko ad alzare la voce e soprattutto le royalties per il passaggio del prezioso combustibile diretto verso l’Europa. Tutto questo non avvenne, come si può ben dedurre, alla luce del sole. E così la dilagante corruzione, il peculato, l’appropriazione di gas russo rivenduto poi tramite compagnie compiacenti e la messa all’asta della dignità del suo Paese di cui si macchiò la finta bionda, portarono non solo alla celebre interruzione delle forniture di gas nel gennaio 2009 da parte della Russia, ma anche al contestuale avvio dei due nuovi gasdotti (North Stream e South Stream) verso l’Europa per aggirare l’inaffidabile Ucraina, la “rivoluzione arancione” a naufragare e la pasionaria Yulia in carcere. La quale diventò, sin da subito, una paladina della libertà in quanto facente gli interessi occidentali e argine al ritorno in auge della Russia, perenne spauracchio atlantico, Guerra Fredda o no.

Questo, in poche parole, per capire come talora questi “campioni di democrazia e libertà” altro non siano che marionette, spesso criminali, nelle mani di giganteschi interessi stranieri miranti a destabilizzare intere nazioni per impedirne la crescita e appropriarsi, simultaneamente, delle loro risorse. Dipinti grazie a compiacenti scrittori e giornalisti di grande fama, come il suddetto BHL, come agnelli invece che lupi. Il caso di Michail Khodorkovsky non è in fondo, molto diverso, anzi. Colui che per anni è stato definito “prigioniero politico” alla faccia di quanto decretato persino dalla Corte Europea per i Diritti Umani – e cioè che nella sua prigionia c’era poco di politico e molto di sostanziale – era in realtà uno spregiudicato oligarca; arricchitosi in maniera abnorme all’indomani della caduta del comunismo grazie al vuoto di potere ed alle colpe di Eltsin e che si è lasciato dietro di sé una scia di furti, corruzioni, attentati all’integrità territoriale del suo Paese e, per quanto non vi siano sentenze in merito, molto probabilmente anche diversi omicidi.

Il paladino dei media occidentali voleva svendere le riserve di petrolio e gas della Siberia, detenute all’epoca dalla sua Yukos, agli Stati Uniti; provocando l’ingresso americano in Russia dalla porta principale e un risultato che sul lungo termine sarebbe stato disastroso per il paese eurasiatico. In un’epoca, ricordiamolo, sul finire degli anni ’90 del secolo scorso, in cui l’allora Segretario di Stato americano Albright non trovava giusto che la Russia avesse una simile estensione ed una tale ricchezza di materie prime; un sinistro monito di possibili azioni per balcanizzare il suo territorio e depredarlo. Siamo proprio sicuri che sia il vituperato Putin, l’uomo che ha salvato la Russia da simili personaggi (e abbiamo omesso il criminale oligarca Berezovsky, che oltre a spogliare il suo Paese di risorse fomentava gli attentati terroristici in casa propria) il cattivo di turno?