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Repubblica italiana

di Lorenzo Parolin - 09/03/2014


 


 

 

In passato era in uso stipulare il contratto di mezzadria, e ciò avveniva tra un “padrone” che possedeva un fondo agricolo ed un gruppo familiare che si obbligava a lavorarlo. Il fondo era già organizzato per la coltivazione e dotato di una casa colonica, della stalla e dei magazzini necessari per l’esercizio dell’impresa agricola. Il bestiame, gli attrezzi, le sementi, i fertilizzanti e le spese di conduzione venivano messi in parti uguali e, allo stesso modo, venivano poi divisi i prodotti. E se veniva la grandine si spartivano a metà anche gli effetti di quella.

La legge 756 del 15 settembre 1964, avendo riconosciuto in questo contratto un capestro per il mezzadro, ne vietò la stipula di nuovi e mitigò quelli in vigore assegnando almeno il 58% degli utili al disgraziato che lavorava.

Oggi, invece, poiché abbiamo fatto notevoli progressi, il "disgraziato" deve comperarsi il terreno, costruirsi i fabbricati, acquistarsi i macchinari e le materie prime tutto da solo. E dopo aver lavorato come un asino si trova nelle tasche lo Stato che, da padrone, gli spilla più della metà del guadagno ancor prima che gli utili siano stati incassati. E se qualcuno gli ha tirato un bidone e non l’ha pagato, peggio per lui!

Come la chiameresti tu questa nuova forma di schiavitù? Dalle pure un nome!

A quel mezzadro che di nascosto prelevava dal mucchio qualche sacco di pannocchie prima che il granoturco fosse diviso io avrei detto: “Un sacco ancora, senza vergogna!”

[rif. www.lorenzoparolin.it  L1/2]