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Crimea, minacce a vuoto

di Michele Paris - 18/03/2014



I percorsi sempre più divergenti della Russia e dei governi occidentali sulla crisi in Ucraina sono apparsi evidenti anche nella giornata di lunedì dopo l’annuncio dei risultati ufficiali del referendum andato in scena domenica in Crimea. Un’affluenza superiore all’83% e una maggioranza di quasi il 97% a favore dell’ingresso della penisola sul Mar Nero nella Federazione Russa, hanno assestato un grave colpo alla credibilità del nuovo regime golpista installato a Kiev, spingendo i suoi sponsor in Occidente a prendere provvedimenti di emergenza per provare a evitare una ormai probabile “annessione” da parte di Mosca.

Da parte loro, dopo la chiusura delle urne e la diffusione dei risultati, le autorità della Crimea non hanno perso tempo a lanciare un appello alla Russia. Il Consiglio Supremo della Crimea ha infatti adottato una risoluzione con la quale viene chiesta l’ammissione nella Federazione Russa con lo status di repubblica. La suddivisione amministrativa della Russia prevede attualmente 21 repubbliche, la cui denominazione è assegnata generalmente ad entità composte in prevalenza da etnie non russe.

Da Mosca sono giunti segnali confortanti per la maggioranza russa di Crimea, con ad esempio il presidente della Camera Bassa del Parlamento, Sergei Naryshkin, che ha assicurato che il suo paese “farà la propria parte rapidamente e in maniera responsabile”. Il presidente Putin ha poi messo la propria firma su un decreto che riconosce la Crimea come uno stato “sovrano e indipendente”. Secondo l’agenzia di stampa ufficiale ITAR-Tass, inoltre, nella giornata di martedì lo stesso Putin parlerà di fronte al Parlamento russo, forse per annunciare l’accettazione della Crimea nella Federazione Russa.

Nonostante il muro contro muro, sottolineato dall’ennesima telefonata infruttuosa di domenica tra Obama e Putin, la Russia continua a mostrarsi tutt’altro che indisponibile a trattare, come confermano i punti, resi noti lunedì dal ministero degli Esteri, sui quali dovrebbe basarsi un possibile negoziato per la risoluzione della crisi.

Essi includono, tra l’altro, l’assegnazione all’Ucraina dello status di “paese neutrale” attraverso una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la creazione di un’assemblea costituzionale a Kiev per approvare una nuova carta che offra maggiore autonomia alle varie regioni, la reintroduzione del russo come seconda lingua ufficiale e il riconoscimento del voto di domenica in Crimea.

Le proposte, tuttavia, sarebbero già state respinte dall’Occidente e dal governo ucraino. La crisi in Ucraina è stata d’altra parte scatenata dagli Stati Uniti e dai loro alleati proprio per sottrarre questo paese all’influenza russa, mentre le nuove autorità di Kiev, subito dopo la deposizione del presidente Yanukovich e sotto l’influenza di movimenti e partiti neo-fascisti i cui esponenti occupano incarichi importanti all’interno del nuovo regime, avevano subito abolito il russo come lingua ufficiale nel paese.

La diplomazia europea, intanto, ha partorito le sanzioni annunciate da giorni indipendentemente dall’esito del referendum di domenica. L’UE ha così pubblicato una lista di 21 cittadini russi e ucraini colpiti dal provvedimento, tra cui il primo ministro e il presidente del Parlamento della Crimea, rispettivamente Sergei Aksyonov e Vladimir Konstantinov.

Sempre lunedì, con un ordine esecutivo lo stesso presidente Obama ha a sua volta annunciato sanzioni contro sette esponenti del governo russo e quattro della precedente amministrazione ucraina, inclusi due consiglieri di Putin, il vice primo ministro di Mosca, Dmitry Rogozin, e il deposto presidente Yanukovich.

Le motivazioni dell’azione statunitense sono state spiegate, apparentemente senza traccia di ironia o imbarazzo, dalla stessa Casa Bianca e sarebbero legate alle presunte responsabilità delle personalità russe colpite dal provvedimento nella violazione “della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina”.

In ogni caso, non solo il Cremlino appare ben poco preoccupato per misure punitive che, per essere efficaci, dovrebbero in primo luogo includere misure dannose per gli stessi interessi occidentali, ma anche i governi che appoggiano il regime di Kiev sembrano riporre poche speranze in un’inversione di rotta da parte russa in seguito all’applicazione delle sanzioni.

Le dichiarazioni rilasciate alla TV tedesca nel fine settimana dal ministro degli Esteri di Berlino, Frank-Walter Steinmeier, sono apparse significative in questo senso. Il politico socialdemocratico ha cioè riconosciuto che la Russia sta facendo i preparativi necessari per “assorbire la Crimea” e gli sviluppi nella penisola non potranno perciò essere cambiati nel breve periodo. Piuttosto, ha aggiunto Steinmeier, l’obiettivo immediato dovrebbe essere quello di evitare che il conflitto in corso non sfoci in un “confronto tra le forze armate russe e quelle ucraine”.

Una simile evoluzione condurrebbe probabilmente ad un pericolosissimo scontro armato tra la Russia e l’Occidente, cosa che molti a ovest dell’Ucraina non sembrano auspicare, a cominciare dalla Germania, la cui economia sarebbe tra le più esposte nel caso i rapporti con Mosca dovessero precipitare definitivamente.

Le reali intenzioni dei governi occidentali rimangono comunque difficili da decifrare, così che il rischio di un aggravamento delle tensioni risulta estremamente concreto. Sempre lunedì, infatti, il nuovo regime di Kiev, che opera in coordinamento con i propri sponsor a Washington, Berlino e Bruxelles, ha presentato in Parlamento una proposta di legge che non fa nulla per contribuire alla distensione.

Il provvedimento chiede al presidente ad interim, Oleksandr Turchynov, di dichiarare lo stato di allerta delle forze armate ucraine e di creare milizie per la difesa del paese, verosimilmente inquadrando le squadre neo-fasciste che hanno combattuto contro le forze di sicurezza nelle scorse settimane. In maniera ancora più provocatoria, potrebbe essere poi sottoposta agli Stati Uniti e alla NATO una richiesta di assistenza militare, mentre dovrebbero essere interrotti i rapporti diplomatici con la Russia e rivisto l’accordo con Mosca per lo stazionamento fino al 2042 della propria flotta nel Mar Nero.

Alcune di queste misure rappresentano una sorta di lista dei desideri degli stessi governi occidentali, le cui mire sull’Ucraina hanno contribuito in maniera determinante all’esplosione della crisi in un paese ritenuto di importanza vitale dalla Russia, smentendo ulteriormente le pretese di questi ultimi di operare soltanto per una soluzione pacifica e condivisa da tutte le parti in causa.

L’aver puntato su forze ultra-nazionalistiche se non apertamente neo-fasciste da parte di Washington e Berlino per avanzare i propri interessi in Europa Orientale, fino alla deposizione illegale di un presidente democraticamente eletto, basterebbe dunque già di per sé a smascherare l’ipocrisia delle dichiarazioni e delle condanne nei confronti di Mosca che stanno circolando in questi giorni. A ciò vanno poi aggiunte le sistematiche violazioni del diritto internazionale di cui gli Stati Uniti in primo luogo si macchiano da decenni in una lunghissima lista di paese.

La denuncia dello smembramento di un paese sovrano dopo il referendum tenuto in Crimea, infine, si scontra ad esempio con la decisione di appoggiare l’indipendenza unilaterale del Kosovo dalla Serbia e l’impulso dato alle divisioni settarie nella ex Jugoslavia negli anni Novanta, sempre con lo scopo di allargare l’influenza occidentale verso l’Europa dell’est.

Che queste contraddizioni vengano puntualmente dimenticate nei resoconti quotidiani dei fatti di Crimea e Ucraina è possibile solo grazie allo sforzo nel manipolare la realtà messo in atto dai media ufficiali in Occidente. Questi ultimi, come sempre, continuano ad agire da cassa di risonanza delle ragioni dell’imperialismo a stelle e strisce, trasformando, nel caso specifico, la Russia nell’aggressore e gli Stati Uniti e i loro alleati negli strenui difensori di una fantomatica “rivoluzione democratica”, portata invece a termine da gruppi armati tra cui spiccano i diretti discendenti dei collaborazionisti ucraini durante l’occupazione nazista nella Seconda Guerra Mondiale.