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Cosa c’entra il Quatar con la crisi del governo Letta?

di Aldo Giannuli - 18/03/2014


Spesso gli analisti sono portati a stabilire rapporti causa-effetto mettendo in relazione eventi che, invece, si sono succeduti casualmente. E’ sempre un rischio presente e conviene sempre sciogliere un po’ di dubbio nelle proprie ipotesi. Soprattutto quando non si abbiano prove certe a sostegno ma solo indizi.  Questo non vuol dire che si debba rinunciare ad avanzare supposizioni da sottoporre a verifica, man mano che gli eventi procedono.

L’importante è chiamare le cose con il loro nome: le ipotesi sono ipotesi e non affermazioni certe. A volte le coincidenze sono casuali ed a volte no. In ogni caso è bene registrarle e studiarle.

E così ho notato una coincidenza: la crisi del governo Letta era nell’aria già da settimane, ma ha subito una brusca accelerazione, quando invece sembrava esserci una schiarita, nel giro di una decina di giorni, durante i quali sono successe due cose: l’uscita del libro di Friedman che ha dato un colpo durissimo a Napolitano, costringendolo  a ritirare il suo patronage a Letta ed il viaggio di quest’ultimo in Quatar. Ovviamente, un viaggio di stato non si improvvisa in due giorni ma richiede qualche preparazione, che, però, in questo caso non deve essere stata remotissima, perché in larga parte determinata dalla disperante crisi dell’Alitalia, per la quale il governo era a caccia disperata di soci.

E, infatti, i quatarini hanno generosamente offerto a Letta una loro partecipazione. Ma, qui fermiamoci un attimo per qualche considerazione più generale.

L’Italia è ancora strategicamente importante essenzialmente per due cose: la rete Telecom che innerva il Mediterraneo (cioè tutto il Mena) e poi, dal Mar rosso prosegue sino alle Filippine ed alla Corea del Sud, e la rete di gasdotti che collega il Nord Africa a tutta Europa: chi arriva al gasdotto siculo-algerino o riesce a connettersi al terminale di Brindisi, è  praticamente arrivato al nord Europa, dalla Francia alla Germania, Danimarca o Polonia.

Come si sa, si stima che le riserve di gas naturale del Quatar siano le maggiori del Mondo; forse non è esattamente così, comunque è certo che si tratti di molta roba. Già nel 2005, l’emiro Hamad bin Khalifa Al Thani propose al governo italiano un gasdotto che lo agganciasse al terminale libico-algerino; opera particolarmente poco costosa, anche perché la gran maggioranza del percorso sarebbe stata costituita da aree desertiche. Ma il governo Berlusconi snobbò la proposta, preferendo l’operazione Southstream con la russa Gazprom che entrò anche pro quota nel gasdotto italio-algerino-libico. Cosa, come si sa, assai poco gradita dagli americani che stavano lavorando al progetto concorrente di Nabucco e che non la perdonarono al Cavaliere, come sappiamo dalle intercettazioni di Assange. E neppure i Quatarini la presero granché bene, se è vero che proprio l’Emirato è stato il massimo finanziatore della guerra di Libia il cui esito finale è stato un secco ridimensionamento della presenza Eni.

Dunque, non pare del tutto infondato il sospetto che nelle giornata quatarine di Letta non si sia parlato solo di Alitalia, ma anche di possibili agganci di gasdotti.

Naturalmente, ci sono due paesi particolarmente controinteressati allo sbarco dei Quatarini nella rete italiana: la Russia ed Israele. Della Russia si capisce facilmente il motivo: se arriva il gas dal Quatar, quello russo deve abbattere i prezzi sul mercato europeo di un buon 30-40%, il che sarebbe una autentica iattura.

Per Israele il discorso non è di natura economica ma politica: il Quatar, non solo è un paese arabo, ma è fra quelli “cattivi” che finanziano i Fratelli Musulmani in Egitto, che non disdegnano di strizzare l’occhio anche verso settori più estremisti e che, per allentare la pressione saudita, sarebbe capace anche di cercare l’intesa con l’Iran. Il tutto con riserve finanziarie che lo mettono in condizione di porre la propria candidatura alla testa del mondo sunnita. Non ci vuol molto a capire  che a Tel aviv si guardi con raccapriccio all’ipotesi di una Europa così dipendente dai rifornimenti energetici di un paese così: il ricordo dello shock petrolifero del Kippur è ancora molto vivo.

Se la memoria non ci inganna, il leader di Forza Italia è molto amico del nuovo zar Vladimir I. E, sempre se la memoria non ci tradisce, fra i più apprezzati consiglieri del giovane Renzi c’è quel tale Yoram Gutgeld che viene proprio da Tel avida e dintorni. E l’intesa fra il giovane Renzi ed il Cavaliere era già decollata a gennaio con l’incontro del Nazareno.

Del giovane Renzi, poi, abbiamo apprezzato la posizione cautissima sulla crisi ucraina, ricca di parole di biasimo per Mosca ma sostanzialmente sfornita di alcuna misura concreta.

Ed allora, è tutto un caso? Può darsi, per carità: tutto è possibile. Ma non vi sembra un discorso da approfondire?

Aldo Giannuli