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Un po' di gustizia per le vittime civili

di Franco Cardini - 18/03/2014

UN PO’ DI GIUSTIZIA PER LE VITTIME CIVILI

Le vittime civili della seconda guerra mondiale sono ricordate, e tale memoria è sacrosanta, soprattutto quando si tratta di vittime delle rappresaglie o della ferocia delle truppe naziste o delle varie milizie paramilitari che in molti paesi le spalleggiavano e che sovente andarono al di là di qualunque possibile giustificazione, restando incomprensibili perfino nella logica brutale della politica razzista dalla quale furono spesso provocate. Ma molte donne, molti vecchi, molti ammalati, molti bambini non furono sempre vittime dei nazisti. E, quando non furono tali, non è raro il caso che siano stati dimenticati. Come successe del resto per molti che furono soppressi all’indomani della fine della guerra, per motivi politici o diplomatici (come i croati consegnati a Tito o gli ucraini e i “russi bianchi” e i cosacchi a Stalin) o per cause spesso dipendenti da vendette o da motivi personali oppure da ferocia di parte, come accadde alle vittime del “triangolo della morte”. Sono troppe le lapidi che ancora non sono state non diciamo collocate, ma nemmeno fuse né incise. Il nostro conclamato “dovere della memoria” soffre ancora di troppe intollerabili amnesie.

Ricorre in questi giorni il settantesimo anniversario della brutale, criminale e svantaggiosa per tutti – perfino per chi la compì – distruzione del venerabile monastero benedettino di Montecassino ad opera di uno scellerato, sconsiderato bombardamento da parte dell’aviazione “alleata”. I tedeschi, che avevano già provveduto a svuotare il venerabile edificio delle sue opere d’arte correttamente consegnate al Vaticano, si asserragliarono in mezzo alle rovine dell’abbazia resistendovi accanitamente anziché ripiegare verso nord come forse avrebbero fatto se quello scempio non avesse loro offerto una nuova opportunità di difesa del territorio. La scelta di portare in salvo le opere d’arte contenute nell’edificio, costosa e rischiosa in un momento come quella, dev’essere soprattutto ascritta al merito del generale comandante delle truppe germaniche generale Frido von Senger und Etterlin, oblato benedettino, che agì peraltro ovviamente con il consenso del feldmaresciallo Kesselring e dello stesso Hitler.

Ma l’episodio di Cassino dovrebb’essere famoso più di quanto non sia anche perché prima e dopo di esso, da quando gli “alleati” erano sbarcati sul litorale di Anzio nel gennaio del ’44, le popolazioni civili dell’area dovettero per lunghi mesi sopportare i soprusi dell’esercito invasore: e in particolar modo le ripetute violenze sessuali da parte delle truppe coloniali marocchine che facevano parte del corpo di spedizione dell’armata gollista francese.

Quando apparve il romanzo La ciociara di Alberto Moravia, e ancor più quando con un bel film nel quale si presentava anche un inedito Jean-Paul Belmondo, emaciato intellettuale, Vittorio De Sica dimostrò che Sofia Loren, oltre che bellissima, sapeva anche recitare – e bene -, nacque un sacco di polemiche a proposito delle scene relative alle violenze perpetrate sulle donne dai soldati marocchini: ed esse ricevettero l’impietoso ma efficace epiteto di “marocchinate”. Di quelle soperchierie si occupò anche la Santa Sede con note severissime.

A proposito del libro di Moravia e del film di De Sica, qualcuno ritenne che accusare le forze angloamericane (insieme alle quali v’erano reparti francesi, polacchi del generale Anders e, appunto, coloniali) di efferatezze, o anche solo di scorrettezze, equivalesse in qualche modo a far l’apologia dei tedeschi, se non addirittura a commettere il delitto di vilipendio alla Resistenza.

Non c’era evidentemente alcuna ragione d’impostare la questione in questi termini demenziali. Vero è tuttavia che un certo atteggiamento manicheo ha impedito a lungo di considerare in termini equanimi le vicende della seconda guerra mondiale: e ne sono scaturite fra l’altro, specie in molti films, scene ispirate a un manicheismo un po’ridicolo, con gli Alleati sempre allegri e gentili e i tedeschi cattivi e isterici. Un po’ come succedeva con i cow boys e i pellerosse prima di films come Il piccolo grande uomo, o Un uomo chiamato cavallo, o Balla coi lupi. In omaggio a questo cliché, che in particolare i partiti della Sinistra consideravano sacrilego violare, fu a lungo nascosta la verità del bombardamento di San Miniato al Tedesco durante il quale era stata parzialmente distrutta la cattedrale, con forti perdite dei civili che ci si erano rifugiati, nell’agosto del ’44: c’era stata un’inchiesta truccata nella quale era andato di mezzo anche il vescovo, una lapide sanciva che la chiesa era stata fatta saltare dai tedeschi per provocare scientemente il massacro e i fratelli Taviani, con La notte di San Lorenzo, avevano perpetuato quella “leggenda nera” nonostante la verità fosse già venuta a galla. Ma c’è voluto del tempo per farla accettare a tutti.

Chi è abituato a darsi allo sport della lettura delle lapidi cittadine - e si tratta di un’abitudine tanto istruttiva quanto divertente – avrà difatti notato che tra quelle che nell’Italia centrale e settentrionale ricordano i fatti del ’44-’45 ve ne sono di due tipi: quelle che commemorano infamie ed eccidi nazisti (e sono certo la maggioranza), che chiamano le cose con il loro nome; e quelle che invece (in minor numero, ma non pochissime) si riferiscono ad esempio ai bombardamenti angloamericani, che in genere denunziano “la furia della guerra”.

Intendiamoci: una spiegazione di questa politica dei due pesi e delle due misure in fondo c’è anche al di là della logica secondo la quale chi vince ha comunque diritto a maggiore indulgenza e chi perde ha sempre torto. Si parte dal principio che, laddove ad esempio una strage per rappresaglia è un’infamia (ancorché, non dimentichiamolo, entro determinati limiti essa sia consentita dalle “convenzioni di Ginevra”), un bombardamento è invece un’azione bellica nella quale purtroppo inevitabilmente vanno di mezzo degli innocenti, tuttavia al di là delle intenzioni di chi ordina l’azione e sgancia le bombe.

Il fatto è che, purtroppo, non è che le cose stiano sempre così. I fatti del Vietnam, e più ancora le lunghe vicende afghane e irakene dal 2001 in poi, ci hanno insegnato che non si tratta sempre e soltanto di “danni collaterali”, secondo un’eufemistica (e ipocrita) giustificazione. Nel 2010 Piero Buscaroli pubblicò per la Mondadori uno “scandaloso” pamphlet, dal titolo Dalla parte dei vinti, nel quale impietosamente elencava una serie di bombardamenti e di “atti di guerra” responsabili dei quali furono gli Alleati durante la seconda guerra mondiale – al di là del purtroppo famoso micidiale bombardamento di Dresda – e che coscientemente, sistematicamente miravano a colpire i civili e i monumenti d’arte delle città tedesche e anche italiane al fine di spargere il terrore e di fiaccare il morale delle popolazioni. In molti casi, fabbriche e nodi ferroviari furono risparmiati e si colpirono invece chiese ed ospedali.

Buscaroli è uno spiritaccio, un bastiancontrario, si disse. Ma le sue scomode denunzie, sottoposte a rigoroso controllo, risultarono esatte. Già due anni prima di lui un celebre giornalista americano, Patrick J. Buchanan, aveva provato nel libro Churchill, Hitler and the unnecessary war (Crown 2008) come il simpatico leader britannico fosse un sostenitore spietato della guerra contro i civili innocenti: “a fin di bene”, ovviamente, cioè per provocare un crollo morale che avrebbe abbreviato il conflitto. Come le bombe che il 20 aprile 1945 rasero al suo Ildesheim, il gioiello dell’arte ottoniana, a titolo di “regalo di anniversario per il Führer” che quel giorno compiva appunto i 56 anni: ma sotto quelle bombe non c’era Hilter, c’erano splendide chiese antiche di un millennio e una popolazione inerme, ormai non più difesa da forze armate che non esistevano più. O come le atomiche su Hiroshima e Nagasaki, “umanitarie” esse stesse…