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La bulimia delle mega dighe

di Luca Manes - 18/03/2014

Fonte: comune-info



Le grandi dighe non solo provocano immensi danni socio-ambientali, ma sono anche profondamente anti-economiche. Secondo uno studio della Oxford University, dedicato a 245 dighe realizzate fra il 1934 e il 2007 in 65 stati, nel 96 per cento dei casi le previsioni di spesa sono state abbondantemente sforate. Eccola una delle cause del debito dei paesi del sud del mondo, di cui oggi non si occupa più nessuno. Naturalmente, Banca mondiale continua a promuoverle
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Dobbiamo costruire altre mega dighe?”. Questo è il titolo di un dettagliatissimo studio appena reso pubblico da un gruppo di ricercatori della Oxford University. Una domanda a cui gli esperti di uno dei più prestigiosi atenei del pianeta danno una risposta secca quanto definitiva: no. Il motivo è presto detto: oltre agli evidenti impatti sociali e ambientali, che hanno prodotto anni di proteste e opposizioni da parte delle comunità locali, costruire grandi sbarramenti sui fiumi di tutto il mondo non conviene dal punto di vista economico. Costano troppo e rendono poco.

Nel rapporto, infatti, si prende in esame l’efficacia dell’operato di 245 dighe realizzate fra il 1934 e il 2007 in 65 stati. Tre quarti delle opere passate dagli studiosi sotto la lente d’ingrandimento hanno sforato le previsioni di spesa in media del 96 per cento. Un record negativo assoluto per tutto il settore infrastrutturale, impianti nucleari esclusi (per questi ultimi si arriva a un impressionante 207 per cento). Proprio questo record così poco auspicabile spesso ha fatto schizzare alle stelle il debito dei paesi del Sud del mondo.

Prendiamo il caso della diga di Tarbela, sorta in Pakistan negli anni Settanta. Il fatto che i costi siano lievitati in maniera considerevole ha determinato un incremento del debito del paese asiatico, che fra il 1968 e il 1984 si è innalzato del 23 per cento. Ancora oggi il Pakistan sta pagando per un’opera come Tarbela, da cui ha ricevuto benefici relativi. Per non parlare della centrale idroelettrica di Itaipù, al confine tra Brasile e Uruguay, per la quale il budget iniziale ha fatto registrare un’impennata del 240 per cento.

Inoltre per metter su una diga ci vogliono in media 8,6 anni. Oltre 2 anni in più di quanto posto in preventivo. Troppi, specialmente per le realtà più povere, dove il contesto economico è spesso in rapido mutamento a causa degli alti tassi di inflazione e di monete molto instabili. Il caso dei paesi africani è del tutto calzante. Eppure proprio nel Continente Nero, per la precisione nella Repubblica Democratica del Congo, si intende dar vita alla colossale diga di Grand Inga. Costo stimato, 100 miliardi di dollari. O giù di lì.

Purtroppo Grand Inga e tutt’altro che un’eccezione. Nel cuore dell’Amazzonia brasiliana il progetto di Belo Monte, tra i più avversati di tutto il globo, è la dimostrazione che non si ha nessuna intenzione di imparare dagli errori del passato, sebbene siano evidenti e ben documentati. Anche per Belo monte si era stabilito che il tetto di spesa fosse intorno ai 14 miliardi di euro. Adesso siamo già arrivati a oltre 27.

La soluzione per evitare altri scempi ambientali ed economici? Per gli esperti c’è, eccome. Basta mettere da parte le grandi dighe – che invece continuano a ricevere il sostegno di varie istituzioni internazionali, Banca mondiale in primis – e affidarsi a progetti su piccola scala e a bassissimo impatto. Ma soprattutto a costi contenuti.