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Il baratro del nichilismo

di Adriano Segatori - 26/03/2014

Fonte: centroitalicum

 

Robert Hughes, l’autore del pregevole saggio La cultura del piagnisteo, riporta un elaborato pensiero di Erode inventato dal poeta W.H. Auden. Il re giudeo, intrinsecamente buono, non era intenzionato ad uccidere il bambino Gesù, però era tormentato dalla visione di profetiche ripercussioni se lo avesse graziato e lasciato vivere: <<Non occorre essere profeti per prevedere le conseguenze…La Ragione sarà sostituita dalla Rivelazione…La conoscenza degenererà in un tumulto di visioni soggettive…L’Idealismo sarà scalzato dal Materialismo…il bisogno delle masse di un Idolo visibile da venerare si incanalerà in alvei totalmente asociali, dove nessuna forma di istruzione potrà raggiungerlo…La Giustizia, come virtù cardinale, sarà rimpiazzata dalla Pietà, e svanirà il timore di ogni castigo. Ogni scapestrato si congratulerà con se stesso: “Sono un tal peccatore che Dio stesso è sceso di persona per salvarmi”. Ogni furfante dirà: “A me piace commettere crimini; a Dio piace perdonarli. Il mondo è davvero combinato a meraviglia”. La Nuova Aristocrazia consisterà esclusivamente in eremiti, vagabondi e invalidi permanenti. Il becero dal cuore d’oro, la prostituta consunta dalla tisi, il bandito affettuoso con la madre, la ragazza epilettica che comunica con gli animali saranno gli eroi e le eroine della Nuova Tragedia, mentre il generale, lo statista, il filosofo diverranno lo zimbello di satire e farse>>.[1]

Una pennellata premonitrice, questa, che trova ampio riscontro nell’epoca corrente, con molta più ampia, diversificata e incisiva penetrazione in tutti gli aspetti personali ed istituzionali della vita sociale.

Auden, per certi versi, preannuncia il passaggio dal ‘sacro’ al ‘religioso’, dall’eroismo aristocratico pagano al pacifismo plebeo cristiano, dalla spiritualità come struttura della coscienza individuale e comunitaria alla fede come credenza personale e comportamento collettivo. Sembra un paradosso, ma con il cristianesimo nasce l’ateismo, una condizione inesistente nell’ordine pagano.

Con l’istituzione della Chiesa, in un certo senso, torna però il rigore dell’antico. Il Cattolicesimo – pur con il distanziamento essenziale e le debite precauzioni – è riconosciuto dallo stesso Evola un parziale erede <<dell’ordinamento pagano-romano: un qualcosa di sommamente contraddittorio, perché tali forme si prestano ad un contenuto, ad un sistema di valori e di fede, che è la contraddizione dello “spirito solare” del paganesimo romano; esse stanno in opposizione a questo spirito>>.[2] La Chiesa Cattolica ha tentato per secoli di mantenere il distinguo tra spirituale e politico, a volte tentando di portare quest’ultimo al primo, cosa inaccettabile per un pensiero ghibellino. In termini simbolici, è la Croce che si deve sottomettere all’Aquila, e non viceversa; mentre nel mondo pagano questo dualismo non esisteva, giacché il sacro permeava la natura in tutte le sue manifestazioni umane, animali, vegetali e materiali, senza soluzione di continuità.

Comunque, un tentativo – seppure maldestro e discutibile – di permeare un certo rigore spirituale nell’organizzazione temporale dello Stato, la Chiesa l’ha fatto.

Il grande cambiamento, la svolta epocale si è manifestata con il Concilio Vaticano II. <<[...] occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi>>, così annunciò Giovanni XXIII all’apertura dei lavori l’11 ottobre 1962. Partendo dalla centralità dell’uomo verso il quale avrebbe dovuto rivolgersi il pensiero religioso, passando per l’apertura della liturgia alle lingue ‘volgari’, riconoscendo il valore di verità alle altre confessioni e ripudiando le stesse Scritture nella negazione della colpa ebraica nella crocefissione – per altro teologicamente e storicamente documentata –, le conseguenze furono il riconoscimento del movimento dei ‘preti operai’, delle cosiddette ‘Comunità cristiane di base’ e i teologi della liberazione che condivisero il pensiero e la lotta marxista.

Da molti punti vista, l’indirizzo di questo Concilio determinò il passaggio della religione cristiana da dispositivo trascendente ad apparato ideologico, sovvertendo i termini stessi del concetto di sacro come di qualcosa dal quale si è distanti, che incombe e chiede lo sforzo di raggiungerlo. Pensiamo alla disposizione logistica della messa attuale: non più il sacerdote che volge le spalle al popolo, all’ecclesia, come un pastore che conduce i presenti verso l’alto, ma un prete che volge le spalle a Dio per abbassarlo e adattarlo alle esigenze della gente. Sacerdote – colui che eleva e conduce al sacro – il primo; prete – colui che abbassa e trascina alla profanazione terrena – il secondo. Non più, in altre parole, il rappresentante del Cristo trionfante che nella persona di Papa Leone fermò i barbari di Attila al Mincio impedendo l’invasione dell’Italia, ma il delegato del Cristo sconfitto con l’insano e grottesco tanatotropismo[3] dell’accoglienza e del vile buonismo che lo porterà a morte annunciata.

Dio è morto!, annunciò il folle al mercato: <<Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io!>>[4], mentre la socioiatria cristiana l’ha definitivamente sepolto. È questo l’odierno, la modernità storicista, relativista e positivista, con il paesaggio demoralizzante denuciato da Jean Daniélou: <<[…] niente è più avvilente che vedere quanti cristiani oggi, in maggiore o minore misura, accettano un concetto di alienazione religiosa che svuota il cristianesimo della sua dimensione trascendente per appiattirlo in un orizzontalismo che vede solo più l’uomo>>[5].

È proprio dalla centralità dell’uomo che è partito il Concilio Vaticano II, ed è a questa centralità animale e vegetativa che arrivano gli esiti della deriva riformista: <<[…] oggi c’è il pericolo di ridurre il cristianesimo al solo servizio del prossimo, svuotandolo della sua dimensione religiosa, considerata ormai come espressione di una cultura desueta. Il cristianesimo viene ridotto ad umanesimo sociale, con colorazione affettiva diversa dall’umanesimo marxista, ma in fondo non sostanzialmente diverso da questo, di modo che, ad un dato momento, il passaggio dal cristianesimo al  comunismo diventa un’operazione che non ha grande importanza e che quasi non rappresenta un problema>>[6].

Le prese di posizione papali, la riduzione della figura del Vicario di Cristo ad inquilino della porta accanto, ha confermato denunce e profezie. La stessa sovversione di “prossimo tuo” da tuo prossimo concreto – secondo Luca, la Bibbia e i Vangeli sinottici – ad un prossimo astratto secondo l’idea eretica di uomo divinizzato, ha privilegiato la retorica dell’accoglienza, scomunicando l’impegno diretto ed esaltando il buonismo piagnone della lontananza e della lacrimosità virtuale.

Giudaismo, comunismo e ateismo relativista hanno impregnato tutto il reticolo mentale e morale della società, innescando meccanismi di colpa nel pensiero comune e paure di emarginazione e di discredito da parte della cosiddetta ‘opinione pubblica’.

Quale idea, allora, che riporti all’antico splendore la Chiesa Cattolica, visto che <<Di “religiosità” astratta e di realismo politico siamo ammalati sin nel midollo>>[7]?

Il ritorno alla concezione gerarchica e sacrale dell’istituzione, che non sia dialogante e giustificante, ma imponente e sacralizzante. Un organismo che ritorni alla funzione creatrice di destino e ordine difensore dei princìpi, in cui Dio sia al centro del discorso e l’uomo un attento e attivo ascoltatore. Un dispositivo che abbia il coraggio della decisione e della scomunica, superando l’atteggiamento masochista e perdente della confusione e della giustificazione. Un apparato di trascendenza che dimostri la potenza di definire gli hostes esterni e gli inimicos interni, in nome e per conto di un Dio che non può accettare patteggiamenti di sorta.

Negoziare con il male era già stato avvistato come resa da Dostoevskij: <<La gentaglia più spregevole aveva avuto il sopravvento, aveva incominciato a criticare tutto ciò che v’è di sacro, mentre prima non osava nemmeno aprir bocca, e quelle stesse persone che fino allora avevano tenuto così’ felicemente la supremazia avevano cominciato a un tratto ad ascoltarla, e loro stesse a tacere: ed altre addirittura a ridacchiare vergognosamente in tono d’approvazione>>[8]. Cosicché, il nichilismo ha vinto, sbarazzandosi di Dio e affermando la propria divinità: <<Se Dio è morto, allora tutto è permesso>>.

E qui siamo, dove tutto è permesso: dalla ‘nuova immacolata concezione’ delle tecniche fecondative alla transvalutazione dell’ordine familiare, dalla promiscuità animale al suicidio assistito minorile. La Chiesa Cattolica, a questo punto, avrebbe un compito memorabile: rifiutare ogni negoziazione con l’ambito temporale e ricostituire l’idea imperiale dello spirito. Perché, come sottolinea Martin Heidegger nell’intervista rilasciata al Der Spiegel il 23 settembre 1966, Dio non è morto, è solo <<contumace>>[9], si tratta, però, di creare le condizioni favorevoli per richiamarlo e metterlo all’opera.



[1] R. HUGHES, La cultura del piagnisteo, trad. it., Adelphi, Milano 1994, pp. 10-20.

[2] J. EVOLA, Imperialismo pagano, Mediterranee, Roma 2004, p. 203.

[3] Cfr. F. NIETZSCHE, L’anticristiano, Edizioni di Ar, Padova 2004.

[4] F. NIETZSCHE, La gaia scienza, trad. it., Mondadori, Milano 1978, 125,  p. 125.

[5] J. DANIÉLOU, La cultura tradita dagli intellettuali, trad. it., Lindau, Torino 2012, p. 51.

[6] Ivi, p. 43.

[7] J. EVOLA, Imperialismo pagano, cit.,  p. 205.

[8] F. DOSTOEVSKIJ, I demoni, trad. it., Mondadori, Milano 1987, p. 470.

[9] M. HEIDEGGER, Ormai solo un Dio ci può salvare (intervista con lo <<Spiegel>>, trad. it., Guanda, Parma 1987, p. 152,