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Panafricanismo: passato, presente e futuro di un continente in transizione

di Francesco Dimiziani - 26/03/2014

Fonte: millennivm


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“Per l’imperialismo è più importante dominarci culturalmente che militarmente. La dominazione culturale è la più flessibile, la più efficace, la meno costosa. Il nostro compito consiste nel decolonizzare la nostra mentalità.” Thomas Sankara

L’integrazione continentale è un progetto arduo, un processo dai risultati tutt’altro che rapidi, e questo lo possiamo ben osservare in tutte le zone del mondo. La lotta che porta avanti l’Africa in tal senso è sintomo dell’ambizione di un Popolo sottomesso per secoli a diventare indipendente prima che formarsi come attore economico internazionale. Un processo apparentemente irraggiungibile, perché si tratta non solo di emanciparsi e d’integrarsi. ma di creare unità culturale.

L’Africa non ha ricevuto mezze misure: è stata colonizzata economicamente ed è stata derubata della propria millenaria civiltà dalle multinazionali d’occidente, ed è stata buttata, senza alcuna precauzione, nel Mercato. La lotta del Popolo africano inoltre è stata sempre limitata da un divide et impera culturale promosso dall’imperialismo, che a più riprese ha stroncato i sogni rivoluzionari di grandi uomini, che diedero la loro vita in nome dell’indipendenza politica ed economica, ma soprattutto culturale. Ed è in questo contesto di totalizzante occupazione straniera che si svilupparono le figure di Thomas Sankara, di Kwame Nkrumah, di Nasser, di Neto, di Lumuba, come rivoluzionari non solo del proprio paese, ma del continente intero.

Non si inizia certo ora a parlare di panafricanismo infatti: gli impulsi iniziali di questo movimento erano nati dai movimenti anticolonialisti, primo fra tutti quello di Kwame Nkrumah, primo presidente indipendente dal colonialismo nell’intero continente, in poco tempo idealizzato a figura leggendaria della rivoluzione nera ed africana. Esso chiaramente indirizzò l’impostazione ideologica del panafricanismo in senso socialista. A lui però va contestato come esso, nonostante i grandi risultati economici e sociali, non riuscì mai a fondere realmente questa impostazione socialista con la cultura indigena, con la tradizione locale, spesso anche per le rivolte e le dispute fomentate dal colonialismo, di natura strettamente tribale. Al contrario il socialismo arabo e il panarabismo riuscirono ad unire il Popolo, anche grazie all’influenza della religione come determinante geopolitica dell’area, con i risultati noti. Non è un caso che a tal proposito, l’unico sviluppo panafricano socialista che riuscì a raggiungere gli obbiettivi che si erano prefissi tempo addietro, fu quello libico di Gheddafi, permeato dall’Islam. Se da una parte c’era il socialismo africano nero, dall’altra c’era appunto quello di matrice araba, capeggiato agli albori da Nasser. Le differenze tra le due matrici portarono ad uno sviluppo internazionale diverso: la determinazione araba e l’economia molto più forte e puntata sulle risorse petrolifere, favorì una maggiore indipendenza nell’ambito del bipolarismo, al contrario nell’Africa nera le relazioni furono sempre strette con l’Unione Sovietica.

Negli ambiti arabo ed islamico degni di nota furono il movimento algerino e la rivoluzione verde libica, quest’ultimo l’unico fenomeno politico che coerentemente per quarant’anni si impegnò per l’unità del continente.  Sulla scia del movimento nasseriano  (da cui si formarono “idealmente” due correnti di pensiero, ba’athista e ‘gheddafiana’), Gheddafi riuscì a convogliare l’intero sentimento nazionalista africano contro l’imperialismo. Esso fu promotore e investì nella creazione di banche africane comuni, nella cooperazione continentale verso l’unità monetaria e nella creazione dei primi satelliti africani. Infine il ruolo della Libia negli ultimi anni, nell’avvicinarsi alla Cina con patti in merito agli scammi petroliferi favorì, tramite l’amicizia con i BRICS, un ruolo importante dell’Africa nella transizione al multipolarismo.

Nel contesto geopolitico subsahariano invece storicamente vi furono aspre lotte, causate dalla Guerra Fredda, tra gruppi filo-americani e filo-sovietici, che tra guerre civili e carestie impedirono la pace e la stabilità che avrebbero potuto facilitare il processo d’integrazione continentale caldeggiato dai panafricanisti. Alcuni esempi sono l’Angola, lo Zimbabwe o l’Etiopia del Derg. L’imperialismo, che aveva le sue basi in Sud Africa e nei suoi alleati filo-sionisti, cominciò così una lotta continentale contro i governi filo-sovietici, a discapito dei Paesi stessi in balia ancora una volta di un conflitto di cui loro non erano i reali interessati direttamente. D’altro canto l’ostruzionismo locale dei governi militari fantoccio, impedì lo sviluppo di paradigmi alternativi e il fallimento delle politiche di giustizia sociale, come in Etiopia che tempo addietro era stato il primo paese a promuovere il panafricanismo.

Il socialismo di Thomas Sankara alla fine degli anni ottanta fu l’ultimo tentativo d’emancipazione con il sostegno sovietico nell’area e venne stroncato da un colpo di stato sostenuto da Francia e USA, come egli stesso aveva profetizzato parlando all’OUA contro un debito che al popolo africano non apparteneva, come non appartiene oggi a quello europeo, ribadendo con un grido l’unità continentale:

 Se il Burkina Faso da solo rifiuta di pagare il debito, non sarò qui alla prossima conferenza ! Invece, col sostegno di tutti, di cui ho molto bisogno, col sostegno di tutti potremo evitare di pagare. Ed evitando di pagare potremo consacrare le nostre magre risorse al nostro sviluppo.”

Dopo la morte di Sankara, negli anni 90, durante la transizione bi-unipolare, con l’indiscusso potere dell’impero nordamericano, si vide la caduta di tutte quelle logiche che erano state sostenute fino ad allora per far fronte all’espansione egemonica, anti-sovietica, come i gruppi para-militari e il ruolo sudafricano quale perno anti-panafricano.  Questa distensione, apparentemente sancente una vittoria indiscussa dell’Occidente, ha però visto favorire l’entrata nel continente dei BRIC, con Cina, Brasile e India, che hanno dato nuova linfa al movimento panafricano e hanno promosso il rinnovamento del continente, per renderlo indipendente dal neocolonialismo. Lo sviluppo economico è al centro del nuovo secolo per l’Africa: nell’Africa subsahariana  il tasso medio di aumento del PIL è attualmente attorno al 5,2% – dovrebbe salire al 5.8% in termini reali nel 2014, con un PIL aggregato (a parità di potere d’acquisto) pari a 2.082 miliardi di dollari, un tasso di investimento pari al 22% e un PIL pro capite pari a 2.482 dollari. Tra questi i principali sono l’Angola, il Ghana, lo Zimbabwe, tutti paesi alleati dei BRICS e che stanno collaborando contro l’imperialismo per l’unione del continente.  Nonostante l’imperialismo stia tentando di nuovo di destabilizzare l’area – per esempio con i conflitti in Congo, in Mali ecc. – la situazione non è più sotto il suo controllo.

L’Africa, agli inizi degli anni ottanta, era ancora un continente povero, in uno stato d’anarchia sociale, in un’entropia economica e politica irreversibile, disgregato dall’imperialismo. Oggi l’Africa, una sola, unita, sta diventando indipendente, acquistando sempre un ruolo maggiore nei mercati internazionali grazie alle sue grandi potenzialità per troppo tempo sfruttate dall’imperialismo. In futuro spetterà anche all’Africa collaborare alla transizione al multipolarismo, sotto il segno dell’unificazione territoriale e spirituale panafricana.