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L’uscita della Russia dal G8 intensificherà la competizione tra i BRICS e il G7

di Filippo Bovo - 26/03/2014

Fonte: Stato e potenza


290_BRICSSu richiesta di Barack Obama, le potenze del G7 si sono date appuntamento a L’Aja per un vertice straordinario in cui decidere quali misure adottare nei confronti della Russia. Si noti la scelta della città: L’Aja è la sede della Corte Penale Internazionale, quel tribunale tanto voluto dagli USA ma di cui non può giudicare i crimini, e agli occhi dell’opinione pubblica occidentale ed europea in particolare simboleggia il diritto internazionale. Il messaggio rivolto alla Russia è fin troppo chiaro: il diritto internazionale è un argomento nelle mani degli Stati Uniti e della cosiddetta “comunità internazionale”, vale a dire i paesi del G7 più qualche altro alleato e beneficiato, che lo interpretano a seconda dei loro interessi nazionali, economici ed egemonici. Conseguentemente il referendum in Crimea, per quanto svoltosi con tutti i dovuti crismi e sacrismi, in modo pacifico e democratico, con la presenza d’osservatori internazionali, ecc, non rispetta il “diritto internazionale”, mentre altre votazioni tenutesi sotto gli occhi della NATO, in un clima d’intimidazione, con candidati e partiti esclusi dal voto, con elettori costretti con le minacce a disertare le urne o a votare contro la propria volontà ed in assenza d’osservatori come in Kosovo, in Afghanistan o in Iraq, lo rispettano eccome. Il motivo è molto semplice: in Crimea è stato violato l’interesse occidentale, mentre in Kosovo ed altrove esso ha conosciuto il proprio trionfo. Il “diritto internazionale”, esattamente come i “diritti umani”, è quindi il timbro con cui l’Occidente promuove gli amici e boccia i nemici: un argomento da usare pretestuosamente a fini politici e, diciamocelo pure, imperialistici.
Ma non è di questo che volevamo parlare: si diceva del vertice del G7 a L’Aja. Ebbene, in quella riunione americani ed europei hanno manifestato una sostanziale identità di vedute circa le sanzioni politiche ed economiche da adottare contro la Russia, ma al tempo stesso si sono ritrovati in disaccordo sulla sua eventuale cacciata dal G8. Gli Stati Uniti vorrebbero l’espulsione tout court della Russia dal G8, cosa che riporterebbe quest’organismo a prima del 1998, quando ancora Mosca non ne faceva parte, mentre i partner europei propenderebbero per una sua semplice sospensione. La scelta d’una linea più morbida è spiegata dal timore che sanzioni troppo pesanti, che vadano oltre a delle semplici iniziative pubblicitarie, possano mettere a repentaglio l’ingente import – export tra la Russia e l’Unione Europea, con tutto il relativo corollario d’investimenti e di progetti. In Russia l’Unione Europea trova più del 30% dell’energia di cui ha bisogno, nonché un vasto, crescente e promettente mercato per i suoi prodotti finiti. A tacere poi delle tantissime joint ventures tra aziende europee e russe, o di progetti come il South Stream, per il cui completamento tra l’altro solo pochi giorni fa la Gazprom e la Saipem, del Gruppo ENI, hanno sottoscritto un accordo da due miliardi d’euro. Di fronte a tutto questo, l’Unione Europea si sente come il vaso di coccio tra i due vasi di ferro, la Russia e gli Stati Uniti. Da delle sanzioni decise dagli Stati Uniti, ci rimetterebbe molto di più di quest’ultimi, venendo rimpiazzata nel commercio con la Russia dalla Cina. Perchè la posta in gioco è proprio questa: delle sanzioni troppo pesanti spingerebbero ancora di più Mosca a legarsi con le economie emergenti, a cominciare proprio dal dragone cinese. E’ finita l’epoca in cui non c’erano alternative economiche e commerciali all’Occidente, e le sanzioni varate da quest’ultimo rappresentavano il disastro per quel paese non allineato che se le vedeva comminare: oggi le alternative ci sono eccome, e si chiamano BRICS.
Ma se l’Europa rischia di perdere in Russia il suo mercato e i suoi affari a vantaggio della Cina, anche gli Stati Uniti possono uscire notevolmente danneggiati da un rafforzamento della partnership sino – russa. Com’è noto, l’avvicinamento tra Mosca e Pechino è stato proprio il frutto delle strategie suicide portate avanti dalle amministrazioni Bush ed Obama, ed ha portato alla nascita d’una concorrenza formidabile per gli interessi degli Stati Uniti nel mondo. L’abbiamo già visto con la cooperazione sino – russa sulla Siria e sull’Iran, ma anche in America Latina, coi numerosi accordi sottoscritti coi paesi dell’ALBA ed il Brasile, altro importante esponente dell’emergente club dei BRICS. L’accordo tra Mosca e Pechino in materia d’energia, per esempio, è una pugnalata alla già traballante egemonia del petrodollaro, con la prospettiva da parte russa d’usare lo yuan per le sue riserve valutarie al posto della divisa americana e per la vendita di gas e petrolio alla Cina. Ma qualora gli Stati Uniti decidessero di mostrare davvero i denti alla Russia, cacciandola in malo modo dal G8, ci sarebbe un ulteriore salto di qualità. Finita l’epoca delle buone maniere, del resto già messa a dura prova dall’operato degli Stati Uniti e dei loro alleati in Libia, Siria ed Ucraina, s’aprirebbe una nuova fase storica contrassegnata da una sempre più crescente competizione tra le potenze del G7, capitanate da Washington, e i BRICS, che in Mosca e Pechino hanno ben più d’una guida morale.
I due colossi, Mosca e Pechino, già cooperanti su temi come il Medio Oriente, l’America Latina e l’energia, a quel punto potrebbero e dovrebbero sinergizzarsi anche su altri dossier come l’Africa o il Pacifico, oltre a rafforzare la simbiosi su quelli dove già lavorano insieme. Del resto l’abbiamo già detto: finisce l’epoca delle buone maniere. Questo significa che, di fronte a Washington che non si fa scrupoli a penetrare nello spazio ex sovietico e a boicottare la nascita dell’Unione Euroasiatica, anche Mosca se ne farà di meno ad insinuarsi in quello che un tempo era il cortile di casa degli Stati Uniti, l’America Latina, e che si sta emancipando anche per merito di Mosca e di Pechino. E’ notizia di queste ore che l’Argentina ospiterà nel proprio territorio una base militare russa, dopo Cuba e il Nicaragua, con cui sono già stati siglati accordi analoghi.
Alla fine non tutto il male viene per nuocere: l’uscita, o la cacciata, della Russia dal G8 sgombrerebbe il campo da un grande equivoco. Il G7 o G8 che dir si voglia, è sempre stato un club di matrice atlantista, guidato dagli Stati Uniti e che già da tempo non riunisce più le prime otto economie mondiali, dal momento che ne fanno ancora parte paesi come l’Italia e il Canada che nel corso degli anni sono scivolati in basso nella classifica, mentre Cina e Brasile che già sono di fatto tra le prime otto grandi potenze economiche del mondo non sono mai state chiamate a farne parte. E’ un club al quale s’appartiene per la fedeltà a Washington e per la condivisione d’un certo punto di vista in materia di politica economica ed internazionale. E’ tempo di marcare una linea netta tra questo club atlantista, che simboleggia il vecchio ordinamento unipolare del mondo, e i BRICS, che al contrario incarnano il nuovo mondo multipolare. Il completo riallineamento della Russia coi BRICS può quindi, in definitiva, dare un grande contributo alla competizione tra queste due entità, l’una declinante e l’altra emergente, traghettandoci così verso il nuovo ordinamento multipolare.