Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La rivoluzione del centimetro quadrato

La rivoluzione del centimetro quadrato

di Federico Zamboni - 29/03/2014



Ehilà, sorelle marionette. Ehilà, fratelli burattini. Con alcuni di voi ci conosciamo di persona e, da marionette e burattini intelligenti quali siamo, abbiamo sempre un sacco di cose da dirci: ci scambiamo analisi dettagliate, e talvolta brillanti, sui nostri fili e su quelli degli altri; ci chiediamo come mai così tanti pupazzi si illudano di essere liberi, anche se poi non fanno altro che sgambettare di buon grado sulla scena; e soprattutto immaginiamo il momento in cui gli odiatissimi burattinai arriveranno alla fine dei loro giorni. O del loro potere, almeno.

Come forse ricorderete, la volta scorsa ho fatto un bel discorsetto che si intitolava “Ribelli e operativi”. Qualcuno ha scritto per dire che gli era piaciuto. Qualcun altro per dire che era perplesso. Uno ha buttato lì due domande precise. La prima: allora creiamo una massoneria di "ribelli"? La seconda: stiamo forse ipotizzando una rivoluzione tipo quella Francese? Non vedo molte alternative – ha concluso – ma accetto suggerimenti. Io gli ho risposto privatamente in modo sommario, tanto per non farlo aspettare un intero mese. Gli ho mandato una mail che diceva:

Nessuna massoneria, ci mancherebbe. E men che meno “una rivoluzione tipo quella francese”. L’idea è un’altra. E parte da una domanda: è possibile fare qualcosa di più che osservare criticamente la realtà, al solo scopo di scambiarsi “acute” osservazioni su quello che non va?

Noi crediamo di sì. Ma non in termini strettamente politici, cioè finalizzati immediatamente a un’azione rivolta al cambiamento della società nel suo insieme. In termini, diciamo così, personali. Benché la situazione circostante sia così degradata, è comunque possibile (e secondo noi doveroso) passare a un atteggiamento più attivo.

Se il realismo tende a degenerare in cinismo – e quindi nell’inerzia di chi si affretta a dare per certo che non ci sia niente da fare, perché tanto “è sempre stato così” – l’idealismo tende a diventare astrazione, e rischia a sua volta di non misurarsi mai sul terreno della realtà. Affascinato, o soggiogato, dalle proprie visioni, l’Idealista con la I maiuscola osserva le proposte altrui e le trova invariabilmente imperfette. Oddio: non è che non sia proprio tutto da buttare, ma bisogna pur riconoscere che l’obiettivo è parziale, il risultato incompleto, e che perciò il cambiamento che si prospetta, quand’anche venisse realizzato, resterebbe comunque lontano, lontanissimo, da quella palingenesi morale e politica di cui ha bisogno l’Italia. Anzi l’Europa. Anzi l’Occidente. Anzi il mondo intero.

Cazzate. Un conto è prendere atto che dietro certi effetti negativi ci sono dei vizi strutturali, e avere ben chiaro che, se passi la vita a occuparti delle conseguenze, non ti resterà molto tempo per eliminare le cause. Tutt’altra cosa è concludere, diventando maledettamente simili ai suddetti realisti-quasi-cinici, che al di fuori della Rivoluzione con la R maiuscola non c’è da fare un bel nulla.

E invece c’è. Eccome se c’è. Invece di accarezzare il momento, esso sì meraviglioso e gratificante, in cui si plasmerà l’universo a propria immagine e somiglianza (a proposito: sicuri di esservi osservati bene nello specchio? Sicuri, sicurissimi di poter fungere da modello per chiunque altro, per oggi e per sempre?), ci si può rimboccare le maniche e iniziare da quello che si ha effettivamente a disposizione. In attesa della Battaglia Finale, la fatale Armageddon in cui il Bene e il Male regoleranno una volta per tutte il loro spiacevole, e plurimillenario, contenzioso, si può fare quello che fanno tutti gli eserciti degni di tal nome: erigere il campo, fortificarlo come si deve, addestrarsi individualmente e in gruppo. Osservare il nemico, per sapere di che forze dispone. Controllare che le scorte vengano ricostituite con la dovuta regolarità. Tutte le scorte: non solo pallottole ed esplosivi e traccianti; anche, innanzitutto, l’acqua e il cibo, i vestiti per l’estate e per l’inverno, il carburante per muoversi e quello per scaldarsi.

Qui. Ora. Noi
È ovviamente una metafora, quella militare. Ed è ovviamente una speranza quella di avere già delle schiere così nutrite da richiedere un’organizzazione collettiva. Facciamo un passo indietro, allora. Pensiamo al nostro bravo guerriero (guerriero: non un qualsiasi facinoroso che non vede l’ora di menare le mani) e immaginiamolo che si prepara. Immaginiamolo, ancora meglio, che si tiene pronto a battersi quando verrà il momento, ma che non per questo si aggira bellicoso per ogni dove. Al contrario: egli conduce la propria vita quotidiana nel modo più equilibrato e armonioso di cui è capace, facendo ciò che serve con la cura di un contadino che ama la sua terra, di un artigiano che sa e vuole lavorare solo a regola d’arte, di un artista che insegue un’autentica ispirazione e non intende accontentarsi di nessun trucco e di nessuna scorciatoia. Cerca di essere d’esempio a se stesso e agli altri. Sa che le parole, anche le più belle, persino le più giuste, sono soltanto chiacchiere, se non trovano riscontro nei comportamenti reali.

Questo nostro guerriero – che io mi immagino come Cincinnato, che amava vivere in pace e coltivare i suoi campi, e che prendeva la spada solo se era assolutamente necessario – non aspetta di avere chissà quale grande occasione per fare del suo meglio. Lo fa costantemente. O almeno ci prova. A un certo punto della sua vita, o prima o dopo, in un modo o nell’altro, ha capito una cosa fondamentale: quando non puoi scegliere il cosa, puoi ancora scegliere il come.

Come Papillon (un burattino decisamente con le palle) può darsi che sia prigioniero in una qualche prigione. E che non abbia modo di evadere, e neppure uno straccio di piano di fuga da elaborare. E che addirittura, per un’evasione fallita in precedenza, o per una sacrosanta insubordinazione, l’abbiano chiuso in isolamento. Per punirlo. Per spezzarlo. Ma lui, come Papillon, conosce sia la bellezza del sogno che la forza della disciplina. Come Papillon si alza da questa tavola di legno che chiamano branda e, oscurità o non oscurità, scarafaggi o non scarafaggi, si impone di camminare. Tre passi in una direzione e tre passi nell’altra. Nulla di straordinario, in assoluto. Qualcosa di magnifico, viste le circostanze. Come Papillon si tiene vivo. Come Papillon si tiene all’erta.

Tutto qui, care sorelle marionette e cari fratelli burattini. Ognuno di noi, anche nelle condizioni peggiori, anche in questa nostra società corrotta e malsana, ha l’opportunità di fare qualcosa di meglio che restare inerte a contemplare lo sfacelo circostante. Per ognuno di noi, sul posto di lavoro, nella vita privata, nelle attività di rilievo e in quelle del tutto ordinarie, c’è continuamente l’occasione di vivere in maniera diversa da quella che cercano di imporci. Vogliono metterci tutti contro tutti? Rispondiamo coi fatti. Non lasciamoci imporre la grossolana, ottusa, nevrotica alternativa tra essere inermi o essere aggressivi. Sforziamoci di essere calmi, entusiasti, generosi. Restituiamo valore alle parole: non può essere sempre una discussione all’ultimo sangue in cui ci tocca dimostrare che noi abbiamo ragione al 101 per cento e che gli altri hanno torto marcio. Restituiamo valore ai gesti, alla normalità del fare le cose solo perché è giusto così: ti aiuto perché mi va di farlo, punto. Non ti sentire in debito. Non con me, almeno. Tutt’al più, se te la senti, prova a fare lo stesso con qualcun altro, la prossima volta.

Chiamatela “rivoluzione del centimetro quadrato”, se vi va. Cercate di ricordarvi che c’è sempre un pezzettino di realtà che dipende solo da noi. Continuate, continuiamo, a pensare di cambiare il nostro Paese, l’Europa, l’Occidente e persino il mondo intero, ma nel frattempo cambiamo quel po’ di vita che ci scorre accanto.

Ehilà, sorelle ex marionette e fratelli ex burattini. Ehilà, protagonisti. Ehilà, ribelli.