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Benvenuti ad Eurolandia, dipartimento d’oltremare degli Stati Uniti d’America

di Filippo Bovo - 29/03/2014

Fonte: Stato e Potenza

 

20140328_obamabarackSarà divertente, o se preferite sconfortante, immaginarsi cosa ne sarà dell’Europa di qui a qualche anno. Obama, giunto in visita a Roma lo scorso 27 marzo, un po’ ce l’ha fatto capire: nel nostro futuro d’europei ci dovrà essere tanta NATO, perché gli Stati Uniti destinano alla difesa il 3% del PIL contro l’1% degli “alleati” del Vecchio Continente. Insomma, gli USA hanno bisogno di ridimensionare le spese per la difesa (e in parte l’hanno già fatto) per concentrare maggiori risorse economiche nella loro reindustrializzazione e nel loro rilancio economico, e pertanto gli europei devono compensare aumentando i loro stanziamenti per il settore militare. Si prevede quindi un futuro in cui la NATO, a costo di svenare le fragili economie europee, dovrà mantenere i suoi elevati costi, intuibilmente in vista di un uso massiccio in quei teatri che sono strategici agli interessi americani (lo spazio ex sovietico, il Medio Oriente, l’Africa? Il tempo ce lo dirà).
Ovviamente il maggior impegno da dedicare alla NATO dovrà comprendere anche una totale ed indefessa fedeltà riguardo a quei “bidoni” degli F35: anni ed anni d’investimenti in tal senso da parte dell’industria militare americana non possono essere gettati alle ortiche solo perché il prodotto finale s’è rivelato largamente inferiore alle attese. I caccia della concorrenza stracciano l’F35 in tutto e per tutto, e costano pure meno? Pazienza: tanto mica si useranno gli F35 contro la Russia o la Cina (almeno, così si spera), che li abbatterebbero senza battere ciglio: al limite s’impiegheranno contro nazioni disarmate o quasi, com’era la Libia di Gheddafi. Perchè il grande valore militare della NATO sta tutto qui: nel fare le guerre abbondantemente armata contro nazioni militarmente male in arnese. Così son bravi tutti; e il bello è che per farlo si spende anche più degli altri. Ma “business is business”, e la Lockheed Martin ci deve guadagnare insieme a tutto il cosiddetto “apparato militar – industriale” di eisenhoweriana memoria.
Il rapporto tra Stati Uniti ed Europa è sempre più simile, da questo punto di vista, a quello tra colonizzatore e colonizzato: il primo produce, grazie agli sforzi del secondo, dei beni e dei servizi (in questo caso l’F35, ma potrebbe essere qualsiasi altra cosa) che poi oltretutto gli rivende pure a caro prezzo. Perchè le colonie servivano e servono a questo: a farsi depredare due volte.
La cosa diventerà vieppiù evidente con l’entrata a regime del Trattato di Libero Commercio tra USA ed UE (il TTIP), che consentirà ai primi d’invadere i mercati della seconda coi loro prodotti resi commercialmente competitivi dal dollaro più debole e dalle forti protezioni concesse dal governo americano ai propri produttori, soprattutto in campo agricolo ed alimentare. Se vogliamo farci un’idea di come funzioni il sistema, basta esaminare il NAFTA che ha trasformato il Messico in una mera colonia commerciale degli Stati Uniti. I produttori messicani sono stati semplicemente ridotti sul lastrico dalla competizione insostenibile, persino sleale, dei prodotti statunitensi. E anche l’economia del Canada, paese notoriamente non proprio povero, ha subito più di un colpo, perdendo molta manifattura a tutto vantaggio dei più potenti vicini statunitensi. Pian piano anche l’Europa sarò trasformata in una colonia commerciale, con l’eccezione della Germania che mira a spartirsi il mercato continentale con gli Stati Uniti assumendo un ruolo subdominante: un po’ come poteva essere il Brasile della dittatura filo – Washington ai tempi in cui il Sud America era interamente il “cortile di casa” degli americani.
Farà parte di questo piano di “ricolonizzazione” dell’Europa anche la riduzione delle importazioni di gas russo in favore del GNL (Gas Naturale Liquefatto) proveniente dagli Stati Uniti. Quello americano, com’è noto, è quasi tutto “gas da argille”, volgarmente detto anche “gas di scisto”, che s’ottiene attraverso una particolare procedura di perforazioni verticali ed orizzantali caratterizzata da un impatto ambientale superiore a quello dei giacimenti tradizionali. Grazie a questa procedura, che negli ultimi anni ha acquisito sempre maggior importanza in vari paesi, gli Stati Uniti nel giro di un decennio sono passati dalla condizione d’importatori a quella d’esportatori di gas, ed ovviamente ora cercano nuovi clienti. L’Europa, da questo punto di vista, rappresenta il cliente ideale. L’unico problema è come portarcelo, questo gas, dagli Stati Uniti all’Europa: attraverso un gasdotto ovviamente non è possibile, quindi bisogna ricorrere alle navi gasiere. Ora, com’è noto, le navi gasiere non possono trasportare il gas prima che sia stato liquefatto, e pertanto servono appositi impianti di liquefazione che andranno costruiti sulle coste statunitensi. Del pari, per essere consumato una volta giunto a destinazione, tale gas ha bisogno di essere rigassificato; occorrono quindi appositi impianti di rigassificazione da costruirsi lungo le coste europee. Il costo di tali impianti di liquefazione e rigassificazione, intuibilmente, ricadranno sui consumatori europei, vale a dire sulle loro bollette. Così come su di loro ricadranno i costi di trasporto dovuti alle navi gasiere. A titolo di raffronto, il gas russo e kazako giunge nelle nostre caldaie e cucine attraverso i famosi metanodotti, alcuni dei quali di recente inaugurazione (il North Stream, che porta il gas in Germania attraverso il Baltico), altri in dirittura d’arrivo (il South Stream, che stoccherà il gas in Italia tramite il Mar Nero e i Balcani) e altri ancora di ormai vecchia costruzione e quindi già ammortizzati da tempo. La logica e la convenienza vorrebbero che, come europei, si continuasse a prendere il gas dalla CSI per ovvie ragioni di vicinanza geografica. Senza poi considerare che ciò fa parte di un interscambio tra le nostre economie e quelle della CSI che ci permette di vendere i nostri beni e servizi in tali mercati. Dunque, a che pro ridurre le importazioni di gas russo?
E infatti c’è la considerazione che tutto sommato, malgrado gli sforzi americani, l’Europa non s’affrancherà mai del tutto dal gas russo. Prima di tutto perché ciò significherebbe assottigliare la presenza europea, già fortemente minacciata dalla concorrenza cinese e non solo, nel mercato russo; ma anche perché oggettivamente la geografia parla chiaro. Ed ecco che infatti giunge la notizia che l’Inghilterra, per compensare la produzione sempre più in calo del proprio gas, inizierà ad importare gas proprio dalla Russia: e parliamo del più filoamericano tra tutti gli Stati europei. Per quanto riguarda Italia e Germania, c’è poi da star certi che non si vorranno gettare nell’immondezzaio anni di fatiche e d’investimenti per il South ed il North Stream. Anzi, soprattutto per il South Stream, la cui costruzione è ancora in atto, c’è un accordo da due miliardi tra Saipem e Gazprom fresco di pochi giorni. Insomma, per quanto costrette ad un duro riallineamento, per non parlare proprio di una ricolonizzazione a tutti gli effetti, i colonizzati europei cercheranno sempre e comunque di dare un colpo al cerchio ed uno alla botte per salvare i propri interessi.
Anche perché, prima di vedere il gas americano in Europa, passeranno probabilmente almeno tre anni: l’esportazione dovrà essere approvata dal Congresso, il TTIP dovrà entrare a regime ed infine gli impianti di liquefazione e di rigassificazione dovranno venir costruiti, e ciò ovviamente non si potrà fare in un sol giorno. Nel frattempo ci saranno ben poche alternative al gas russo.
In questo lasso di tempo, comunque, si deciderà il futuro dell’Europa. Starà ad essa scegliere con chi stare: e da quel che sembra, pare che sceglierà il vecchio “Uncle Sam”, che mira sempre più a trasformarla in una propria colonia. Un dipartimento d’oltremare degli Stati Uniti d’America.