Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La “censura” è solo islamica?

La “censura” è solo islamica?

di Enrico Galoppini - 06/04/2014



 

Il 10 aprile uscirà in Italia il film "Noah", del regista ebreo americano Darren Aronofsky, che come già s’intuisce dal titolo tratta del Diluvio Universale e della storia dell’Arca di Noè:
http://www.ansa.it/lifestyle/notizie/incartellone/film/2014/04/03/noah-quelluomo-imperfetto-vi-traghettera-_070dd1c7-6c03-43e6-8353-9a948deb315f.html

Il film s’inscrive a pieno titolo nel filone “catastrofista”, da “fine del mondo” incipiente che ci sta accompagnando da qualche anno, cioè da quando - con l’approssimarsi del fatidico 2012 e col clima già abbondantemente surriscaldato dal “messianismo” dei protagonisti, veri o fasulli che siano, dei fatti dell’11 settembre 2001 (Bush, Bin Laden, i cristiano-sionisti ecc.) – qualcuno ha deciso che si dovesse agire sullo stato d’animo collettivo allo scopo di renderlo atto a ricevere un epocale ed inevitabile “cambiamento”.

Qui, inoltre, all’elemento catastrofe - passata o futura, non importa, tanto tutto si proietta nell’immaginario attuale - va ad aggiungersi quello religioso, per cui, seppur coi dovuti distinguo, il kolossal in questione va a seguire quello degli altri d’argomento biblico, prodotti da Hollywood sin dai primi anni del secondo dopoguerra.

Al riguardo del primo punto, pensiamo d’aver già detto l’essenziale.

Questi film devono predisporre l’umanità ad uno stato d’animo che percepisce come imminente la fine del mondo, o almeno la fine di “questo mondo” così come l’abbiamo conosciuto. Si tratta, in sostanza, di un cambiamento di mentalità, di “paradigma”, di cui molti parlano, anche se ognuno dice “la sua” e alla fine, a parte il cambiamento in sé, non si capisce effettivamente dove si andrà a parare, tranne il fatto che saranno comunque dolori per tutti!

Alla fine, però, un’élite si salverà, e qui ovviamente ciascuno tira l’acqua al suo mulino mettendo se stesso e quelli come lui e che la pensano come lui tra gli “eletti”.

Oltre a questo, c’è da dire che questi film dal sapore “apocalittico” servono a far digerire la fase destabilizzante che stiamo attraversando. Trasponendo in un passato anche remotissimo le catastrofi prefigurate al riguardo del futuro, si cala la gente in uno stato d’animo di tremenda incertezza, dove tutto vacilla ed ogni cosa, alla fine, crolla. Il che è esattamente quello che ci stanno facendo adesso con la “crisi” ed un mondo che sta diventando, a forza di “primavere” e “rivoluzioni”, un campo di battaglia e di guerre civili permanenti.

Insomma, il primo obiettivo di questo “intrattenimento” a tinte messianiche-apocalittiche è quello di incidere sulla mentalità collettiva per predisporre quante più persone possibili ad un “domani” che gli stessi committenti di queste costosissime operazioni mediatiche s’ingegnano di far andare esattamente a loro vantaggio.

Poi, c’è l’altra questione, collegata al fatto che trattasi di un film a suo modo d’argomento “sacro”. A questo riguardo, bisogna ricordare per l’ennesima volta che quello che è “negoziabile” per noi (occidentali, laici, moderni ecc.) non è detto lo sia per altri, pur inseriti a vario titolo in questo mondo estremamente interconnesso (e perciò “moderno” nella misura, inedita rispetto al passato, in cui lo è).

Per esser più chiari: se i musulmani non hanno piacere di veder raffigurati i Profeti, in qualsiasi modo, compresa l’interpretazione da parte di un attore cinematografico, bisogna prenderne atto e farsene una ragione, senza cominciare a strillare all’“oscurantismo” e al “fondamentalismo”.

È o non è, lo sforzo di comprendere le ragioni delle “culture altre”, uno degli elementi fondanti della moderna antropologia di cui lo stesso Occidente va orgogliosamente fiero?

Allora, una buona volta, bisogna mettersi d’accordo. Perché prima ci si loda perché siamo “superiori” al punto che siamo in grado di studiare e “comprendere” tutte le altre culture, tanto noialtri siamo olimpicamente distaccati ed “oltre”; poi, però, appena qualcuno osa anteporre i propri valori ad un preteso universale “diritto” della cultura, dell’arte eccetera di attraversare ogni confine, ci s’imbufalisce come pochi.

E poi, perché nessun occidentale mette in discussione, ormai, il sacrosanto “diritto” (in nome della “diversità”) di indossare l’astuccio penico, di applicarsi il piatto labiale, di allungarsi il collo, mentre ancora fa gridare allo scandalo il “foulard islamico”?

È presto detto: mentre i primi sono esempi tratti da un vasto campionario di pratiche che al limite incuriosiscono qualche studioso ed i fruitori di documentari etnografici, anche se quelle stesse pratiche “culturali” hanno un fondamento “religioso”, il secondo fa paura perché i musulmani sono tra noi e rappresentano una “sfida” alla nostra sicurezza di essere sempre e comunque dalla parte della “ragione”.

La “cultura islamica” ci mette di fronte ad una delle menzogne fondamentali del “laicismo”: che non è possibile coniugare la “modernità” con la “tradizione”. Se con “modernità” s’intende semplicemente l’esserci qui ed ora, non tutto l’ambaradam dei cosiddetti “diritti umani” di conio occidentale che, postulando di fatto l’inesistenza di Dio, i musulmani coerentemente rigettano.

E poi, finiamola con queste lagne sulla “censura islamica”. Chi ha mai visto, in una vera e propria sala cinematografica che non sia un recondito “cineclub” un film arabo d’argomento islamico?[1] Come si giustifica quest’imbarazzante vuoto? Col fatto che il pubblico non ne vuol sapere per cui non ne vale nemmeno la pena di proporgliene uno?

Non sarà che in mezzo a tutto questo clima da “fine del mondo” esiste la fondata “paura” che qualcheduno si rinvenga da troppe panzane messe in circolazione a tal riguardo? L’Islam, com’è noto, fornisce indicazioni estremamente precise sia al riguardo dei “segni dell’Ora”, sia su come ci si deve attenere per ciò che concerne il credo, il culto e i comportamenti in genere, in vista di una “resa dei conti” che prima o poi dovrà verificarsi.

Anche questa è censura, la tanto deprecata mannaia del censore che cala per evitare che troppi, al di là della ristretta cerchia degli specialisti, siano in grado di andare oltre i consueti cliché sull’Islam e i musulmani. Solo che avviene nel più completo silenzio, senza il clamore garantito dai media pagati dagli stessi che sborsano cifre da capogiro per quell’opera certosina d’imbonimento planetario che è Hollywood.

 

 



[1] Tra tutti, ricordiamo “ar-Risâla” (Il Messaggio). Si tratta di un film del 1976 sulla storia dell'Islam delle origini, diretto dal siriano Mustafâ ‘Aqqâd e prodotto grazie al finanziamento del governo libico (tanto per ricordare quanto era “miscredente” Gheddafi…). Un film girato con attori diversi per la versione araba e quella in inglese (poi doppiata nelle altre lingue europee). Il Profeta Muhammad non vi viene mai raffigurato, così il protagonista del film è Hamza, uno dei suoi zii, impersonato nella seconda versione da Anthony Quinn, mentre Irene Papas interpreta Hind, un'acerrima nemica dei musulmani (per l'intero cast: http://www.cinemedioevo.net/film/cine_message.htm). Alcune curiosità: il regista è morto a causa di un attentato del novembre 2005 avvenuto in un albergo di Amman; Anthony Quinn ha interpretato anche la parte di Omar al-Mukhtâr – il protagonista della resistenza libica anti-italiana - nel film "Il leone del deserto" (anch’esso censurato in Italia). Qui è possibile vedere una versione in italiano de “Il Messaggio”:  http://www.youtube.com/watch?v=gAoSe7pj0bY.