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La bufala estremista in Francia e Ungheria

di Andrea Virga - 09/04/2014

Fonte: campariedemaistre



Nelle scorse settimane, ci sono stati due importanti eventi elettorali in Europa: le municipali francesi e le parlamentari ungheresi. Entrambe hanno visto, a detta dei media generalisti, “un’avanzata delle destre populiste”. È il caso tuttavia di vederci meglio, senza lasciarsi fuorviare dal chiasso di giornalai e politicanti. 

In Ungheria, la coalizione di centrodestra tra Fidesz e KDNP, guidata dal Primo Ministro in carica Viktor Orbán, ha vinto, grazie anche alla nuova Costituzione, entrata in vigore nel 2012. Pur avendo ottenuto appena il 44,54%, col premio di maggioranza, il partito al governo ha conquistato 133 seggi su 199, ossia i due terzi esatti. Sono le gioie del maggioritario, così caldeggiato dai politicanti nostrani. La coalizione di centrosinistra, pur comprendente cinque partiti, si è fermata al 25,99% (38 seggi), poco sopra ai nazional-rivoluzionari di Jobbik (20,54%, 23 seggi), e a buona distanza dal 5,26% (5 seggi) dei verdi-liberali del LMP.
In Francia, le municipali sono state dominate, come sempre, dai due partiti principali di centrodestra (UMP) e di centrosinistra (PS), ma quest’ultimo ha avuto una grave défaillance, a tutto vantaggio del primo. Tra le città (comuni oltre i 10.000 abitanti), il centrodestra (compresi i candidati e le liste indipendenti) ha guadagnato 139 giunte in più rispetto alle scorse elezioni per un totale di 10.201.821 voti al 1° turno, mentre il centrosinistra si è fermato a 8.400.706 voti (anche tenendo conto del Front de Gauche, dei verdi dell’EELV, dei comunisti e di altre liste e partiti). Il terzo incomodo è stato il Front National della Le Pen, il quale, pur presentandosi solo in 597 comuni, ha ottenuto 1.046.603 voti (affermandosi come il terzo partito), 1498 consiglieri comunali e ben 8 città (di cui una al primo turno), mentre altre 3 sono andate a liste affini.
Ora, è bene evidenziare i limiti di queste “vittorie”, insieme alle potenzialità. In Ungheria, Orban ha preso 600.000 voti in meno rispetto alle scorse elezioni, ed egli stesso è un nazional-conservatore, liberale in economia, che non ha certo messo in discussione l’appartenenza del Paese alla UE e alla NATO. Tuttavia, il progresso di Jobbik è di ottimo auspicio, dato che continuerà a svolgere un ruolo molto utile di capitalizzazione del dissenso e di critica da destra al governo. Vale la pena di notare che, a febbraio, il segretario del Partito Gábor Vona ha giustamente ammonito gli altri partiti nazionalisti europei come i veri nemici dell’Europa non siano tanto l’islam e l’immigrazione, quanto il liberalismo e il sionismo.
In Francia, il centrosinistra, fautore di leggi anticristiane come la Taubira, si è oggettivamente indebolito. Quanto al Front National, esso ha ottenuto appena il 7% dei voti totali, e un numero di seggi e di comuni piuttosto limitato, anche rispetto a formazioni politiche di dimensioni analoghe come il Front de Gauche e l’EELV, ma questo dipende dal fatto che resta isolato dagli altri partiti, secondo la strategia del cordon sanitaire, impedendogli di beneficiare da alleanze con altri partiti. Quest’emarginazione politica, antidemocratica nei fatti, ha sempre penalizzato molto il Front, ma al tempo stesso, ha confermato la sua credibilità come forza antisistema, in grado di attirare ormai anche i voti della classe operaia e di molti intellettuali e immigrati.
I media liberaldemocratici hanno subito gridato allo spauracchio populista, euroscettico, fascista, ecc., ingigantendo la portata degli eventi – come abbiamo visto, niente di rivoluzionario. In effetti, nonostante certi difetti ideologici – venature antigiudaiche e scioviniste in Jobbik, come tipico dei nazionalisti dell’Europa orientale; tendenze neo-giacobine e islamofobe nel FN, debole sui valori tradizionali – si tratta di due tra i migliori partiti in lizza per le prossime elezioni europee di maggio 2014. Lo stesso Orbán, per altro, può vantare molti aspetti positivi, anche grazie alla sua necessità di non farsi strappare consensi a destra da Jobbik. Questo spiega il livore di chi, tra i progressisti e i radicali (ormai non solo di sinistra), è ben informato.
Infatti, sul lato geopolitico, sia il FN che Jobbik si oppongono all’occupazione politico-militare statunitense e all’egemonia economica tedesca sull’Europa, guardando invece positivamente alla Russia di Putin, con cui anche Orban ha intensificato i rapporti economici e politici. Con la crisi ucraina ancora in corso, e le presidenziali di Kiev in programma contemporaneamente alle elezioni europee, si comprende come i due scacchieri siano intrinsecamente legati. L’esitazione della NATO, infatti, è legata alla reticenza dei Paesi europei, tra cui Germania, Italia e Paesi Bassi, principali partner occidentali della Federazione Russa. Non a caso, in questi tre Paesi, il centrodestra (in particolare, rispettivamente, la CDU, la Lega Nord e il PVV di Wilders) è tendenzialmente favorevole alla Russia.
L’affermazione di un fronte “euroscettico” e “populista”, ma anche “conservatore”, alle prossime elezioni, giungerebbe quindi in tempo per indebolire e frammentare l’alleanza atlantica di fronte alla possibilità di reagire violentemente ad un’eventuale controffensiva russa in Ucraina. Questo per tacere dell’ostruzione che questi partiti possono compiere nei confronti dei peggiori arbitrii delle commissioni europee, ovvero gli attacchi alle sovranità e alle economie nazionali e ai valori tradizionali.

Di fronte a queste prospettive politiche ad ampio respiro, non possono avere alcuna credibilità né cittadinanza i distinguo ipocriti di alcuni cattolici conservatori, così zelanti a sottolineare i difetti dei populisti e degli estremisti, ma pronti poi a sguazzare acriticamente in progetti neo-democristiani e centristi, per un pugno di poltrone o per qualche seggiola in più.