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Non è un paese per giovani

di Nicolas Fabiano - 01/05/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


Parafrasando il romanzo del celebre scrittore americano Cormac McCarthy, l'Italia non è un paese per giovani. Si parla anzi spesso della così detta “ fuga di cervelli”. Conseguenza anch'essa della globalizzazione.

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Parafrasando – con un gioco di parole- il romanzo del celebre scrittore americano Cormac McCarthy, l’Italia non è un paese per giovani. Si parla anzi spesso della così detta  “ fuga di cervelli”. Conseguenza anch’essa della globalizzazione. Infatti la cartina economica del mondo sta cambiando: nuovi centri di propulsione economica soppiantano i vecchi. E i vecchi, la gerontocrazia del pianeta, preferisce trasferirsi “ in villeggiatura”, in prossimità delle zone periferiche del mondo. L’Italia, paese gerontocratico sotto tutti i punti di vista fisici, culturali e antropologici, sembra impreparata ad affrontare le sfide di domani

Il PIL italiano è aumentato del 45% negli anni 70, del 27% negli anni 80, del 17% nei 90 e del 2,5% nel ultimo decennio. La bassissima crescita e la debole domanda aggregata sono il risultato di un panorama industriale vecchio, datato, un parco giochi nel quale le giostre non funzionano più e dove alcun turista vuole pagare il biglietto. I più giovani l’innovazione -e anche il turismo- vanno a cercarla da altre parti. Consideriamo lo smantellamento che negli anni ha distrutto le aziende strategiche, consideriamo e soffermiamoci sulla totale scomparsa dell’industria farmaceutica, per esempio. Fino agli anni 70 quest’ultima poteva contare al suo interno determinate realtà innovative, capaci di generare brevetti, i quali a loro volta si traducevano in avanzi commerciali, maggiori posti di lavoro, salari più elevati e un indotto per l’azienda

A partire dal fenomeno della globalizzazione- siamo all’inizio degli anni 90- avviene un processo di riorganizzazione della ricerca a livello mondiale. I laboratori italiani chiudono. Questa scomparsa, unita ad una miopia della politica che invece di salvaguardare, ha liberalizzato – ricordiamo il  “dottor sottile” , tale Giuliano Amato- ha comportato una perdita urgente di posti di lavoro, ma non semplicemente per quella generazione lì…anche per quelle future in quanto l’industria farmaceutica è un baluginante esempio – e se ne potrebbero citare altri- di un settore promettente e innovativo

Una parte delle cause, come detto, va attribuita a scelte politiche infelici. Dall’altra, per creare la “tempesta perfetta” bisogna però anche dire che le imprese italiane da sempre non investono abbastanza in ricerca e sviluppo. Questo sia per una pressione fiscale elevatissima, sia per un mercato del lavoro farraginoso. La prima è tanto più alta quanto più grandi sono le imprese. Tutto ciò crea un circolo vizioso: da una parte la grande impresa delocalizza all’estero, dall’altra le migliaia di piccole imprese che rappresentano il made in Italy ritardano volutamente il proprio ampliamento, perché ciò significherebbe maggiori costi. Il risultato lo conosciamo bene: basso output, tante piccole imprese famigliari con pochi dipendenti, nessuna convenienza a innovare proprio perché l’investimento in ricerca e sviluppo è un costo fisso e quindi ha senso per la grande impresa, ma non per quelle piccole. L’effetto sociale è il deprimento di posti di lavoro e la migrazione di chi ha più spirito di adattamento, quindi in molti casi dei più giovani. Ma se i meno anziani se ne vanno e i più anziani muoiono, resta da chiedersi chi è che fa lo Stato