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Riflessioni per il 9 maggio su fascismo e antifascismo

di Andrea Virga - 14/05/2014

Fonte: Millenium


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La Giornata della Vittoria, celebrata nella Federazione Russa e in altri Paesi europei ed eurasiatici come la fine della Seconda Guerra Mondiale e la sconfitta delle forze dell’Asse, ci offre l’occasione di riflettere sulla questione dell’antifascismo. A 69 anni di distanza, il tema non è privo d’attualità, sia per quanto riguarda la Russia, sia per la sua sopravvivenza nella politica italiana ed europea. Come premessa, occorre ricordare che, anche se la presenza neofascista nella crisi ucraina è stata spesso esagerata dai media di entrambe le parti, seguendo la strategia mediatica della reductio ad hitlerum, nondimeno mantiene un suo ruolo.

In sé, il fascismo in Europa ha avuto termine nel 1945, ma ha lasciato tutto un coacervo di movimenti neofascisti, sopravvissuti fino ai giorni nostri, con alterne fortune, pur restando sempre ai margini della storia politica europea. Il neofascismo si è caratterizzato per una maggiore integrazione a livello continentale, con il parziale venir meno degli antichi rancori in favore di una tendenza europeista. Allo stesso modo, nonostante l’esistenza di una consistente minoranza terzoposizionista e di frange filosovietiche, l’anticomunismo e i legami con le vecchie destre conservatrici e reazionarie hanno portato ampia parte del neofascismo a sostenere indirettamente o direttamente il blocco occidentale atlantista.

 

Antifascismo russo

In Russia, questa giornata giunge quest’anno mentre la popolazione dell’Ucraina meridionale e orientale (la cosiddetta “Nuova Russia”) conduce una strenua resistenza contro il governo liberale di Kiev, instaurato in seguito ad un colpo di stato, e le squadracce ultranazionaliste ucraine, sono decise a schiacciare nel sangue ogni opposizione al loro progetto sciovinista e russofobo. Non a caso, durante la celebrazione a Mosca è stato ripetuto un rituale già compiuto nel 1945. Allora le bandiere tedesche catturate erano state deposte ai piedi di Stalin, ad imitazione di un’antica usanza romana, oggi le bandiere degli USA, della UE e degli ultranazionalisti ucraini sono state gettate dinanzi al Mausoleo di Lenin, quasi come un rito propiziatorio della vittoria.

Ancora più importante è notare che il 5 maggio, il Presidente Putin ha firmato una legge, già approvata dal Senato, che punisce severamente (fino a 5 anni di reclusione e oltre 10.000 € di multa) il revisionismo storico a proposito dei fatti del secondo conflitto mondiale e della condotta storica degli eserciti alleati, nonché la riabilitazione del nazionalsocialismo. Va osservato che questa legge, a differenza di analoghe misure varate in Paesi europei, non è incentrata tanto sul genocidio ebraico, quanto sull’operato dell’URSS e dell’Armata Rossa durante la Seconda Guerra Mondiale. Essa è mirata a colpire le formazioni neofasciste che nello spazio post-sovietico contestano la politica russa e ne delegittimano la storia.

Ovviamente, questa legge – come ogni altra ingerenza giudiziaria nella ricerca storica – è discutibile, ma la sua motivazione è di carattere patriottico, a differenza di quelle omologhe europee. In Russia, del resto, c’era sempre stata maggiore libertà a questo riguardo, come prova la visita di David Duke nel 2006. Tuttavia, negli ultimi vent’anni, nei Paesi adiacenti (in particolare Ucraina e Paesi Baltici) hanno preso forza movimenti ultranazionalisti caratterizzati da un forte revanscismo antirusso, strumentale all’accerchiamento della Russia da parte della NATO. All’interno della stessa Federazione Russa, poi, movimenti sciovinisti, razzisti e anticomunisti si sono schierati contro il governo, finendo anch’essi per essere funzionali alle strategie di destabilizzazione atlantiste. D’altra parte, altre formazioni ultranazionaliste, fra tutte il Partito Liberal-Democratico di Vladimir Zhirinovsky, hanno appoggiato la difesa russa dei propri confini e della propria sfera d’influenza eurasiatica, a testimonianza della complessità dello spettro politico contemporaneo.

 

I neofascisti e l’Ucraina

Nel caso ucraino, la rivolta di EuroMaidan è stata fin dall’inizio portata avanti, nelle piazze, da squadre armate ultranazionaliste, riconducibili al partito parlamentare Svoboda o al nuovo movimento Pravyi Sektor (Settore Destro), le quali hanno costituito il nerbo delle forze golpiste negli scontri di piazza. Successivamente, in un contesto in cui le forze regolari di polizia e di difesa ucraine restano poco sicure, il governo di Kiev si è affidato a queste bande per attaccare i manifestanti antigovernativi nel Sud e nell’Est del Paese, anche in virtù della loro mancanza di scrupoli, dimostrata esemplarmente dall’orrendo massacro del 2 maggio ad Odessa. A loro volta, queste forze hanno apertamente goduto del sostegno morale e materiale di movimenti nazionalisti e/o neofascisti europei, in nome di una dichiarata solidarietà ideale.

D’altra parte, è anche vero che numerosi movimenti nazionalisti europei, di matrice neofascista o meno, si sono schierati a sostegno della Federazione Russa, per una serie di motivi, dalla solidarietà tra popoli ortodossi – come nel caso della greca Hrisi Avgi (Alba Dorata) e della romena Noua Dreapta – al ragionamento strategico che vede in Mosca un contrappeso positivo rispetto a Bruxelles e Washington – come nel caso dell’ungherese Jobbik e del Front National francese.

Non tutti quindi restano legati simbolicamente all’invasione imperialista dell’URSS da parte della Germania nazionalsocialista, che pure è stato uno dei miti del neofascismo (la c.d. “Crociata contro il Bolscevismo”). Sbaglia del resto chi vede in quella guerra terribile una mossa obbligata del fascismo storico europeo, ossia un dato storico a cui gli eredi di questo rimarrebbero inchiodati. Infatti, già all’epoca, importanti settori del regime italiano e tedesco sostenevano la necessità di un’alleanza con l’Unione Sovietica o con un’eventuale Russia post-bolscevica. Queste posizioni filorusse non erano confinate ai fascismi di sinistra, ma appartenevano anche a pensatori più conservatori come Spengler e Moeller van den Bruck.

 

Antifascismo occidentale

D’altro canto, anche l’antifascismo prevalente nei Paesi dell’Europa occidentale è ben diverso da quello proprio dei Paesi ex-sovietici. Quest’ultimo, in assenza di una dittatura di matrice fascista, è legato al mito della Grande Guerra Patriottica, e s’inquadra storicamente nella difesa della Russia dalle varie invasioni subite (mongola, tartara, polacca, svedese, francese, ecc.). I principii che animano l’antifascista russo sono, nella stragrande maggioranza dei casi, la difesa della Patria e delle proprie tradizioni culturali e religiose. Non a caso, lo sforzo antifascista, tra 1941 e 1945, coincise con una riabilitazione da parte di Stalin del patriottismo russo e della religione ortodossa.

In Europa, invece, l’antifascismo ha una matrice ideologica variegata, essendo stato fatto proprio da differenti posizioni politiche: liberale, cristiano-democratica, socialista, comunista, anarchica. Nella maggior parte dei Paesi, inoltre, vi è stato un regime autoritario di stampo fascista o parafascista. Dopo il 1945, la compresenza in parlamento di forze politiche tra loro opposte, ha trovato legittimazione nell’adozione dell’antifascismo come ideologia interclassista, nel contesto di una democrazia liberale di mercato. Al riguardo, il caso dell’Italia, denunciato a suo tempo da Bordiga, è esemplare. La Contestazione studentesca, poi, ha fatto leva sull’antifascismo per attaccare e condannare l’intera cultura borghese pre-esistente, accusando questa e i suoi valori come contigui o complici del fascismo. Infine, come spiegato da Costanzo Preve, l’antifascismo in assenza di fascismo e, insieme ad esso, il neofascismo, con le loro schermaglie rituali, hanno mantenuto artificiosamente vivo un conflitto storico, disperdendo le energie delle forze d’opposizione al Sistema.

L’antifascismo europeo, dopo il 1945, è stato quindi funzionale alle logiche di dominio liberalcapitalista e atlantista, per questi tre motivi: ha indebolito le forze rivoluzionarie socialiste fornendo loro un mito comune con le forze borghesi, ha contribuito a distruggere i principii tradizionali delle società europee (il patriottismo, la religione, la famiglia) a favore della società liquida postmoderna e capital-consumista, ha funto da “arma di distrazione di massa” dando luogo ad una guerra simulata tra opposti estremismi. Questo non significa che l’antifascismo storico, concretatosi nella difesa dei popoli minacciati dagli imperialismi fascisti, non fosse legittimo, ma che chi ancora oggi si richiama a quelle esperienze dovrebbe compiere una riflessione a riguardo di ciò che questo ha significato, dopo la sconfitta dei fascismi storici.

 

Né neofascisti né antifascisti…

Quale deve essere dunque la nostra posizione a riguardo? Essenzialmente, quella di superare l’impasse di cui sono responsabili sia il neofascismo sia l’antifascismo, ossia la mancata storicizzazione dei fascismi quali fenomeni che hanno segnato la storia europea nel primo Novecento. Il neofascismo, in quanto riproposizione nostalgica e acritica del fascismo e dei suoi errori, non ci appartiene. Si tratta, beninteso, di un fenomeno variegato, ma continuano a fermentare in esso scorie ideologiche, quali l’eurocentrismo, l’imperialismo, il razzismo, l’anticomunismo, l’islamofobia. Questi fenomeni non sono stati esclusivi del fascismo bensì propri a tutto un milieu ideologico-culturale borghese e conservatore o reazionario, a partire dall’ascesa della classe borghese dalla fine del XVIII secolo fino all’età degli imperialismi.

Peggio ancora, il neofascismo si rivela ulteriormente un mito incapacitante allorché dà luogo ad una comunità ideale governata da regole tribali e omertose, che impediscono ogni pubblico dibattito e sfociano in un sostegno obbligato ai “camerati” in quanto tali, a prescindere dal valore politico delle loro azioni. Questo tribalismo ha spesso impedito, e tuttora impedisce (come in Ucraina), una reale presa di distanza da quei settori collusi con le forze atlantiste. Non solo, esso ostacola una genuina revisione storico-critica dei fascismi. Balza quindi all’occhio come, oggi più che mai, sia una presa di posizione del tutto impolitica.

D’altra parte, anche l’antifascismo attuale presenta gravi limiti, come evidenziato sopra. Nel momento in cui impedisce di considerare il fascismo come parte integrante della storia europea e di recuperare criticamente esperienze ed autori degni d’interesse (da Schmitt a Gentile, da Heidegger a Pound), esso costituisce un ostacolo. Nel momento in cui demonizza a prescindere il nazionalismo europeo, senza considerarne le ragioni, e divide le forze anti-atlantiste, esso costituisce un ostacolo. Quando poi identifica i nuovi “fascisti” da abbattere in coloro che si oppongono all’imperialismo occidentale, risulta addirittura dannoso. È il caso di ampi settori della sinistra europea, tendenzialmente quella che si è lasciata dietro il comunismo. Persino schierarsi dalla parte della Russia, ma leggere il conflitto come uno scontro tra fascisti e antifascisti, denota una pessima analisi della situazione. A questo punto, è evidente che anche l’antifascismo in assenza di fascismo sia insostenibile.

 

… ma Europei

La posizione da prendere esige dunque un superamento delle contrapposizioni ideologiche novecentesche, che non si risolva tanto in certo sincretismo terzoposizionista predicato dal fascismo, bensì in una reale presa di coscienza della presente situazione storica e geopolitica, nonché della nostra condizione di Italiani ed Europei. Il fascismo in Europa, come fenomeno politico, si è concluso nel 1945. I principali storici che se ne sono occupati (es. Sternhell, De Felice, Gregor) ne hanno tracciato un quadro complesso e ben differente rispetto agli appiattimenti ideologici delle classiche interpretazioni liberali (“la calata degli Hyskos”) e vetero-marxiste (“la guardia bianca del Capitale”). Tra i suoi aspetti migliori possiamo individuare un tragico tentativo di riscattare l’Europa dalla crisi in cui versava all’inizio del Novecento. Lasciamolo agli studiosi, piuttosto che ai rievocatori storici.

La giornata del 9 maggio, dunque, celebra la vittoria della Russia e di altre nazioni invase dalla Germania nazionalsocialista, e con questo significato patriottico non possiamo che solidarizzare. Tuttavia, siamo ben consci che la sconfitta dei fascismi non segna la liberazione dell’Europa, bensì la sua sconfitta militare e l’avanzamento dell’area di influenza atlantica nel settore occidentale del continente. Con il crollo dell’URSS, gli USA sono rimasti gli unici padroni del campo, espandendosi rapidamente verso Est ed esautorando quegli spazi di autonomia mantenuti per esigenze strategiche durante la Guerra Fredda. Questo è stato l’esito del conflitto tra vecchi e nuovi imperialismi europei: la sconfitta dell’Europa e la perdita della sua sovranità. Se non ci si rende conto di questo, magari perché fuorviati dall’annosa querelle tra antifascisti e neofascisti, non si può lottare per un’integrazione europea su base comunitarista, nel contesto di un nuovo mondo multipolare.