Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Trent’anni prima del Movimento Cinque Stelle

Trent’anni prima del Movimento Cinque Stelle

di Stenio Solinas - 18/05/2014

Fonte: spinningpolitics

Trent’anni prima di Beppe Grillo e del Movimento Cinque Stelle, un gruppo di giovani “eretici” della destra sociale italiana già parlava di superamento delle categorie politiche di destra e sinistra.

Accusati di “deviazionismo” dalla dirigenza del Msi - primi tra tutti Giorgio Almirante e Gianfranco Fini - si videro affibbiare dalla stampa l’etichetta di Nuova Destra. Ma loro preferivano definirsi promotori di una “cultura delle nuove sintesi” e gettare nuovi ponti verso le terre abitate dal nemico di sempre, la Sinistra. Opposizione all’occidentalismo e all’egemonia statunitense, difesa di un multiculturalismo differenzialista e antirazzista, solidarismo comunitario, ecologismo, antiutilitarismo, promozione della decrescita, critica del liberalismo, rivendicazione del diritto alla specificità dei popoli e delle culture erano gli ingredienti della loro azione “metapolitica” nella società del tempo. Un'azione condotta soprattutto attraverso riviste underground e irriverenti come La Voce della Fogna, Diorama Letterario e Elementi, organo ufficiale della Nuova Destra, il cui direttore responsabile era Stenio Solinas, uno dei principali animatori di questo gruppo insieme a Marco Tarchi. Scrittore e giornalista, per cinque anni è stato responsabile delle pagine culturali de Il Giornale, con cui continua a collaborare. Con lui Spinning Politics ha ricostruito il percorso di un’esperienza umana e culturale tanto inesplorata quanto attuale.

Nuova Destra o Cultura delle nuove sintesi. Circa trent’anni prima del Movimento Cinque Stelle, voi già parlavate di superamento dell’obsoleta divisione destra/sinistra. In quali termini ne parlavate e cosa distingue il discorso che facevate voi da quello che viene fatto, oggi, dai grillini?

Le rispondo partendo dalla fine della sua domanda. Le distinzioni più evidenti riguardano, ovviamente, la “rete” e tutto ciò che essa comporta, sia in termini di mobilitazione, sia sotto il profilo della democrazia diretta. A ciò aggiungerei il populismo in quanto tale, che è qualcosa di molto diverso dal leaderismo e/o cesarismo che pure aveva dato forma a un certo tipo di partiti (penso al Msi, al Psi, allo stesso Pci) al tempo della Prima Repubblica. Venendo al superamento delle categorie classiche di destra e sinistra, quello dei grillini mi sembra più l’effetto di una delusione per la politica in quanto tale, laddove la Nuova Destra mirava alla rimessa in discussione di una dicotomia cristallizzatasi e inariditasi nel tempo e, specie a livello giovanile, non più in grado di funzionare come fattore unico di identificazione. Infine, pur con molte suggestioni antiliberiste, Cinque Stelle mi sembra soprattutto fondare il proprio successo sul moralismo (la lotta alla corruzione e agli sprechi, il giustizialismo dalle mani pulite, il “cittadino  perbene” contrapposto al “deputato per male” eccetera). Sotto questo aspetto, la Nuova Destra aveva una visione dello Stato, delle sue funzioni e degli attori chiamati a rappresentarlo, più realista. Eravamo lettori di Machiavelli, Sombart e Schmitt.

La “cultura delle nuove sintesi” si fondava sui concetti di metapolitica e gramscismo di destra. Può chiarire meglio queste due formule?

 

Detto in sintesi, la metapolitica comportava un lavoro sulle mentalità, il cambiamento cioè dei valori intorno a cui ruota una comunità. Gramscismo di destra stava per la “conquista del potere” dall’interno, ovvero il privilegiare la società civile e non quella politica, ritenere che fosse più importante orientare una casa editrice che fare eleggere un deputato

Quelli erano anni in cui da est si profilava l’ombra lunga e minacciosa del comunismo e da ovest quella altrettanto insidiosa e deleteria del capitalismo selvaggio. In più, nel 1977, l’Italia aveva assistito a una nuova ondata di ribellismo giovanile, ben diverso da quello del Sessantotto. In quel contesto, in che modo cercavate di creare nuove sintesi?

 

C’era allora, specie a livello delle nuove generazioni, una sorta di guerra civile non dichiarata, ma strisciante. Era funzionale al mantenimento degli equilibri politici, ma esiziale per chi, suo malgrado e pur essendone contrario, ne restava coinvolto. Occorreva, da un lato, scrollarsi di dosso quell’immagine di simboli del Male, da cui la stessa parte politica dalla quale noi ci eravamo mossi stentava a liberarsi, come se fosse attratta da una sorta di cupido dissolvendi. Dall’altro, si cercava di far capire come molte delle parole d’ordine della sinistra di allora non avessero più senso, ammesso che l’avessero mai avuto (dittatura del proletariato, egemonia della classe operaia, internazionalismo e insieme fedeltà all’Urss, eguaglianza cieca e disprezzo per il passato, eccetera). In sintesi, noi non eravamo il Male, loro non rappresentavano il Bene. Dal rimescolamento poteva venite fuori qualcosa di diverso e di migliore.

 

Oggi il comunismo è sconfitto, il modello capitalista americano si è imposto a livello globale e l’idea di Stato-nazione sta crollando sotto i colpi, da una parte, del globalismo e dei poteri sovranazionali, dall’altra, sotto quelli dell’immigrazione selvaggia, che travasa nei nostri confini culture solide e forti, che sempre di più tendono a sovrastare quella occidentale e cattolica, ormai debole e sulla via del tramonto. È possibile oggi, in uno scenario come questo, rilanciare una cultura delle nuove sintesi?

 

Non sono Nostradamus e nemmeno, più modestamente, il mago Otelma. L’unica cosa che mi sento di dire è che la storia non è un libro già scritto, le varianti possibili sono infinite, ci sono rinascite ritenute impossibili e punti di svolta lì dove si pensava che il cammino fosse dritto.

 

L’Italia è preda ormai da tempo di un bipolarismo malsano e di una dialettica politica che, più che articolarsi intorno al dualismo destra/sinistra, si è trasformata in un plebiscito pro o contro Berlusconi. Crede sia stato forse uno scenario come questo a soffocare del tutto un’esperienza come quella delle nuove sintesi?

 

Sì, ma c’è dell’altro. La fine delle ideologie si è portata dietro quella dei partiti, sopravvissuti come puri centri di interesse. Il venir meno di una politica nazionale, cioè della possibilità di fare l’interesse nazionale, ha sclerotizzato la capacità di reazione del Paese, la crisi economica ha fatto il resto. È rimasto lo spazio di manovra per il moralismo da un lato e il populismo-qualunquismo dall’altro, dove l’idea di sintesi è divenuta per assurdo dicotomica: con me o contro di me.

Facciamo un tuffo nel passato. Quale fu la miopia della dirigenza almirantiana del Msi nei confronti della Nuova Destra? Se l’esperienza non fosse stata ostacolata dal partito, si sarebbe forse potuto evitare di abbandonare molti giovani tra le braccia della lotta armata? E oggi avremmo forse una destra diversa?

 

L’equivoco di fondo di questa domanda sta nel fatto che noi non volevamo fare un altro partito e, pur partendo convenzionalmente da destra, volevamo andare oltre la destra e la sinistra. Non dico che tutta la Nuova Destra la pensasse così, ma i suoi teorici più avvertiti sì. Va aggiunto che una destra politica in Italia non è mai esistita, eccezion fatta per la cosiddetta destra storica post-risorgimentale, propria di un’età in cui non c’era il suffragio universale e si votava per censo. Lo stesso Msi era sostanzialmente un partito fascista (neo o  post poco importa), ovvero un partito la cui identità si basava sul culto e la memoria dei vinti. Tutto il resto era moderatismo, e per questo la Dc bastava e avanzava. Quando si fanno dei paragoni con altre realtà europee, bisognerebbe sempre valutare che cosa lì è stato storicamente prodotto. L’Inghilterra e la Francia, per capirci meglio, hanno una tradizione di destra, nel caso francese addirittura di destre, che ne accompagna il cammino nazionale. L’Italia no, tanto è vero che il risorgimento fu fatto contro la destra reazionaria, di trono e di altare, propria dei piccoli stati pre-unitari. Dico tutto questo, e chiudo qui per non annoiare, per mettere in evidenza come la polemica su una destra moderna, europea, eccetera, è una polemica pretestuosa, fondata su un soggetto artificiale.  Ho detto prima che la storia è irrazionale, ma non bisogna nemmeno abusarne. È il “buco nero” del fascismo la vera questione, eternamente rimossa.

Voi eravate vicini all’ala rautiana del Msi. Almirante aveva sin da subito perseguito l’obiettivo di un inserimento del Msi nella dialettica politica più istituzionale, spostandolo gradualmente verso il centro democristiano. Gianfranco Fini, di fatto, con la svolta di  Fiuggi, ha portato a compimento questo processo di trasformazione della destra neofascista in una destra di stampo più istituzionale e moderato. Le stesse punte di diamante dell’ala rautiana del Fronte della Gioventù alla fine degli anni Ottanta, come Gianni Alemanno e Flavia Perina, dopo la svolta di Fiuggi, non hanno portato avanti le idee e le proposte di Pino Rauti, adagiandosi sulla nuova linea dettata da Fini. Come avete vissuto voi animatori della Nuova Destra questa strana stagione politica?

 

In parte ho già risposto. Se si va verso il centro, dal centro si è fagocitati. A maggior ragione se ci vai avendo un’identità “fascista” oltretutto mai sottoposta a revisione. L’allora Msi arrivò agli anni Novanta già fuori tempo massimo, si ritrovò in una posizione di potere, pensò che spogliandosi della “camicia nera” sarebbero finiti i suoi problemi. Giunse così nudo alla meta, e poi morì di freddo. Era un percorso prevedibile, o almeno io l’ho previsto e descritto e quindi la sua fine non mi ha stupito più di tanto.

 

Con il senno di poi, in che cosa la Nuova Destra ha sbagliato e in che cosa, invece, ha compiuto le giuste scelte? Crede che l’esperienza delle nuove sintesi abbia lasciato qualche preziosa eredità alla politica odierna?

 

Eravamo degli intellettuali senza praticità concreta, di tipo manageriale, intendo. Restavamo dei militanti, a digiuno di ogni tecnica di marketing. Se si fa una battaglia di idee, si deve essere in grado di veicolarla a fondo. E noi non avevamo né i mezzi né una chiara visione di come e cosa si dovesse fare. Rimane, credo, un corpus di suggestioni, proposte, revisioni, a disposizione di chi si ostina a pensare che ci sia nel Politico molto di più di quanto la destra e la sinistra non riescano a esprimere. Ma qui scivoliamo nel messianesimo, e quindi mi fermo.

Intervista a cura di Francesco Colamartino