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Così il Bel Paese è diventato il regno del malaffare

di Massimo Fini - 18/05/2014

Fonte: Massimo Fini


Nella prima conferenza stampa, all'indomani dell'arresto di Claudio Scajola, il Procuratore di Reggio Calabria Cafiero De Raho, ha dichiarato: «L'aspetto che colpisce è come una persona che ha ricoperto ruoli al vertice dello Stato possa curarsi di un'altra persona condannata e latitante nella consapevolezza di chi si muove come se essere condannati per associazione mafiosa non conti nulla. E' impressionante». Scajola è stato ministro dell'Interno cioè colui che dovrebbe contrastare il fenomeno mafioso e ogni forma di criminilità. In contemporanea è esploso lo scandalo Expo, poi quello degli sperperi milionari e clientelari della Sogin e da ultimo il coinvolgimento, sia pur a livello di indagini preliminari, di Giovanni Bazoli, ex consigliere di Ubi, banchiere di lungo corso, cattolico, finora 'al di sopra di ogni sospetto', in affari poco chiari della quinta Banca italiana.

Sì, è impressionante ciò a cui stiamo assistendo in Italia. Adesso Renzi, per l'Expo, ha nominato una task force che dovrebbe controllare la legalità delle operazioni. Chiude la stalla quando i buoi sono scappati. Ma a parte questo non c'è nessuna certezza che fra i controllori ci siano soggetti migliori dei controllati («Qui custodiet custodes?»). Perché in Italia il più pulito c'ha la rogna. E' un Paese marcio fino al midollo.

L'altro giorno La Stampa mi ha intervistato per chiedermi se ci trovavamo di fronte a una nuova Tangentopoli. Una domanda finto-ingenua. Tangentopoli non è mai finita. Semplicemente, come un virus mutante, la corruzione ha cambiato alcune sue modalità. Del resto che cosa ci si poteva attendere di diverso se quasi all'indomani di Mani Pulite, con i testimoni del tempo ancora in vita, tutta la classe politica e buona parte di quella giornalistica, con un gioco delle tre tavolette trasformò i magistrati nei veri colpevoli, i ladri in vittime e Antonio Di Pietro, da idolo delle folle, divenne l'uomo più odiato d'Italia? Nel frattempo tutti i governi, di destra e di sinistra, hanno inzeppato i Codici penali di norme dette 'garantiste' che rendono quasi impossibile perseguire i reati economico-finanziari, quelli di 'lorsignori', e comunque di far fare qualche anno di gabbio ai responsabili.

Ma al di là delle sanzioni penali, manca la sanzione sociale. A me colpì la vicenda di Luigi Bisignani. Bisignani, già trovato con le mani sul tagliere della P2 (uffa, che barba, storia vecchia), nella stagione di Mani Pulite fu condannato per reati contro la Pubblica Amministrazione. Il cittadino normale si sarebbe aspettato che uno così non avrebbe mai potuto mettere più piede in un ufficio pubblico. Ma nel 1996 lo troviamo bel bello come principale consigliere di Lorenzo Necci, amministratore straordinario delle Ferrovie arrestato in quell'anno. Evidentemente esiste una vastissima framassoneria di politici, di ex politici, di amministratori, di ex amministratori, di finanzieri, di imprenditori, di brasseur d'affaires, uomini che si fiutano, si riconoscono, si cooptano, si autotutelano per combinare insieme affari sporchi ultramilionari. Il che ha dei riflessi sul cittadino comune che, di fronte a questo mulinar di denaro criminale si dice: «Ma proprio io devo far la parte del cretino e ostinarmi a rimanere onesto?». Per rimanere onesti in Italia bisogna essere dei frati trappisti. Perché una differenza con la vecchia Tangentopoli c'è. Allora la gente scese in strada colma di indignazione. Oggi non si muove foglia. In parte siamo diventati, a nostra volta, dei disonesti, in parte ci siamo mitridatizzati e consideriamo la corruzione, anche la più sfacciata e macroscopica, un fatto normale, banale, che fa parte nostra vita. Pubblica e privata.