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Il limbo vuoto: l’estinzione dei grandi maestri

di Antonio Taurelli - 22/05/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


Il maestro, per usare una memorabile massima pasoliniana “ha l’autorevolezza che gli deriva dal non averne mai voluta una”. Questo scenario descritto, ricorda quello di “perdita d’aureola” di Baudelaire . Il professore, nella metafora, è colui che, assicurandosi bene che intorno nessuno veda, raccoglie l’aureola insudiciata, caduta dal capo del vate, che invece si sente liberato da un peso antico.

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Una delle più controverse novità del nostro tempo è l’estinzione dei  grandi maestri. Un cambiamento rapido e inesorabile ha reso l’attuale società un luogo inadatto alla sopravvivenza del magistero. Le motivazioni che stanno dietro a questa ecatombe sono in sostanza due. La prima riguarda i mezzi di informazione. Qualcuno con inconfondibile senso dell’ironia ha detto : “mi sta bene la libertà di stampa se è libertà dallastampa”. I media infatti nel continuo lavorio di amplificazione, ingigantiscono i difetti, ripetono gli errori ai ritmi di uno spasmo e distruggono ogni autorevolezza. Nemo propheta est in televisione: forse perché lo sono tutti. Se avessimo fonti videografiche di Aristotele o di Platone, il loro mito di maestri non sarebbe mai nato. E’ inevitabile che la fama si alimenti anche di mistero, di buio, di spazi vuoti. Siamo abituati a torto, a pensare, per una suggestione tecnico-scientifica, che ingrandire e monitorare voglia dire vedere meglio, senza porci il dubbio che forse anche “ingrandire” sia un sinonimo di “alterare”. In definitiva il mondo dei riflettori mal si addice alla figura umbratile di colui che insegna.

 Un altro plausibile motivo dell’estinzione di questi magnanimi  è l’egemonia della conoscenza oggettiva sulla conoscenza soggettiva. Questo cambiamento descritto da Adorno e ripreso anche da Italo Calvino,  rende la cultura dominante, una cultura che può essere svincolata dal maestro, svincolata perfino dall’uomo con effetti terrificanti. La conoscenza tecnica non richiede il talento di un maestro per essere compresa e questo fa si che la trasmissione della conoscenza diventi, per la prima volta, “distribuzione seriale” che non seleziona l’utente.  

La scomparsa dei maestri giustifica due fenomeni: sia il predominare di Internet come distributore automatico di conoscenza,  sia il progressivo affermarsi politico  di una plumbea mutazione del maestro: il professore. Gli etimi in questo caso suggeriscono molto. Infatti dove il maestro è colui che insegna, il professore è colui che professa. Inutile mettersi ad ornare buone parole per misurare la differenza tra queste due azioni. In questo caso  la parola ‘professare’ sottende delle smaccate ambizioni d’influenza (e non di formazione) . Non è un caso infatti che il titolo di professore sia un’istanza di autorevolezza e quindi di potere. Il maestro, per usare una memorabile massima pasoliniana “ha l’autorevolezza che gli deriva dal non averne mai voluta una”.  Questo scenario descritto, ricorda quello di “perdita d’aureola” di Baudelaire . Il professore, nella metafora, è colui che, assicurandosi bene che intorno nessuno veda, raccoglie l’aureola insudiciata, caduta dal capo del vate, che invece si sente liberato da un peso antico.

 In “Venerati Maestri” di Edmondo Berselli, scrittore e critico del Corriere della Sera, si riprende quest’idea degli intelligenti che non vogliono (e non possono) più fare i maestri. L’autore, partendo da un’ acuta  analisi di Arbasino, osserva come la vita di un intelligente, in genere, possa schematizzarsi in tre fasi fondamentali. Si cresce come “brillante promessa” si accede poi alla fase di “solito stronzo” e si termina nel girone dei “venerati maestri”. Il bollettino culturale dice che attualmente c’è traffico nella fase del “solito stronzo” e che il lido dei venerati maestri è un limbo vuoto.