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Un’altra Europa

di Fabio Falchi - 27/05/2014

Fonte: Stato e Potenza


Renzi-Fonzie

Il risultato più significativo di queste elezioni europee è senza dubbio la vittoria del FN e il crollo di Hollande in Francia. E anche se non c’è stato lo “tsunami euroscettico”, l’euroscetticismo è ormai una realtà politica con cui l’euroatlantismo, volente o nolente, si deve confrontare.
Certo, non si possono nemmeno trascurare le differenze tra le diverse forze euroscettiche. Inoltre, per chi ritiene che la battaglia contro l’euroatlantismo sia la battaglia decisiva, sarebbe facile trovare difetti e “lacune” d’ogni tipo nella variegata galassia euroscetttica, compreso il FN, che pure sembra essere la forza euroscettica politicamente più matura.
Ma, la battaglia contro l’euroatlantismo è una battaglia lunga, che può richiedere anche decenni di lotta. O qualcuno veramente crede che sia così facile uscire (o perlomeno “sganciarsi”) dalla NATO e da ciò che la NATO rappresenta?
Bisogna quindi ragionare non con un metro “ideologico” ma con quello della geopolitica e della metapolitica, in un’ottica realistica, sapendo per così dire “giocare di sponda”. In questo senso, anche l’Ungheria di Orban è realtà politica “positiva” dacché, oltre ad essere una spina nel fianco degli “eurotecnocrati” della UE, con la sua sola presenza destabilizza un “quadro politico” imperniato sulla sovranità dei cosiddetti “mercati”.
Del resto, adesso c’è da affrontare la questione del “Trattato transatlantico”, che va impedito ad ogni costo e ovviamente quella di Eurolandia, che sta facendo precipitare nell’abisso mezza Europa.
Naturalmente vi sono anche altre questioni urgenti, a cominciare da quella ucraina, ma, se è vero chetout se tient, allora facendo leva sull’euroscetticismo si possono aprire “spazi nuovi” tali da consentire di mettere in discussione l’architettura di questa “Unione Europea”. E’ questo è necessario se si vuol veramente cambiare qualcosa in Europa e in Italia.
A tale proposito, queste elezioni europee paiono dimostrare ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, la pavidità e il conformismo di quegli italiani che alcuni chiamano dispregiativamente “italioti”. Invero, se si tiene conto del fatto che hanno votato meno del 60% degli italiani aventi diritto di voto, il 40% dei voti conquistati dal PD equivale a poco più di dieci milioni di voti. Ovverosia solo un italiano su cinque si è schierato con Renzi. Non è poco, ma non è nemmeno molto.
Per il PD ha votato indubbiamente gran parte dello strato più ricco della popolazione (il 10% che detiene quasi il 50% della ricchezza nazionale) e del ceto medio semicolto, ossia quei ceti sociali che hanno tutto (o molto) da perdere da una vera “rottamazione”, ovvero da un radicale e autentico mutamento politico e sociale.
Si tratta cioè di italiani che dell’interesse nazionale se ne infischiano. Né di questo ci si può stupire dato che notoriamente caratteristica fondamentale della stessa classe dirigente italiana è quella di essere antinazionale e al servizio dello straniero più “pre-potente”.
Ma anche gli 80 euro regalati da Renzi e soprattutto la miseria politico-culturale degli avversari hanno favorito il successo del PD. L’unica alternativa era in effetti o l’astensionismo o il M5S, ma questo movimento paga, oltre alle numerose “sciocchezze” dette o compiute da non pochi dei suoi membri, il pressappochismo e la retorica dell’antipolitica.
Per farsi capire dalle masse e al tempo stesso incidere veramente sulla realtà politica del Paese, si dovrebbe puntare in modo chiaro su un tema di interesse nazionale (ovvero quello del “sovranismo” e della crisi economica, due facce della medesima medaglia), e non cianciare di quel che non si conosce. Un conto è (saper) prendere voti, un altro è fare politica. Il “facile” consenso poi dura poco e serve a poco se non si sa “far fruttare”.
La vera novità di queste elezioni, per quanto concerne l’Italia, è però la fine del periodo (anti)berlusconiano. Il Cavaliere non è più in grado di rimettere insieme i “cocci rotti” del centrodestra. Non solo per l’età o per i suoi guai con la giustizia italiana. Sono le condizioni storiche del berlusconismo che sono tramontate.
E ora che il Cavaliere è stato definitivamente disarcionato, il PD è il nemico da battere, senza se e senza ma, in quanto rappresentante degli interessi dei centri di potere euroatlantisti e dell’oligarchia finanziaria occidentale.
Di fatto, il PD è la “guardia bianca” di quell’oligarchia (definita da Gianfranco La Grassa come GF&ID, cioè “Grande Finanza&Industria Decotta”) che, forte del sostegno del potente “alleato” d’oltreoceano, continua a fare scempio dell’Italia per tutelare i propri privilegi, a scapito dell’interesse nazionale (e quindi agendo contro gli interessi della stragrande maggioranza degli italiani).
Insomma, il “re è nudo” e non ci si deve (più) fare ingannare dal fatto che agiti lo spettro dell’antifascismo in assenza di fascismo e quello del populismo degli euroscettici. Antifascismo e populismo nell’attuale contesto storico sono solo una foglia di fico per nascondere le vergogne di una classe dirigente inefficiente e corrotta, e quelle di un ceto medio semicolto, che (perlopiù) vive alle spalle dei ceti popolari e/o “produttivi”.
E’ lecito ritenere pertanto che vi sarebbero anche in Italia le condizioni per dar vita ad una nuova opposizione, qualora si comprendesse che lo spazio della politica non è solo quello della rete o delle piazze. Occorrerebbe perciò (oltre a cercare di recuperare l’ampia fetta dell’astensionismo, che probabilmente ha favorito il PD) “radicarsi” e costruire un gruppo politico serio e “disciplinato”, che non fosse digiuno di geopolitica e sapesse agire ben oltre la rete, sia in Italia che in Europa.
In sostanza, il M5S, sotto questo profilo, sembra “aver fatto il proprio tempo”, giacché il periodo della protesta è passato da un pezzo ed è venuto quello della proposta. Non è più possibile confondere la “questione morale” con le coordinate geopolitiche e metapolitiche indispensabili per mettere a fuoco le ragioni per cui è davvero necessario e urgente rinnovare la classe dirigente italiana.
La sfida per un movimento come il M5S è quella di passare dalla fase dell’infantilismo (geo)politico a quella della maturità (geo)politica. Ma questo non vale solo per il M5S. In realtà, vale per l’intero Paese.
Al riguardo, però è difficile essere ottimisti, conoscendo quanto è forte lo spirito di fazione degli italiani e come sono restii a rischiare gli italiani, tanto che anche quelli che non hanno nulla temono di perdere qualcosa. Vero pure che di “buoni e bravi” italiani ve ne sono ovunque, pubblica amministrazione compresa. Ma questo, com’è noto, è il “paradosso italiano”.
D’altra parte, due decenni di (anti)berlusconismo demenziale e di americanismo grottesco e vergognoso non possono non aver lasciato il segno in un Paese con la testa perennemente “nel pallone”. E che continua ad esserlo perfino ora che buona parte degli italiani non riesce a mettere insieme, come si suole dire, il pranzo con la cena.
In definitiva, in un Paese in cui non essere conformisti è “da fessi” e i principali mezzi d’informazione sono la tv o le “gazzette” come “Repubblica” o il “Corsera”, è difficile non essere d’accordo con coloro che sostengono che gli italiani non hanno particolari ragioni di lamentarsi, perché sono in buona misura essi stessi responsabili dei mali che li affliggono.
Dall’Europa invece, in particolare dalla Francia, questa volta è venuto un “segnale” nuovo e forte. Non è l’inizio della fine di Eurolandia, ma potrebbe essere l’inizio di un ritorno a far valere le ragioni, politiche ed economiche, dei Paesi europei contro quelle dei cosiddetti “mercati”.