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La battaglia per l’Ucraina e il quarto paradigma politico

di Orazio Maria Gnerre - 09/06/2014

Fonte: millennivm


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Sono anni ormai che in determinati, illuminati ambienti si porta avanti il presupposto del necessario superamento delle preesistenti categorie politiche verso una nuova definizione. In quanto necessità storica è fondamentale comprenderne la sua natura strutturale, per prendere coscienza del nuovo contesto politico nel quale ci toccherà posizionarci, scegliere il campo e determinare il conflitto.

Tale presupposto individua nell’epoca della politica postmoderna, l’odierna fase post-democratica, l’esaurimento terminologico e narrativo di categorie di posizionamento quali destra e sinistra e l’opportunità della formulazione di un attuale paradigma politico, che sappia proporre una linea teorica nonché tracciare un percorso strategico per uno dei due poli del nuovo antagonismo politico.

I fatti di EuroMaidan, l’annessione della Crimea al territorio della Federazione Russa e la dichiarazione di indipendenza del Donbass, seguita dalla fondazione dell’entità statuale in formazione della Nuova Russia hanno messo in risalto questa necessità, in particolar modo grazie ai vaniloqui dell’opinione di determinati esponenti culturali delle più disparate appartenenze politiche, i quali hanno prontamente dimostrato come le loro tesi siano divenute prive di fondamento, svuotandosi finanche dei loro principi in funzione della sterile conservazione di forme politico-strategiche inattuali.

È opportuno sottolineare come la nostra battaglia, in funzione della costituzione di un nuovo paradigma politico, inserito all’interno di una nuova polarizzazione, sia eminentemente narrativa. La nostra guerra si combatte sul fronte del Senso. Il nostro compito sarà quindi quello di sollevare gli antichi stendardi sgualciti e lasciati a marcire nel fango del campo di battaglia ormai abbandonato, per dar loro nuovo lustro e rinnovato vigore.

 

Verso un nuovo orizzonte del conflitto

Poniamo l’esaurimento della polarizzazione destra-sinistra in funzione della ben più fondata, e contestualmente evidente, opposizione tra tendenze comunitarie e (neo)liberali, come punto di partenza della nostra trattazione. Questa è la presa d’atto principale per comprendere il tempo presente e formulare una teoria politica coerente che conduca storicamente avanti i principi politici di ogni soggetto che sia interessato a partecipare al nuovo conflitto politico.

È all’interno di questo arco oppositivo che devono essere collocate le vecchie narrazioni politiche, con un’attenzione particolare ai principi che le hanno fondate. È importante stabilire come nel campo comunitario, come in quello liberale, confluiscano già oggi diverse identità politiche, caratterizzate spesso da storie profondamente differenti, da battaglie (teoriche o materiali) per il controllo esclusivo di determinati settori strategici (narrativi o fisici).

Il problema principale, per chi si identifica nel campo comunitarista, è la mancanza di quella coesione propria invece al settore liberale che, grazie anche alla propria concezione fondante del mondo nel predominio del concetto di Valore nella sua manifestazione tangibile di forma-merce, riesce a garantirsi una più rapida riformulazione della propria identità, in funzione del puro interesse. Di contro, il campo comunitarista ancora non riconosce sé stesso come tale. Il perseguimento di visioni del mondo se non analoghe sicuramente compatibili non ha portato al riconoscimento del nuovo orizzonte politico tutti quei rappresentanti delle diverse narrazioni che dovrebbero, a ragion veduta, incontrarsi sul terreno comune del comunitarismo. Nel migliore dei casi, determinati gruppi interni a questi ambienti hanno intrapreso un necessario percorso di avanguardia teorica volto al riconoscimento della necessità storica, purtroppo viaggiando solo parallelamente verso gli stessi obiettivi. In queste condizioni la battaglia strategica sarebbe perduta sul tempo, e si rischierebbe la realizzazione storica dell’assoluto neoliberale. Non possiamo permetterlo.

È in questo senso che la formulazione di un nuovo paradigma politico si rende necessario per il polo comunitarista, tanto quanto il neoliberalismo ha trovato la propria identificazione nella proposizione della realizzazione del Capitalismo Assoluto. Questa teoria politica deve soprattutto permettere l’identificazione in essa a tutti gli appartenenti ad un’identità politica sostanzialmente comunitaria. Il compito della nuova teoria politica quindi sarà assolutamente inclusivo, permettendo la realizzazione di molteplici narrazioni sostanzialmente comunitarie in un unico assoluto. Per farlo, è necessario dichiarare guerra aperta al linguaggio, prigione del Senso, attraverso la riformulazione dello stesso e la dimostrazione esperienziale estetica. È il Capitalismo Assoluto che per primo ha riformulato il linguaggio in senso consumistico e mercificante, essendosi precedentemente imposto esperienzialmente grazie alla ferinità scatenata nel profilo antropologico dell’uomo-consumatore. Sebbene il Capitalismo Assoluto sia avanti rispetto al fronte comunitario rispetto all’inquadramento della necessità storica ed alla conquista delle anime attraverso la dimostrazione esperienziale della propria magnificenza ed alla colonizzazione dell’immaginario collettivo attraverso la creazione/manipolazione del linguaggio, esso ha anche sceso diversi gradini della sua fossa tombale, spingendosi verso l’esaurimento storico.

All’assoluto pragmatismo dell’interesse neoliberale, manifestatosi oggi nella forma del Capitalismo Assoluto, il Capitale nella sua fase virtuale oltre che ideale, è necessario contrapporre quindi la consustanziazione delle narrazioni storiche comunitarie all’interno del nuovo paradigma politico. Il terreno comune in questo caso è da ritrovarsi in tutte quelle narrazioni che asseriscono l’ingiustizia dello stato di cose presente, la necessità del suo rovesciamento, la reintegrazione totale dell’uomo nella sua pienezza e la fine della sua alienazione storica. In definitiva, la base di fondazione della nuova teoria politica deve istaurarsi sulla comprensione che il polo comunitario è effettivamente fondato sugli esclusi dalla società, dalla visione del mondo o dal modo di produzione liberal-capitalisti o da coloro che ne sono scontenti, e che il filosofo italiano Costanzo Preve definiva i possessori della “coscienza infelice”. Considerata la nostra epoca come la vittoria del Capitale (divenuto quindi “assoluto” almeno nominalmente e quasi onnicomprensivo) diviene evidente come ogni emarginato (economicamente, ideologicamente o esistenzialmente) dal peggiore dei mondi possibili diviene un potenziale interlocutore ed alleato della nuova teoria politica all’interno del polo comunitarista.

La nuova teoria peraltro, come espresso da Alexander Dugin, deve proporre come obiettivi fondamentali la garanzia dei diritti dei Popoli, intesi come comunità di Destino, e un approccio policentrico omnidirezionale, basato sulla coesistenza degli stessi Popoli, dei percorsi di civilizzazione, delle culture, delle narrazioni storiche e delle visioni del mondo, dei poli geopolitici, garantendo, in definitiva, il diritto alla differenza.

 

Ucraina 2014: casus belli ideologicus

Come anticipato quindi nell’introduzione, è nella tragica crisi ucraina del 2014, ora nella sua fase più drammatica, che troviamo la cartina al tornasole delle nostre tesi. Il fatto ha di per sé sconvolto le prospettive politiche di larga parte degli ambienti politici europei “antisistemici”, sicuramente i meno lungimiranti. È bastato un assaggio della tecnica della guerra di quarta generazione per confondere le idee degli eredi di pur nobili storie politiche.

È il caso, nello specifico, della destra e della sinistra radicali europee che, ben lungi comunque da essere due monolitici blocchi di interessi contrapposti, in realtà sono entità puramente nominali, costituite da identità e strategie molto differenti. Anzi essi si dividono in svariati gruppi poco incisivi e spesso autoreferenziali che testimoniano, in ultima analisi, la progressiva spoliticizzazione di questi stessi ambienti, trasformatisi in “aree” di appartenenza identitaria, vere e proprie comunità parodistiche che navigano nella turbolenza della modernità liquida.

Nel marasma interpretativo fallimentare, che aveva avuto un suo degno antecedente durante le rivolte arabe, la tesi principale sollevatasi da ambo le parti generalmente intese è stata la definizione del conflitto ucraino nei termini del conflitto interimperialistico, come confronto tra l’imperialismo statunitense e quello russo: lo scontro dei relativi opposti interessi come nell’epoca degli egoismi nazionali.

Che la tesi sia stata condivisa sia dalla destra che dalla sinistra radicali ci dimostra un elemento incontestabile: essa è stata espressa non in virtù delle ideologie politiche professate e delle rispettive narrazioni, quanto come residuato di un’epoca iniziata verso la fine del XIX secolo e conclusasi con la fine del secondo conflitto mondiale, l’epoca degli imperialismi.

All’interno del medesimo paradigma interpretativo, quello che vuole il caso ucraino quale la contrapposizione tra due distinti imperialismi, sinistra radicale e destra radicale hanno risposto contemporaneamente in base al proprio orientamento ideologico: nel minore dei casi ci si è astenuti dal prendere posizioni nei confronti di uno scontro tra due imperialismi, nel peggiore dei casi si è preso posizione in favore della massa di manovra che lavora più o meno consapevolmente per gli interessi statunitensi.

È invece nella proposta della nuova teoria politica (la quarta dopo l’affermazione del liberalismo storico, della sua antitesi socialcomunista e della sintesi fascista) che troviamo chiarezza d’analisi in rapporto agli intenti eminentemente comunitari da perseguire.

Inquadrata nel contesto della transizione dal mondo unipolare a guida statunitense, che rappresenta geopoliticamente la realizzazione formale degli interessi del Capitalismo Assoluto nella sua forma finanziaria e apolide, al mondo multipolare, ovvero ripartito in grandi spazi di integrazione regionale preponderantemente autonomi che coincidano con le aree di civilizzazione storica e posti sullo stesso piano in uno stabile equilibrio di potenza, l’interesse del polo comunitarista deve vertere effettivamente in favore di un assetto globale multipolare. Preso atto dell’effettività della globalizzazione messa in atto dalla tecnica (penultima forma di forza nichilista prima dell’economia) l’alternativa cosciente al monopolio della forza del capitale, alla distruzione delle specificità locali come etnie, religioni e società, alla de-umanizzazione antropologica messa in atto dal processo di compimento della hybris liberale, alla realizzazione definitiva del mercato globale è unicamente l’alternativa multipolare. La realizzazione dei grandi spazi geopolitici, già auspicata dai profeti della scuola di geopolitica tedesca, rappresenterà il collasso dell’egemonia globale dell’ideologia liberale, ormai monca della sua fonte di sostentamento, il mercato globale, e della sua forza strategica, il controllo statunitense sui destini del mondo. È evidente che dalla realizzazione dell’alternativa multipolare dipenderà l’affermazione del polo comunitarista: essa determinerà la fine del predominio del capitale finanziario, un sensibile passo avanti verso la realizzazione della società del lavoro, e l’affermazione delle alterità culturali, che ricostruiranno differenze e tradizioni.

Posto che il percorso che guida i Popoli all’affermazione di un equilibrio mondiale fondato sulla coesistenza e il dialogo tra le Civiltà dev’essere il punto di partenza nell’interesse del polo comunitario, la critica deve quindi rivolgersi nei confronti della concezione passatista che vede ancora contrapporsi sullo scacchiere internazionale diversi imperialismi nazionali. Il dato di fatto è che l’epoca degli imperialismi è stata sostituita rapidamente da Yalta dall’epoca della contrapposizione bipolare e, ancor più rapidamente, dall’avvento dell’unico imperante imperialismo statunitense all’inizio degli anni ’90, con il crollo del blocco sovietico. Parlare di conflitto interimperialistico – riprendendo la formula leninista adatta certamente al primo conflitto mondiale – nell’epoca della realizzazione dell’imperialismo globale vuol dire utilizzare schemi precedentemente validi fuori tempo massimo. Oggi sullo scacchiere vedremo solo l’imperialismo egemone, i sub-imperialismi di determinati Paesi e l’opposizione contro-egemonica rappresentata da BRICS e non-allineati.

Chi dice di voler difendere gli interessi dei lavoratori o le tradizioni dei Popoli deve tener presente tutto ciò. Non c’è alternativa per i lavoratori all’interno delle meccaniche del capitalismo finanziario promosse all’interno del settore di sicurezza euro-atlantico, tra precariato, deindustrializzazione, delocalizzazione. Tantomeno vi è alternativa per le tradizioni e le identità se non all’interno di un mondo multipolare, dove Popoli e Nazioni siano protetti all’interno delle grandi integrazioni regionali dei grandi spazi geopolitici.

La battaglia per l’Ucraina, oggi, non rappresenta unicamente una battaglia della Russia. La battaglia per l’Ucraina è nel senso più assoluto una battaglia per il mondo multipolare. I principi ben più profondi delle forme politiche storiche del Lavoro e dell’Autodeterminazione dei Popoli sono oggi portati avanti dalla resistenza del Donbass. Confondere i militanti del Settore Destro con i rappresentanti dell’identità nazionale è grave quanto non comprendere la necessità per i lavoratori di schierarsi con le economie emergenti dei BRICS, con i loro modelli economici alternativi. I veri patrioti oggi comprendono che la battaglia per l’Ucraina è anche la loro battaglia, contro l’avanzamento nordatlantico verso il cuore del Continente, così come i minatori del Donbass già combattono e muoiono per la vera indipendenza, quella da un che già prevede di varare le peggiore misure di austerity e di svendita della sovranità, secondo un modello di tecnocrazia post-democratica e anti-popolare già ben conosciuto dagli Europei occidentali.

La lotta in Ucraina è la lotta contro il Capitalismo Assoluto, per un mondo multipolare. Per vincerla il nemico ha adoperato per prima cosa l’arma della confusione, usando le nostre parole, i nostri simboli, le nostre idee. Ora è troppo. L’imperativo per tutti i difensori dei principi comunitari, rivolti a una nuova prospettiva politica, è quello di conoscere la verità per poi trasformare il mondo. Combattere da comunitaristi o vivere da schiavi. A voi la scelta.