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La guerra contro l’Iraq

di Leonardo Olivetti - 29/06/2014

Fonte: Stato e Potenza

Arabia Saudita e Stati Uniti dietro l’ISIL
iraq_map-mosulIl conflitto in Iraq non può essere assolutamente ridotto al rango di “conflitto civile” o “insurrezione locale”; essa è una guerra ben più ampia, che coinvolge l’intera regione mediorientale e mira a distruggere l’intero Iraq.
Il famigerato Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL), prima di diventare la forza maggioritaria nel conflitto iracheno, ha giocato un ruolo da protagonista nel conflitto siriano, dove è diventata la forza più potente all’interno delle opposizioni. Nel novembre 2013 ha conquistato, nel nordest, Raqqa (l’unica città di rilievo interamente nelle mani dell’opposizione), sconfiggendo i ribelli dell’Esercito Libero Siriano, e, come dichiarato dall’Osservatorio Siriano dei Diritti Umani filo-opposizione: «L’ISIL è il gruppo più forte nel nord della Siria – al 100% – e chiunque vi dica altro vi mente» (1).
Questa formazione paramilitare ha sempre ricevuto e riceve ancora sostegno, diretto e indiretto, sia dall’Arabia Saudita, che dagli Stati Uniti. L’Arabia Saudita wahabita mira ad indebolire l’asse sciita Iran-Siria-Hezbollah, che passa per l’Iraq sciita di al-Maliki (gli sciiti iracheni sono il 65% della popolazione), fomentando guerre religiose settarie e la creazione di califfati ed emirati di ispirazione sunnita, che sarebbero alleati di Riad. Ma al contempo, anche Israele e Stati Uniti hanno in agenda la distruzione dell’Iraq. La politica israeliana verso i suoi vicini arabi è sempre stata quella del “dividi et impera”: ovvero, creare Stati arabi piccoli, internamente deboli, ed in lotta tra di loro, al fine di garantire la propria supremazia strategica in Medio Oriente, una politica elaborata nel 1982 dal Ministro degli Esteri di Israele Oded Yinon. Nel 2002, fu il think thank americano Stratford a suggerire di dividere l’Iraq in tre stati su base etnica e religiosa (uno curdo al nord, uno sunnita a ovest, uno sciita a est); questo è, a grandi linee, lo scenario che più favorirebbe i progetti americani, poiché ridurrebbe l’influenza iraniana nell’area (rafforzando al contempo quella saudita), indebolirebbe la Siria (che, tuttavia, sembra essere sempre più in controllo della guerra, dopo le vittorie nel Qalamoun e la riconquista di Homs e Kesab) e isolerebbe Hezbollah. In pratica, l’ISIL è l’attore che meglio ricopre gli interessi imperialisti e sauditi nella regione.
Tuttavia, sui finanziamenti e sui reali sponsor dell’ISIL si sta cercando di sviare i sospetti: si vuol far credere che l’organizzazione terroristica più potente e più estesa del Mashreq abbia conquistato il nord della Siria e quasi un terzo dell’Iraq solo tramite rapine in banca e donazioni di simpatizzanti via Twitter! In realtà, il principale agente destabilizzante in Iraq è l’Arabia Saudita. Al-Maliki, pochi giorni dopo la caduta di Mosul (10 giugno) ha accusato l’Arabia Saudita della responsabilità di quanto avvenuto, dichiarando anche che i sauditi «chiamano i terroristi “rivoluzionari”, ciò equivale a un tentativo di dare ai terroristi una copertura legale» (2). Il comandante effettivo dell’ISIL non è Abu Bakr al-Baghdadi, che si limita solo a ricevere ordini, ma il principe saudita Abdul Rahman al-Faysal. In un video di un combattente dell’ISIL (che si cercò di rimuovere per ovvie ragioni) intervistato sul suo gruppo, alla domanda da chi provenissero gli ordini ha risposto concisamente: «Il principe Abu Rahman al-Faysal, noto anche come Abu Faysal» (3).
Ma l’Arabia Saudita non agisce da sola; essa funziona come il braccio armato statunitense nella regione. Come spiegato ampiamente in un articolo sul Global Research del 14 giugno 2014:
«Il supporto USA-NATO all’ISIL viene incanalato attraverso gli alleati segretamente più fedeli dell’America: Qatar e Arabia Saudita. Secondo il londinese Daily Express “hanno avuto i soldi e le armi fornite da Qatar e Arabia Saudita”.
“Attraverso gli alleati come l’Arabia Saudita e il Qatar, l’Occidente [ha] sostenuto gruppi ribelli militanti che si sono da allora mutati in ISIL e altre organizzazioni collegate ad al-Qaeda”. (Daily Telegraph, 12 giugno 2014)
Mentre i media riconoscono che il governo del primo ministro Nuri al-Maliki ha accusato l’Arabia Saudita e il Qatar di sostenere l’ISIL, non riescono quasi mai a dire che sia Doha che Riad agiscono in nome e in stretto collegamento con Washington» (4).
Gran parte delle armi che gli Stati Uniti forniscono all’ISIL vanno sotto il nome di “aiuti ai ribelli siriani”, siccome l’ISIL è il grande protagonista anche nella guerra contro Assad (ed in questa situazione si può meglio vedere il doppiopesismo occidentale: in Siria l’ISIL è chiamato “gruppo ribelle”, in Iraq “gruppo terrorista”). In questo conflitto, lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante è il più forte ed esteso gruppo insorte in Siria, ed è proprio il principale beneficiario degli aiuti americani in Siria, a differenza di quanto dicono gli USA di sostenere “ribelli moderati”. In realtà, in Siria di “ribelli moderati”, nei fatti, non ne esistono, come spiegato dalla Reuters: «I moderati, spesso senza fondi, frammentati e caotici, non hanno alcuna possibilità in confronto alle unità islamiste, che includono combattenti da organizzazioni designate come “terroriste” dagli Stati Uniti» (5). Le armi statunitensi vanno direttamente a Jabhat al-Nusra, organizzazione jihadista siriana, la vera forza militare dietro la copertura dei “ribelli moderati”, come sufficiente analizzato nell’articolo Ulteriori evidenze che gli USA finanziano i terroristi di al-Qaeda in Siria. Inoltre, il 20 giugno 2014, il presidente americano Barack Obama ha confermato, alla rete televisiva CBS, il fatto, noto già da tempo, che i “ribelli moderati” in Siria sono quasi una copertura. Quando l’intervistatrice Norah O’Donnell ha chiesto ad Obama del suo sostegno ai “ribelli moderati” in Siria, egli ha risposto: «Penso che questa idea che, in qualche modo, ci fosse in Siria una forza moderata pronta all’uso in grado di sconfiggere Assad è semplicemente non vera, e, come voi sapete, abbiamo impiegato molto tempo a lavorare con un’opposizione moderata». Obama poi continua, dicendo che, il fatto che i fantomatici “ribelli moderati” «fossero in una posizione da quale potevano rovesciare non solo Assad, ma anche i jihadisti spietati e ben addestrati inviando loro armi, era solo una fantasia» (6). Considerando che solo il 5 maggio, Kerry aveva stanziato altri 27 milioni per finanziare le “opposizioni moderate”, e che esse esistono più sulla carta che nella realtà, è chiaro che gli unici beneficiari reali degli aiuti americani sono i jihadisti ben organizzati militaramente e forti sul terreno, e non dei gruppuscoli senza effettive capacità militari.
Ma, oltre agli aiuti ufficiali, il sostegno americano all’ISIL passa anche per vie più nascoste. Un rapporto appena pubblicato dal World Net Daily afferma che gli Stati Uniti hanno addestrato combattenti dell’ISIL nel 2012 in una base nella città di Safawi in Giordania, e che uno dei centri di addestramento dell’ISIL si trova in Turchia, vicino alla base aerea di Incirlik. Ufficiali dell’esercito giordano hanno spiegato che anche la Turchia ha partecipato a questo addestramento, e l’operazione aveva come scopo quello di addestrare lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante contro Bashar al-Assad. Anche il giornale tedesco Der Spiegel ha indagato su questo addestramento, riportando sono stati addestrati oltre 200 uomini a Safawi, ma che gli americani avevano in programma di addestrarne 1.200 (7). Un revival di quanto accadde negli anni ’80 in Afghanistan, con l’addestramento dei talebani da parte della CIA. Non solo: nella cittadina irachena di al-Adhim (provincia di Dialy), che era stata occupata dai terroristi dell’ISIL, una volta riconquistata dalle forze governative, sono state trovate centinaia di armi, tutte con il marchio “Made in Israel”, insieme a materiale sanitario anch’esso fabbricato in Israele. Il tutto è stato messo a nudo dalla TV irachena pochi giorni fa (8). È ora evidente che l’ISIL è tutt’altro che un nemico “apparso all’improvviso” in Iraq, ma è un gruppo che, senza l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti, non avrebbe capacità militari adeguate per compiere offensive di simili proporzioni.
Da tutto ciò, si possono ben comprendere le intenzioni di Washington verso l’ISIL: prima addestrato a finanziato per combattere Assad, ora rivolto contro al-Maliki, “meno pericoloso” del Presidente siriano, ma pur sempre alleato dell’Iran, sostenitore di Assad e di Hezbollah, il tutto per disintegrare l’Iraq secondo il vecchio progetto del “dividi et impera”; e, mentre l’Occidente si profonde in condanne totalmente simboliche dell’ISIL, lo lascia agire affinché raggiunga i suoi obiettivi, che sono anche quelli occidentali. E non devono stupire le recenti critiche rivolte al Primo Ministro al-Maliki da Obama, accusato di non creare un governo inclusivo e di aver fallito nel suo programma elettorale (in pratica, velando un sostegno ad un cambio di mano a Baghdad), mentre Vladimir Putin ha espresso «pieno sostegno all’azione del governo iracheno» per «liberare rapidamente il territorio della repubblica dai terroristi» (9). E come un tacito sostegno all’ISIL suonano le parole curiosamente non-interventiste di Obama sull’Iraq: «Non abbiamo le capacità di risolvere semplicemente questo problema mandando migliaia di soldati e finendo per pagare un conto in sangue e risorse già versato. Tutto questo deve essere risolto dagli iracheni», che ha solo promesso un «piccolo numero di consiglieri militari». Inoltre Obama ha chiesto all’Iraq di formare un governo di unità nazionale che comprenda sunniti, sciiti e curdi (10). Ma in un paese in evidente stato di guerra civile, tra estremisti sunniti ed un governo sciita moderato, che senso ha chiedere un irrealizzabile “governo di unità nazionale”? E anche i 300 “consiglieri militari” sembrano solo un banale palliativo privo di sostanza: l’Esercito iracheno, male addestrato, poco disciplinato, in rotta in molte città, cosa può farsene di 300 consiglieri? In questa situazione, non si può che dare ragione al vice Ministro degli Esteri dell’Iran Hossein Amir-Abdollahian, che ha dichiarato: «Le recenti dichiarazioni di Obama dimostrano che la Casa Bianca non ha la volontà di combattere il terrorismo in Iraq e nella regione» (11).

L’Asse della Resistenza contro il terrorismo e l’imperialismo
A combattere effettivamente contro le milizie dell’ISIL si schierano le forze sciite dell’Iran, l’Esercito Arabo Siriano, temprato da anni di confronto col jihadismo internazionale, e le milizie di Hezbollah. In realtà, anche stavolta i media mainstream hanno distorto la realtà dei fatti sul ruolo di Teheran, pensando ad un Iran pronto a collaborare con gli Stati Uniti. Ma la realtà dei fatti è ben diversa.
Innanzitutto, bisogna constatare che gli obiettivi dei due paesi sono diversi: la Repubblica Islamica dell’Iran è sempre stata nemica del terrorismo di matrice sunnita-wahabita e dell’ISIL già dalla Guerra Civile in Siria, ed ha sostenuto i governi di Assad e di al-Maliki anche in passato in modo efficace. Gli Stati Uniti, al contrario, hanno prima fomentato la guerra in Siria sostenendo direttamente l’ISIL (ed altre formazioni islamiste come al-Nusra, il Fronte Islamico, Ahrar al-Sham), per poi “indignarsi” dell’offensiva jihadista in Iraq, senza tuttavia fare nulla di efficace per arginarlo, dimostrando, con ciò, che all’agenda politica del Pentagono non dispiace affatto l’avanzata dell’ISIL.
L’Iran ha sempre avuto chiara la situazione fin dal principio. Già pochi giorni dopo la presa di Mosul, il 14 giugno, lo speaker del parlamento iraniano Alì Larijani ha puntato il dito contro gli Stati Uniti, che manipolano il terrorismo per promuovere la propria agenda politica, puntando anche il dito anche contro le monarchie del Golfo. «È ovvio che gli americani e i paesi che sono attorno a noi hanno fatto tali mosse e, mentre questi paesi non hanno nemmeno un effettivo parlamento, pensano alla democrazia in Iraq e Siria!» (12). L’Ayatollah Alì Khamenei, il 22 giugno, ha poi parlato direttamente contro ogni intervento americano in Iraq, accusando gli Stati Uniti di manipolare le guerre settarie in Iraq per imporsi sulla regione. Ha dichiarato:
«Le autorità americano dipingono questa guerra come una guerra settaria, ma ciò che avviene in Iraq non è una guerra tra sciiti e sunniti. È, al contrario, lo stesso vecchio ordine egemonico che utilizza i resti del regime di Saddam Hussein come uomini di comando, ed elementi dogmatici takfiriti come soldati». L’Ayatollah, riassumendo, ha concluso così: «Gli USA stanno cercando un Iraq sotto la loro egemonia e governato dai loro tirapiedi» (13).
Anche il Presidente iraniano Rohani ha ribadito ulteriormente le posizioni già espresse in precedenza dall’Ayatollah e da Larijani. «Consiglio i paesi musulmani che sostengono i terroristi con i loro petrodollari di fermarsi. Domani anche voi sarete colpiti […] da questi selvaggi». Rohani ha poi ribadito la possibilità di una pacifica convivenza tra differenti fedi, come avviene in Iran: «Per secoli, sciiti e sunniti hanno vissuto fianco a fianco l’un l’altro in Iran, Iraq, Siria, Libano, nel Golfo Persico, in Nord Africa […] in una coesistenza pacifica», concludendo poi con il grido: «Sciiti e sunniti sono fratelli!» (14).
L’Iran ha mandato circa 2.000 uomini a combattere contro il terrorismo in Iraq, principalmente forze Basij (“Volontari”), sia a difesa di santuari sciiti, sia a difesa dei civili, che hanno risposto all’appello dell’Ayatollah al-Sistani, il quale ha dichiarato che combattere il terrorismo è «una responsabilità di tutti, e non si limita ad una specifica setta o ad un gruppo». Le forze di volontari iraniani stanno combattendo assieme alle forze curde (“peshmerga”) e sono di presidio nei dintorni di Baghdad (15).
La Repubblica Araba di Siria, ben conoscendo chi siano i nemici dell’Iraq, ha espresso immediato sostegno ad al-Maliki. Il Ministro degli Esteri siriano ha dichiarato: «L’Iraq è stato esposto ad atti di terrorismo nel quadro di una cospirazione globale contro i popoli iracheno e siriano attraverso un’invasione terroristica che mira a destabilizzare l’integrità territoriale irachena e l’unità del suo popolo» (16). Inoltre, ha già iniziato ad agire miratamente sul territorio iracheno contro l’ISIL: pochi giorni fa, l’aviazione siriana ha colpito i terroristi nel nord dell’Iraq (in coordinazione con Baghdad) e nel nord della Siria, a Raqqa e ad Hasakah, e si sta preparando a fronteggiare i miliziani dell’ISIL a Deir ez-Zor, città spaccata in due (a sud sotto il controllo dei governativi, a nord sotto i terroristi) e che ha visto una crescente avanzata dello Stato Islamico a spese di altri gruppi ribelli (17).
Anche il terzo anello della resistenza, il Partito di Hezbollah ha già iniziato a muoversi in favore del governo di Baghdad. Hassan Nasrallah, Segretario del Partito, ha dichiarato: «Siamo pronti ad affrontare in Iraq sacrifici cinque volte maggiori di quelli che stiamo facendo in Siria», invitando a tutti a difendere l’Iraq, poiché «imbracciare le armi contro i terroristi non significa proteggere una setta particolare, bensì difendere l’Iraq nel suo insieme» (18). Secondo alcuni rapporti, Hezbollah avrebbe già mobilitato 30.000 uomini, ma il Partito non ha ufficialmente fornito informazioni a riguardo (19).

I ba’athisti iracheni: alleati dell’ISIL e di Riad
Tra tutte le forze che combattono al-Maliki, ci sono molti uomini legati al defunto Partito Ba’ath Iracheno di Saddam Hussein. Sotto la denominazione di “Uomini dell’Ordine di Naqshbandiyya” (abbreviato in JRNT), si riuniscono supposti “fedelissimi” di Saddam, guidati da Ibrahim Izzat al-Duri, che fu braccio destro di Saddam e sfuggì alla cattura. Anche se questo gruppo si dichiara “indipendente” dall’ISIL, in realtà i due eserciti collaborano ampiamente nella lotta contro al-Maliki (tant’è che sembra che nel 2011 al-Duri abbia incontrato al-Baghdadi, comandante dell’ISIL). Nella presa di Mosul, sono stati gli ex militari ba’athisti a coordinare l’assalto all’aeroporto, alla sede governativa e alla televisione locale, ed il nuovo governatore di Mosul è proprio un ex generale dell’esercito di Saddam, Azhar al-Obeidi. Una volta presa Mosul, gli uomini del JRNT hanno appeso poster di Saddam Hussein e di Ibrahim Izzat al-Duri in tutto il governatorato di Mosul, scatenando le ire dell’ISIL, che ha dato 24 ore di tempo per la rimozione (20). Il ruolo degli ex ba’athisti in questa guerra è ben più vasto di quanto i media dicano; secondo un articolo di Valsania su Il Sole 24 Ore, l’incredibile ascesa dell’ISIL non si spiega solo con le prodezze di una decina di migliaia di combattenti, ma anche «con l’alleanza che hanno stretto con migliaia di militanti e simpatizzanti dell’Armata di Naqshbandia» (21).
Al-Duri, per combattere al-Maliki, ha stretto un’alleanza direttamente con l’Arabia Saudita in funzione anti-iraniana, e secondo alcuni si troverebbe (o si sarebbe a lungo trovato) proprio nel Regno dei Saud. Il modo che al-Duri ha di spiegare la situazione in Iraq è abbastanza semplice, e risponde alla retorica anti-iraniana utilizzata da Riad: il governo centrale di Baghdad è «un fantoccio filo-iraniano», il «nemico principale è l’Iran, rappresentato, in particolare, dalla Guardia della Rivoluzione Iraniana (Pasdaran), dalla Brigata al-Quds e dai suoi alleati» e il fatto che la resistenza ba’athista abbia perso peso nella politica irachena è causato dal fatto che «gli iraniani si sono infiltrati in tutti i settori e ad un punto tale che controllano completamente il piano messo a punto dagli Stati Uniti» (22). A questo punto è facile comprendere il motivo dell’alleanza di al-Duri con le forze jihadiste, filo-saudite e reazionarie e il suo sostegno ai terroristi in Siria. Come egli stesso ha recentemente detto: «L’Arabia Saudita è il baluardo della resistenza contro ogni complotto che ci vuole travolgere sia come esistenza che come identità. Se non fosse stato per l’Arabia Saudita, il miscredente Iran avrebbe avuto la supremazia nella nostra regione emanando corruzione e sventure» (23).

 

1. Cfr. al-Alam
2. Ansa
3. Youtube
4. Globalresearch
5. Cfr. Reuters
6. CBS News
7. al-Ahed News
8. IRIB
9. IRIB
10. IRIB
11. IRIB
12. Electronic Resistance
13. Reuters
14. Electronic Resistance
15. The Guardian
16. Sana
17. StatoePotenza; Cfr. Daily Star
18. ADN Kronos  e LaStampa
19. Daily Star
20. Electronic Resistance
21. Ilsole24ore
22. Gulf Up
23. al-Manar