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Il Kosovo come avamposto statunitense

di Francesco Carlesi - 07/07/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


la creazione del Kosovo vuole rappresentare una testa di ponte e un protettorato permanente in una zona geostrategica essenziale, permettendo agli States di svolgere la funzione di “gendarme” sia nei Balcani che nel Mediterraneo e alle porte dell’Eurasia. Bondsteel è il nome della base americana su questo suolo.

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Le elezioni politiche che si sono svolte domenica 8 giugno in Kosovo hanno segnato il terzo successo elettorale consecutivo per il Partito democratico del Kosovo (PDK), guidato dal Premier uscente Hashim Thaci, e una discreta partecipazione della minoranza serba. Un segnale che sembra positivo in vista del raffreddamento delle tensioni nella zona, anche se l’oltranzismo e le tensioni permeano ancora fortemente i rapporti Kosovo – Serbia.

Le storie di queste due entità sono indissolubilmente intrecciate, sin dal  28 giugno 1389, quando la battaglia di Kosovo Polje  segna convenzionalmente la nascita dell’identità serba[1]. L’impero ottomano, tradizionale nemico, riuscì di lì a poco a stabilire il suo dominio, che durò per più di cinque secoli e vide l’inizio della forte affluenza degli albanesi (convertitisi all’Islam) nella regione kosovara. Nel 1912 il Kosovo tornò alla Serbia, fino ad acquistare, dopo alterne vicende, lo status di provincia autonoma durante il periodo di Tito alla presidenza jugoslava(Costituzione del 1974). La presenza albanese, fortemente maggioritaria, cominciò a farsi sentire negli anni ’80 e soprattutto durante le tensioni che disgregarono l’ex Jugoslavia nei primi anni ’90. Quella che era stata da sempre una costola importante della Serbia esprimeva istanze indipendentiste attraverso forti organizzazioni paramilitari[2], oltre che movimenti pacifici[3]. Il momento culminante arrivò nel 1999, con la “guerra costituente”[4] della NATO, in nome dei diritti umani contro la cosiddetta “pulizia etnica” operata dai serbi a danno degli albanesi del Kosovo[5].

I bombardamenti americani, promossi anche dall’allora primo ministro italiano Massimo D’Alema, segnarono una profonda ferita nella storia serba e testimoniarono l’irrilevanza delle potenze europee negli scenari internazionali. E la loro difficoltà nel deviare dalle linee guida di Washington. Con l’azione in Kosovo, intenzione degli Usa è stata quella di creare tra l’Europa e il mondo slavo – ortodosso una frattura persistente, al fine di convincere gli europei dell’Ovest che saranno sempre più vicini ai partners atlantici che non ai loro naturali vicini dell’Est. Inoltre, la creazione del Kosovo vuole rappresentare una testa di ponte e un protettorato permanente in una zona geostrategica essenziale[6], permettendo agli States di svolgere la funzione di “gendarme” sia nei Balcani che nel Mediterraneo e alle porte dell’Eurasia. Bondsteel è il nome della base americana su questo suolo.

Ma il concetto di ponte andrebbe rovesciato. Non il Kosovo ma la Serbia potrebbe rappresentare la cerniera tra Occidente e Oriente, Europa e Russia, in un momento in cui le controversie a proposito di TTIP e South Stream sono centrali nelle sorti del nostro paese. Alcuni passaggi, taciuti dai maggiori organi di informazione, sono importanti in questo senso e aprono spiragli degni di nota per il futuro, oltre ai tradizionali legami storici, e cioè: i consistenti rapporti commerciali e investimenti italiani in Serbia[7], la graduale cicatrizzazione della ferita della guerra[8], gli sforzi italiani per un maggiore coinvolgimento serbo nelle organizzazioni internazionali e nell’Ue. In una fase di oggettiva debolezza dell’Europa tale politica “faccia-a-faccia” è molto importante. Contemporaneamente, però, il processo di integrazione che l’Italia può favorire dovrebbe riguardare non il singolo Paese, ma l’area nel suo insieme. Valorizzare l’intera regione adriatico – balcanica e riqualificare geopoliticamente il cosiddetto mediterraneo allargato dev’essere l’obiettivo primario della politica estera italiana[9].   

 

[1] I 14 monasteri e chiese ortodosse storiche, le rovine di altri 23 monasteri e 140 chiese e la Piana dei Merli dove venne combattuta la celebre battaglia, sono i maggiori simboli ancor oggi centrali nella storia serba. Cfr. EDGAR HOSCH, Storia dei paesi balcanici. Dalle origini ai giorni nostri, Einaudi, Torino 2005.

[2] L’UCK è stata una formazione terroristica, considerata tale anche dagli Stati Uniti fino a quando non divenne conveniente nello scenario ex – jugoslavo, che si macchiò di diversi crimini contro i serbi. Negli anni è stata accusata di legami con la mafia albanese, traffico di droga e di organi. Cfr. ad esempio il rapporto del senatore svizzero Dick Marty redatto per conto del Consiglio d’Europa sui “Trattamenti disumani e i traffici illeciti di organi”: http://assembly.coe.int/ASP/APFeaturesManager/defaultArtSiteView.asp?ID=964. Gli interessi economici americani nel narcotraffico hanno influito nell’avvicinamento di molti esponenti dell’amministrazione USA con l’UCK. Cfr. DANILO ZOLO, Chi dice umanità. Guerra, diritto e ordine globale, Einaudi, Torino 2000.

[3]  Quale la Lega democratica del Kosovo(LDK) di Ibrahim Rugova, primo presidente del paese nel 2002.

[4] Costituente in quanto condotta senza l’autorizzazione dell’Onu e contro il diritto internazionale e la sovranità della Serbia, elevando di fatto la NATO (con in testa la superpotenza americana e il progetto di un mondo unipolare) unica depositaria dello jus ad bellum. Cfr. ISIDORO MORTELLARO, I signori della guerra. La Nato verso il XXI secolo, Manifestolibri, Roma 1999 e GIOVANNI DAMIANO, L’espansionsmo americano, Ar, Padova 2006. «Per assicurare una ragione di vita a un’Alleanza militare difensiva, cui era venuto a mancare il nemico, bisognava trovarle nuovi compiti: in un mondo unipolare essa doveva diventare strumento di politica estera americana nell’area atlantico – europea per garantire la stabilità necessaria all’armonico sviluppo di rapporti internazionali, come auspicato da Washington». JOZE PIRIJEVEC, Serbi croati sloveni. Storia di tre nazioni, Il Mulino, Bologna 2002. Venne messo in pratica il principio, distruttivo nell’ottica della autodeterminazione dei popoli, di “responsabilità di proteggere”, oggi più che mai al centro del dibattito (Libia e Ucraina).

[5] Violenze e atrocità non mancarono da parte delle forze serbe guidate dal presidente Slobodan Milosevic, contro il quale però la demonizzazione dei media occidentali fu evidente, come descritto anche dal giornalista del “Corriere della Sera” Massimo Nava: M. NAVA, Imputato Milosevic, Fazi Editore, Roma 2002.  Diversi episodi di sangue furono attribuiti, senza certezza alcuna, ai serbi per convincere l’opinione pubblica della necessità di un intervento armato. D. ZOLO, op. cit., p. 109 e A. d’ORSI, I chierici della guerra, Bollati Boringhieri, Torino 2005, pp. 181 – 124. La motivazione umanitaria «non vale a offrire alcuna spiegazione della guerra per il Kosovo, perché è stata essa stessa una componente della guerra». D. ZOLO, op. cit., pp. 47 – 48.

[6]  Cfr. DRAGOS KALAJIC, Serbia, trincea d’Europa, Quaderni del Veltro, Parma 1999.

[7] Nel primo quadrimestre 2013, l’Italia risultava essere il primo partner commerciale della Serbia e il primo investitore estero. Come si legge nell’intervento dell’ex ministro degli Esteri Emma Bonino apparso su:  AA. VV., Italia e Serbia. Passato, presente e futuro di un’amicizia, Quaderni di Geopolitica, Avatareditions, Roma 2012, p. 15.

[8] Grazie anche all’impegno e alla buona volontà dei soldati italiani nel contingente internazionale in Kosovo, che la Serbia non riconosce come entità statuale AA. VV., Italia e Serbia. Passato, presente e futuro di un’amicizia, op. cit. Il quaderno citato, che ospita interventi di politici italiani e serbi (come quello degli esteri, il primo ministro e l’ambasciatore) è un ottimo punto di partenza per inquadrare la questione nella sua attualità.

[9] Fondamentali in questo senso: Predrag Matvejević, Breviario mediterraneo, Garzanti, Milano 2006 e AA. VV., Rotte Adriatiche. Tra Italia, Balcani e Mediterraneo, Franco Angeli, Roma 2011.