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Estensione della guerra del gas al Levante

di Thierry Meyssan - 22/07/2014

Fonte: voltairenet


Dopo tre anni di guerra contro la Siria, gli "Occidentali" hanno deliberatamente esteso la loro offensiva all’Iraq e poi alla Palestina. Dietro le apparenti contraddizioni politiche tra partiti religiosi e laici, solidi interessi economici spiegano questa strategia. Nel Levante, numerosi gruppi hanno cambiato più volte campo, ma i giacimenti di gas sono sempre quelli.

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Poiché ogni guerra è intrapresa da una coalizione, risulta naturale che essa abbia molteplici obiettivi, in modo da soddisfare gli interessi specifici di ciascun membro della coalizione.

Da questo punto di vista, i combattimenti che ora infuriano in Palestina, in Siria e in Iraq hanno in comune il fatto di essere guidati da un blocco formato dagli Stati Uniti contro i popoli che a loro resistono, il fatto di perseguire il piano di ristrutturazione del “Medio Oriente Allargato” (Greater Middle East), nonché il fatto di modificare il mercato globale dell’energia.

A proposito di questo ultimo punto, due cose possono cambiare: il tracciato dei gasdotti e lo sfruttamento di nuovi giacimenti [1]

La guerra di controllo delle condutture in Iraq

Dall’inizio della guerra contro la Siria, la NATO cerca di tagliare la linea Teheran-Damasco (NIORDC, INPC) a beneficio dei percorsi che permettano di trasportare sulla costa siriana sia il gas del Qatar (Exxon-Mobil), sia quello dell’Arabia Saudita (Aramco) [2].

Un passo decisivo in tal senso è stato compiuto con l’offensiva in Iraq dell’Emirato islamico, che ha diviso longitudinalmente il Paese e ha separato l’Iran da una parte e Siria, Libano e Palestina dall’altra. [3]

Questo obiettivo visibile determina chi venderà il proprio gas in Europa e, a seconda dell’entità della fornitura, a quale prezzo potrà venderlo. Questo basta a spiegare come mai i tre principali esportatori di gas (Russia, Qatar e Iran) siano coinvolti in questa guerra.

La guerra di conquista del gas siriano

La NATO ha aggiunto un secondo obiettivo: il controllo delle riserve di gas del Levante e il loro sfruttamento. Se tutti sanno da decenni che il Mediterraneo meridionale contiene vasti giacimenti di gas nelle acque territoriali di Egitto, Israele, Palestina, Libano, Siria, Turchia e Cipro, soltanto gli “Occidentali” sapevano fin dal 2003 in che modo questi giacimenti erano distribuiti e come si prolungavano sotto il continente.

Come ha rivelato il professor Imad Fawzi Shueibi [4], all’epoca, una società norvegese, Ansis, ha legalmente condotto in Siria un sondaggio del Paese, in collaborazione con la compagnia petrolifera nazionale. Ansis ha lavorato anche con un’altra società norvegese, Sagex. Entrambe hanno corrotto un funzionario dell’intelligence, hanno condotto segretamente ricerche in tre direzioni e hanno scoperto l’incredibile estensione delle riserve siriane. Sono più importanti di quelle del Qatar.

Successivamente, Ansis è stata acquisita da Veritas SSGT, una società franco-statunitense con sede a Londra. I dati sono stati immediatamente rivelati al governi francese, statunitense, britannico e israeliano, che hanno ben presto concluso la loro alleanza per distruggere la Siria e rubare il suo gas.

Dopo aver affidato, nel 2010, alla Francia e al Regno Unito il compito di ricolonizzare la Siria, gli Stati Uniti hanno creato una coalizione denominata «Amici della Siria». Essa convocò un «Gruppo di lavoro sulla ricostruzione economica e lo sviluppo» riunitosi nel maggio 2012 negli Emirati Arabi Uniti, sotto la presidenza tedesca. [5]

Una sessantina di Paesi si sono divisi in quell’occasione la torta che non avevano ancora conquistato. Naturalmente, la maggior parte dei partecipanti ignorava le scoperte di Ansis e Sagex. Il Consiglio nazionale siriano era rappresentato, in quel gruppo di lavoro, da Osama al-Kadi, già responsabile dell’applicazione di strategie militari nel mercato dell’energia presso la British Gas.

Soltanto nell’estate 2013 il governo siriano è stato informato delle scoperte di Ansis e Sogex, compreso anche il modo in cui Washington era riuscita a comporre la coalizione che tentava di distruggere il Paese. Da quel momento, il presidente Bashar al-Assad ha firmato contratti con società russe per il futuro sfruttamento dei giacimenti.

Il gas in Israele, in Palestina e nel Libano

Da parte sua, la British Gas esplorava i giacimenti palestinesi, ma Israele si opponeva al loro sfruttamento temendo che i proventi servissero per acquistare armi.

Nel luglio 2007 Tony Blair, nuovo inviato speciale del Quartetto (ONU, Unione Europea, Russia, Stati Uniti), negoziò tra Palestinesi e Israeliani un accordo che permetteva di sfruttare i giacimenti Marine-1 e Marine-2 a Gaza. Il primo ministro dell’Autorità palestinese, Salam Fayyad, accettò che la British Gas pagasse le royalties dovute all’Autorità palestinese su un conto bancario controllato da Londra e da Washington, a garanzia che questo denaro fosse utilizzato per lo sviluppo economico.

All’epoca, l’ex capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, il generale Moshe Ya’alon, pubblicò un intervento clamoroso sul sito web del Jerusalem Center for Public Affairs, in cui osservava che questo accordo non risolveva il problema, perché in ultima analisi ad Hamas sarebbe comunque toccata una parte di quel denaro finché fosse rimasto al potere a Gaza. Concludeva che l’unico modo per assicurarsi che questa manna non finanziasse la Resistenza era di lanciare una «operazione militare globale per sradicare Hamas da Gaza» [6].

Nell’ottobre 2010 le cose si sono ulteriormente complicate con la scoperta, da parte della Noble Energy Inc., di un mega-giacimento di gas off- shore, il Leviathan, in acque territoriali israeliane e libanesi, giacimento che va ad aggiungersi a quello scoperto da British Gas nel 2001, Tamar. [7]

Il Libano, dietro suggerimento di Hezbollah, ha immediatamente coinvolto le Nazioni Unite e fatto valere i suoi diritti di sfruttamento. Tuttavia, Israele ha iniziato l’estrazione di gas da queste riserve comuni ignorando le obiezioni libanesi.

La guerra per il gas palestinese

L’attuale offensiva israeliana in corso a Gaza risponde a diversi obiettivi. In primo luogo, il Mossad ha organizzato l’annuncio del rapimento e della morte di tre giovani israeliani in modo da impedire alla Knesset di adottare una legge che proibisca di liberare dei “terroristi” [8]. Poi, l’attuale ministro della Difesa, il generale Moshe Ya’alon, ha usato il pretesto del rapimento per lanciare un’offensiva contro Hamas, applicando proprio la sua analisi del 2007 [9].

Il nuovo presidente egiziano, il generale Abdel Fattah al-Sisi, ha ingaggiato come consulente Tony Blair, senza tuttavia che questi si dimettesse dalla sua posizione di rappresentante del Quartetto [10]. In linea con la difesa degli interessi di British Gas, ha poi suggerito una “iniziativa di pace” totalmente inaccettabile per i Palestinesi, che infatti hanno rifiutato, mentre Israele l’ha accettata. Questa mossa mira chiaramente a fornire l’occasione a Tsahal di continuare la sua offensiva per «sradicare Hamas da Gaza». Non è irrilevante il fatto che Tony Blair, per questo lavoro, non sia remunerato dall’Egitto, ma dagli Emirati Arabi Uniti.

Come sempre, l’Iran e la Siria hanno sostenuto la Resistenza palestinese (Jihad islamica e Hamas). Così hanno anche mostrato a Tel Aviv di avere la capacità di fargli male in Palestina tanto quanto esso ne ha fatto a loro in Iraq con l’intromissione dell’Emirato Islamico e del clan dei Barzani.

Soltanto la lettura degli avvenimenti in chiave energetica permette di comprenderli. Perché non è politicamente nell’interesse di Israele distruggere quell’Hamas che esso stesso ha contribuito a creare per ridimensionare Al-Fatah. Non è nemmeno nell’interesse della Siria di aiutarlo a resistere, dal momento che si è alleato con la NATO e ha inviato jihadisti a combattere contro il Paese. Il tempo della “primavera araba”, che doveva portare al potere i Fratelli Musulmani (di cui Hamas è il ramo palestinese) in tutti i paesi arabi, è passato. In definitiva l’imperialismo anglosassone è sempre mosso da ambizioni economiche che impone in spregio alle logiche politiche locali. La scissione che caratterizza stabilmente il mondo arabo non è quella tra partiti religiosi e laici, ma quella tra Resistenti e Collaboratori all’imperialismo.

Fonte: Rete Voltaire 

Traduzione 
Luisa Martini

Fonte 
Megachip (Italia)